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DICHIARAZIONI RESE DA !ANNI' SIMON

Nel documento REPUBBLICA ITALIANA (pagine 50-58)

Sentenza Appello "Livatino ter" Capitolo II L'esecuzione materiale del delitto

4. DICHIARAZIONI RESE DA !ANNI' SIMON

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pag. 18 - 21).

Il collaboratore, su domanda di un difensore, ha dichiarato che non gli risultava ("No, non lo so questo", egli ha detto) che il gruppo di Gela fosse stato preventivamente informato del progetto di uccidere il dott. R. Livatino ( cfr. verb.

ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 38 - 39).

Egli, su domanda del presidente della Corte di Assise, ha affermato che i diversi gruppi della "Stidda", sugli omicidi eccellenti, si avvisavano reciprocamente per non essere sorpresi dalle indagini ed evitare qualsiasi coinvolgimento ( cfr. verb . ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 49 - 50).

4. DICHIARAZIONI RESE DA !ANNI' SIMON.

Iannì Simon ha dichiarato di aver fatto parte dell'organizzazione "Stidda" di Gela (clan Iannì- Cavallo) dal 1991, quando aveva appena quindici anni.

Egli in seno al clan, rivestiva "il ruolo principale di killer" ma partecipava anche ad estorsioni, a rapine e svolgeva qualsiasi compito gli fosse richiesto ( cfr. verb . ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 54 - 55).

Il clan "Iannì-Cavallo" era stato fondato dal padre e da Cavallo Aurelio e, all'inizio, non aveva una struttura verticistica; nel Maggio del 1992 furono nominati il "rappresentante" (Paolello Orazio), il "vice" (Iaglietti Orazio), due

"consiglieri" (Di Giacomo Paolo e Nicastro Salvatore) e un "capodecina"

(Dammaggio Rosario, poi sostituito da Privato Franco).

L'associazione mafiosa, della quale egli aveva fatto parte, "si occupava .

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principalmente di omicidi", essendo in lotta (sin dal duplice omicidio di Salvatore Lauretta e Coccomini Orazio consumato "all'antivigilia di Natale del 1988" per il controllo del territorio di Gela) con la contrapposta organizzazione di "Cosa Nostra, denominata "clan Madonia"; le attività del suo gruppo comprendevano anche il traffico di armi e di sostanze stupefacenti (cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 55 - 58).

Il collaboratore, in relazione ai rapporti con organizzazioni di altri centri, ha dichiarato che la "Stidda" di Gela (il clan Iannì-Cavallo) aveva "una sorta di alleanza interprovinciale con altri comuni", vale a dire con altri gruppi della

"Stidda"; era, in particolare, in contatto con il clan "Carbonaro-Dominante" di Vittoria, i Riggio di Riesi; con Avarello di Canicattì, i Grassonelli di Porto Empedocle e i Barba di Favara; con gli Zichittella di Marsala e i Sole di Racalmuto; con i Sanfilippo di Mazzarino e i Russo di Niscemi.

I Russo e i Riggio erano "fuoriusciti" di "Cosa Nostra"; tutti i gruppi alleati della

"Stidda" si contrapponevano a "Cosa Nostra" per il controllo del territorio ( cfr.

verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 58 - 59) .

l rapporti di alleanza consistevano nello scambio di killers, nel senso che quelli di un centro "andavano in trasferta" in un centro diverso, in modo da potere agire a viso scoperto e agevolare le attività delittuose senza la preoccupazione di potere essere identificati; egli ha, a titolo esemplificativo, indicato gli omicidi ai danni di Ficarra Angelo e Ficarra Alberto (da lui commessi a Porto Empedocle per conto dei Grassonelli), l'omicidio Palmieri, eseguito a Vittoria e il tentato omicidio di Pulci Calogero da lui eseguito a Sommatino assieme, tra gli altri, ad Avarello

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Gianmarco.

Iannì Simon ha, inoltre, citato la strage di Palma di Montechiaro, commessa la notte di San Silvestro dai gelesi Marino Emanuele e Camiolo Salvatore che agirono assieme al palmese Benvenuto Giuseppe, da lui conosciuto in un covo di Chiaramonte Gulfi dove il Benvenuto si era recato per incontrare i fratelli Paolello (cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 60- 63).

A incaricarlo degli omicidi, compresi quelli da eseguire fuori Gela, erano stati i fratelli Paolello (subentrati al vertice dell'organizzazione mafiosa dopo l'arresto del padre e di Cavallo Aurelio, quest'ultimo organizzatore della strage di Gela).

Ai fratelli Paolello si rivolgeva il "rappresentante" del paese che chiedeva l'invio dei killers (cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 66 - 68).

Il collaboratore ha, quindi, riferito che tra i diversi gruppi della "Stidda" si tenevano "riunioni interprovinciali": a quella, tenutasi nell'estate del 1991 nel covo di Casuzze di Marina di Ragusa, parteciparono "una ventina di persone", tra cui Pippo Grassonelli e Giuseppe Mallia di Porto Empedocle, Alfredo Sole di Racalmuto e, forse, il Benvenuto per Palma di Montechiaro; c'erano anche l' Avarello per Canicattì, i fratelli Paolello, Iaglietti Orazio e lo stesso Iannì Simon per Gela; c'erano affiliati del clan "Carbonaro-Dominante" di Vittoria (cfr. verb.

ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 64 - 65, 68 - 69 e 95 - 96, luogo in cui ha precisato che la riunione si svolse "verso Luglio" ed ha affermato di non essere a conoscenza se in quello stesso periodo si fossero tenute nello stesso luogo altre riunioni interprovinciali).

Iannì Simon ha riferito di avere conosciuto del gruppo di Canicattì Avarello

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Gianmarco e una altra persona chiamata "Peppe", durante il suo soggiorno a Sommatino per uccidere Pulci Calogero; il "Peppe" aveva una Volkswagen Golf bianca, era "alto, moro, con i baffi", sui 37 o 38 anni e, forse, lavorava in campagna (cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 65).

Ha, quindi, riferito il collaboratore sul gruppo di Canicattì: "Beh, so che lì rappresentante la Stidda era Gianmarco Avarello. So che erano in lotta con il clan Di Caro e i Ferro di Canicattì, e niente: so che tra l'altro Gianmarco era rimasto da solo lì a guidare questa lotta. Tra l'altro era l'unico killer che era sempre disponibile ... So che i suoi zii erano i capi. Credo che è uno dei Gallea, credo che si chiama Antonio"; era stato lo stesso Avarello a confidargli che Gallea Antonio era il capo della "Stidda" di Canicattì, mentre si trovava a Sommatino in una casa dell'Avarello o nella disponibilità di costui, dove vi erano fotografie dei parenti dell'Avarello (cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 69- 70 e 84).

Iannì Simon ha dichiarato che "rappresentava" il gruppo di Palma Di Montechiaro Giuseppe Benvenuto, chiamato "Peppe u palmisi" e che egli non sapeva altro di questo gruppo con il quale non aveva mai avuto contatti diretti; egli, su contestazione del Pubblico Ministero, ha confermato la dichiarazione resa nel processo Alletto Croce ed altri - quando aveva riferito che il "capofamiglia" di Palma di Montechiaro era Calafato Salvatore e che il gruppo era rappresentato nelle riunioni dal Benvenuto - ed ha aggiunto su Calafato Salvatore: "Sapevo che era uno dei, diciamo uno dei grandi, sì uno che rappresentava" (cfr. verb. ud.

9.4.1997, trascrizioni, pag. 70 - 72)

Il collaboratore ha precisato di avere conosciuto Avarello Gianmarco nel Giugno .

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del 1991; egli si stava recando a Realmonte con Pippo Grassonelli, a bordo di un'autovettura (una Fiat Uno) da lui rubata in precedenza, per eseguire un omicidio.

Il Grassonelli vide passare "un gippone, una jeep" e, avendo ritenuto che si trattasse di un fuoristrada delle forze dell'ordine (polizia o carabinieri), imboccò una strada di campagna dove lo lasciò.

Dopo un po' di tempo arrivò "questo ragazzo" con una XT Yamaha 600"

(Gianmarco Avarello) che lo riportò nell'abitazione del Grassonelli ( cfr. verb. ud . 9.4.1997, trascrizioni, pag. 73).

Egli rivide l' Avarello in un "covo" di Chiaramonte Gulfi dove questi si recò per chiedere ai fratelli Paolello se "potevano mettere a disposizione ragazzi per compiere degli agguati a Sommatino e quindi per fare il tentato omicidio Pulci".

Il Paolello gli diede una risposta affermativa e affidò l'incarico allo stesso Iannì Simon, a Velia Orazio e a Palmieri Nunzio.

L'Avarello ritornò dopo un paio di giorni per eseguire l'omicidio, commissionato dallo stesso A varello ai fratelli Paolello che avevano designato come esecutori Jannì Simon, il Velia e il Palmieri; in quell'occasione fu compiuto il tentato omicidio ai danni di Pulci Calogero.

L'agguato fu eseguito dall'Avarello, che si era recato sul luogo a bordo di una moto e armato di un fucile a pompa, insieme con Palmieri Nunzio, nonché dal Velia e dallo stesso Iannì che erano andati a Canicattì, dove rimasero per un giorno (dall'arrivo alla sera) nella casa di Avarello o comunque nella disponibilità di costui, con un'autovettura (una Fiat Uno) messa a loro disposizione da .

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Nicastro Vincenzo.

Essi si spostarono la sera in un garage (posto a 400 metri dalla casa messa a disposizione da Avarello); qui presero le anni (tre pistole calibro 9, una 38 e due mitra, oltre al fucile a pompa) e ritornarono nell'abitazione; a bordo di una Fiat Croma, si spostarono poi nella campagna di Delia, trovando rifugio in un casolare nascosto tra gli alberi, dove rimasero per circa due settimane, in seguito alle difficoltà incontrate nell'esecuzione dell'agguato ai danni del Pulci; agguato del quale il collaboratore ha ricostruito la dinamica (cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 73 - 80).

Iannì Simon, su domanda del Pubblico Ministero, ha precisato che nel covo di Delia pernottavano lo stesso Iannì, l 'Avare Ilo, V ella Orazio ( che già conosceva l'Avarello con il quale aveva commesso l'omicidio di Montagna Maurizio) e Palmieri Nunzio; periodicamente vi si recava anche un certo "Peppe"; questi conosceva bene l' A varello e, secondo lo Iannì, era di Canicattì e faceva parte di quel gruppo.

Il "Peppe" portava i viveri e aveva l'incarico di segnalare il momento adatto all'esecuzione dell'agguato (cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 80 - 83 e 96 - 97).

Avarello Gianmarco, durante la permanenza nel covo, gli confidò "che era in guerra con i Di Caro di Canicattì e con i Ferro. Mi disse che lui molto spesso chiede aiuto a noi gelesi perché praticamente quello che spara era solo lui, quello che sparava, disse quello" ( cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 83 - 84 ).

Il collaboratore, dopo la contestazione del Pubblico Ministero, ha confermato, . .

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precisando di averlo saputo da Pippo Grassonelli, che Avarello Gianmarco, nell'agguato teso insieme con il Grassonelli a Di Caro Calogero, era rimasto ferito

"di striscio" alla testa; egli ha, inoltre, dichiarato di avere saputo dall' Avarello che allo stesso Di Caro era stato teso un altro agguato dall'Avarello e da Paolello Antonio (cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 84 - 86 e 97 - 99).

Fu durante la permanenza nel covo, quando si passavano intere giornate al chiuso, che egli domandò all' Avarello chi fossero stati gli autori dell'omicidio del dott. R.

Livatino .

L' Avarello gli rispose che era stato lui stesso il quale aveva agito insieme con altri, i cui nomi il collaboratore non era in grado di ricordare anche perché si trattava di persone che egli non aveva mai conosciuto.

Iannì Simon ha precisato che l' A varello gli fece il nome del Benvenuto (Peppe u palmisi"), e di altre quattro cinque persone, come compartecipe nell'omicidio del dott. R. Livatino senza, tuttavia, specificargli il ruolo avuto dal Benvenuto.

Egli, su contestazione del Pubblico Ministero, ha, poi, affermato: "Sì, çomunque quattro o cinque erano, su per giù, quattro sicuramente: Perché mi ha detto questi nomi, nomi che tra l'altro neanche ricordo perché li sentivo per la prima volta ... ".

TI collaboratore ha precisato che l' Avarello gli disse anche che il dott. R. Livatino era stato ucciso perché favoriva il Di Caro di Canicattì ed ha affermato: "Sì, ricordo che parlava ... cioè, parlando del giudice parlava con un certo disprezzo, diceva:<< ... questo bastardo favoriva i Di Caro di Canicattì>>"·

Avarello Gianmarco gli confidò, inoltre, che egli, dopo l'omicidio del magistrato, si era recato a far visita in carcere allo zio "per crearsi diciamo una sorta di alibi"

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(cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 87 - 90 e, sul ruolo del Benvenuto, anche pag. 93 - 94 e l O l - l 02, luogo in cui, su domanda di un difensore, il collaboratore ha ribadito: "Perché l'Avarello mi disse che il giudice Livatino favoriva i Di Caro di Canicattì" e che all'omicidio aveva partecipato il Benvenuto).

Il collaboratore, su specifica domanda del Pubblico Ministero, ha precisato di avere chiesto informazioni all'Avarello sull'omicidio del dott. R. Livatino, e ciò perché il delitto era stato commesso "nella strada che collega Canicattì" e, dunque, l' Avarello avrebbe dovuto sapere se l'uccisione del magistrato fosse stata opera dei Di Caro o se, invece, era stata eseguita dal suo gruppo ( cfr. verb. ud.

9.4.1997, trascrizioni, pag. 92 - 93).

Iannì Simon ha, quindi, dichiarato che l 'A varello allora stava male ("era sdraiato sul divano e teneva le palpebre semichiuse") e gli era apparso sotto l'effetto di sostanze stupefacenti; gli aveva dato, in particolare, l'impressione di non volere parlare della vicenda, tanto che - ha precisato il collaboratore - "il colloquio fu brevissimo" .

Iannì Simon ha, infine, dichiarato che l' A varello era solito assumere stupefacenti ed ha, in particolare, affermato: "davanti a noi, come clan Stidda di Gela, fumava solo spinelli; poi non lo so se da solo faceva qualcos'altro" ( cfr. verb. ud.

9.4.1997, trascrizioni, pag. 93 e 101 - 101).

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