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DICHIARAZIONI RESE DA IANNI' MARCO

Nel documento REPUBBLICA ITALIANA (pagine 46-50)

Sentenza Appello "Livatino ter" Capitolo II L'esecuzione materiale del delitto

3. DICHIARAZIONI RESE DA IANNI' MARCO

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3. DICHIARAZIONI RESE DA IANNI' MARCO.

Iannì Marco ha affermato di avere fatto parte, dal 1989, dell'organizzazione criminale di Gela denominata "clan Iannì-Cavallo" - i cui esponenti erano il padre e Cavallo Aurelio ( da lui definiti "grandi dell'organizzazione") - dedita, tra l'altro, ad estorsioni e traffico di sostanze stupefacenti.

Ha, in particolare, dichiarato il collaboratore: "Allora, dal 1989 mese di gennaio non vi era alcun capo assoluto, vi erano i cosiddetti grandi, ed erano mio padre Iannì Gaetano e Cavallo Aurelio. Successivamente, nel 1990 o '91, non vorrei errare, è stata fatta una riunione ove sono stati eletti capodecina, il capo, il vicecapo. Il capo è stato nominato Paolello Orazio e il vicecapo, se non vado errato, Iaglietti Orazio. Capodecina Privato Franco ed altri, non ricordo adesso"

(cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni,pag. 23).

L'associazione mafiosa, di cui aveva fatto parte e per appartenere alla quale non era necessaria l'affiliazione rituale, era contrapposta a "Cosa Nostra";

quest'ultima era rappresentata a Gela dal "clan Madonia", cui esponenti principali erano Argenti Emanuele, i fratelli Emmanuello, i cosiddetti

"furmiculuna", Rinzivillo Antonio e i Polara ( cfr. anche, pag. 42 - 43 ).

Il clan "Iannì-Cavallo" di Gela, nell'ambito di tale contrapposizione, aveva stretto alleanza con altri gruppi analoghi di diverse province siciliane, anch'essi in lotta con "Cosa Nostra" e alleati tra di loro (cfr., anche, pag. 27).

L'alleanza, in particolare, era stata conclusa con il gruppo "Carbonaro-Dominante" di Vittoria, la "famiglia" Russo di Niscemi, la "famiglia" Sanfilippo

Sentenza Appello "Livatino ter" Capitolo IV - Dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia a norma dell'art. 210 c.p.p.

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di Mazzarino, la "famiglia" Riggio di Riesi, la "famiglia" Avarello-Gallea di Canicattì e la "famiglia" Grassonelli di Porto Empedocle ( cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 4 - 6 e 23 - 26, luogo in cui il collaboratore ha precisato che i gruppi alleati avevano una struttura simile al clan "Iannì-Cavallo" ed ha indicato, per il gruppo di Riesi, in Riggio Calogero colui il quale teneva i contati con gli alleati e in Riggio Salvatore il "capo assoluto" e, per il gruppo di Vittoria, le

"persone di maggior rilievo" in Dominante Carmelo e in Carbonaro Bruno).

Il collaboratore ha precisato che lo scopo delle alleanze mirava alla creazione di una struttura organizzativa da contrapporre efficacemente a "Cosa Nostra" e consisteva nello scambio di killers e di anni e nella messa a disposizione di covi ( cfr., anche, pag. 28 - 32, luogo in cui il collaboratore ha precisato che gli esponenti delle "singole famiglie" della "Stidda" non solo si incontravano ma

"vivevano assieme nei diversi covi", "facevano azioni criminose assieme" e che per il compimento di "atti eclatanti" - egli ha portato ad esempio la strage di Gela e il progetto di uccidere un magistrato del Tribunale per i minorenni - erano previste riunioni deliberative e organizzative) .

Ha, ancora, riferito il collaboratore: "Mah, l'unità si manifestava in appoggi logistici, scambio di killer, scambio di anni, a volte del sostentamento in denaro.

In pratica combattevamo tutti quanti lo stesso problema e cioè Cosa Nostra" "

( cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 48).

fannì Marco ha, quindi, riferito che egli, all'interno del clan, aveva il ruolo di killer ed ha precisato di essersi occupato di traffico di sostanze stupefacenti e di

armi; ha ammesso di aver commesso anche tentati omicidi (cfr. verb. ud.

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9 .4. 1997, trascrizioni, pag. 7).

Il collaboratore, su domanda del Pubblico Ministero, ha dichiarato che il gruppo di Palma di Montechiaro, i cui esponenti erano "un certo Benvenuto" e "un certo Calafato" che egli non conosceva personalmente, era alleato al gruppo "Iannì-Cavallo" di Gela: ciò egli aveva saputo attraverso informazioni ricevute all'interno del suo clan ( cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 7 - 8).

Egli ha, quindi, dichiarato di avere conosciuto personalmente Avarello Giovanni durante un periodo di comune detenzione (dal Novembre del 1991 alla fine del 1992 ), trascorso in parte nella stessa cella, presso la casa circondariale di Caltagirone, dove erano detenuti pure Sole Alfredo ed altri ( cfr. verb. ud.

9.4.1997, trascrizioni, pag. 8 - 9).

Iannì Marco ha precisato che i rapporti con l'Avarello erano buoni ("di amicizia") e che di costui gli avevano parlato in precedenza, durante il suo soggiorno obbligato nel Comune di Milena negli anni '90-91, "persone dell'agrigentino"

(tale Ignazio, che lavorava a un distributore di benzina, aveva sposato una donna di Milena ed era originario forse di Racalmuto, nonché tale Gaetano, successivamente ucciso a colpi di Kalashnikov alla vigilia di Natale o di Capodanno mentre usciva dall'abitazione dei suoceri) le quali si erano a lui presentate a nome del fratello Simon, gli avevano consegnato una pistola P-38 cromata e gli avevano riferito della situazione di conflittualità tra il gruppo, di cui faceva parte l'Avarello, e i cosiddetti "codichiatti" (cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 9 - 12).

Il collaboratore, in relazione all'omicidio del dott. R. Livatino, ha dichiarato che,

Sentenza Appello "Livatino ter" Capitolo IV - Dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia a norma dell'art. 21 O c.p.p.

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mentre si trovava a Caltagirone nella cella con Avarello, notò che questi era

"indignato e stufo" delle notizie trasmesse in televisione sull'omicidio del magistrato; gli sentì allora dire: "basta, ti ho fatto, ti abbiamo fatto. Cosa rompi più i coglioni?".

Iannì Marco ha precisato di non avere più chiesto nulla all' Avarello che, subito dopo, si allontanò e si sedette sulla branda posta davanti a quella di Sole Alfredo;

soltanto con costui l'Avarello continuò a "bisbigliare" (cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 12 - 13) .

Il collaboratore ha, quindi, riferito che Gallea Antonio, zio di Avarello, era "il rappresentante, uno che contava" anche all'interno del carcere di Agrigento ed ha precisato che del ruolo del Gallea aveva saputo dallo stesso Avarello e da Paolello Antonio (esponente di spicco del clan "Iannì-Cavallo").

Quest'ultimo "aveva un certo rispetto per Gallea Antonio" e commentava negativamente il comportamento di un affiliato di Gela (Gueli Antonio o Vincenzo) nei confronti del Gallea che era "il responsabile per la Stidda nel carcere di Agrigento" ( cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 14 - 18 e 21 ) . Tannì Marco ha, inoltre, riferito che, tramite i familiari, l' Avarello e il Gallea, anche se detenuti in carceri diverse, continuavano a mantenere i contatti tra di loro, così come gli esponenti del clan di Gela, sempre attraverso i familiari, riuscivano ad avere i contatti con l'esterno e a ricevere e dare "ambasciate"; egli ha indicato l'ordine datogli da Cavallo Antonino ma da lui non trasmesso al fratello Simon, allora in stato di libertà e con il quale aveva colloqui, di uccidere il rappresentante dell'associazione antiracket (cfr. verb. ud. 9.4.1997, trascrizioni,

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pag. 18 - 21).

Il collaboratore, su domanda di un difensore, ha dichiarato che non gli risultava ("No, non lo so questo", egli ha detto) che il gruppo di Gela fosse stato preventivamente informato del progetto di uccidere il dott. R. Livatino ( cfr. verb.

ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 38 - 39).

Egli, su domanda del presidente della Corte di Assise, ha affermato che i diversi gruppi della "Stidda", sugli omicidi eccellenti, si avvisavano reciprocamente per non essere sorpresi dalle indagini ed evitare qualsiasi coinvolgimento ( cfr. verb . ud. 9.4.1997, trascrizioni, pag. 49 - 50).

Nel documento REPUBBLICA ITALIANA (pagine 46-50)