Sentenza Appello "Livatino ter" Capitolo II L'esecuzione materiale del delitto
12. DICHIARAZIONI RESE DA VELLA ORAZIO
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delitti per i quali non era stato mai sottoposto ad indagini ( cfr. verb. ud. citata, pag. 37 - 38).
12. DICHIARAZIONI RESE DA VELLA ORAZIO.
Velia Orazio ha dichiarato di aver iniziato a collaborare nel Luglio del 1994, dopo essere stato arrestato per un duplice omicidio consumato a Gela.
Egli, nell'ambito della sua collaborazione, ha confessato di aver commesso undici omicidi e di avere partecipato a rapine (delitti per i quali non era stata iniziata azione penale nei suoi confronti); ha, quindi affermato di avere contribuito all'arresto di Calafato Giovanni, che egli conosceva dal 1994 come "capo dell'organizzazione di Palma di Montechiaro" (cfr. verb. ud. 20.10.1997, pag. 29 -30).
V ella Orazio ha affermato di aver fatto parte, sin dal 1990 e all'età di soli quindici anni, dell'organizzazione criminale "Iannì-Cavallo" di Gela, all'interno della quale, dopo essersi occupato di danneggiamenti ed estorsioni, aveva rivestito il ruolo di killer ( cfr. verb. ud. citata, pag. 4 - 5).
L'organizzazione criminale, alla quale egli aveva partecipato, era inserita nella
"Stidda" ed era così organizzata: "Sì eravamo organizzati che c'era un capofamiglia e poi c'erano i vari gruppi che si occupavano per le estorsioni, poi c'era il nostro gruppo che si occupava di omicidi e poi c'era un gruppo che si occupava di danneggiamenti e furti"; capo del gruppo era Cavallo Aurelio, cui subentrò Paolello Orazio (cfr. verb. ud. citata, pag. 5 - 6).
Sentenza Appello "Livatino ter" Capitolo IV - Dichiarazioni rese dai
collaboratori di giustizia a norma dell'art. 210 c.p.p.
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Il collaboratore ha confermato che con la "famiglia" di "Cosa Nostra", in alcuni periodi, fu stabilita una tregua, in altri periodi "c'era la guerra".
Egli ha, poi, precisato che il gruppo "Iannì-Cavallo" aveva rapporti con "famiglie emergenti" di altri paesi come Porto Empedocle, Canicattì, Vittoria e Mazzarino.
I rapporti consistevano nello scambio di killer per la commissione di omicidi, nel mettere a disposizione i "covi" quando gli autori dei delitti si nascondevano o si rendevano latitanti e nell'acquisto in comune di armi ( cfr. verb. ud. citata, pag. 7).
Il collaboratore ha indicato, come rappresentanti delle varie "famiglie", Grassonelli Giuseppe di Porto Empedocle, Avarello di Canicattì, Carbonaro di Vittoria e i Sanfilippo di Mazzarino ( cfr. verb. ud. citata, pag. 6 e 8).
Egli, su domanda del Pubblico Ministero, ha riferito di avere partecipato, per conto degli alleati, agli omicidi di Barba a Campobello di Licata, di Maurizio Montagna a Canicattì e di Albanese a Porto Empedocle ed ha precisato: "Gli omicidi li decidevano le famiglie dove dovevamo andare a commettere gli omicidi, però chi ci mandava a noi era sempre il capofamiglia" e, in sede di controesame: "Perché certe volte ci potevano mandare a dire:<<Dovete andare ad uccidere Albanese>> - vi faccio un esempio - <<e tornate indietro>>, alcune volte, siccome è successo a Canicattì, ci diceva di andare là e metterci a disposizione, quello che ci chiedevano, noi, a chi ci chiedevano di uccidere uccidevamo" (cfr. verb. ud. citata, pag. 7 - 8, 26 e 33, luogo in cui il collaboratore ha affermato che la regola da lui enunciata vigeva anche nei gruppi alleati: "Sì, ma sempre il capo era che decideva chi mandare e se mandarlo").
Il collaboratore ha, quindi, affermato che l'alleanza tra il !,'Tllppo di Gela e quello
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di Porto Empedocle era nata in carcere, attraverso un colloquio tra Cavallo Antonino e il padre di Grassonelli Giuseppe che erano detenuti; "poi" - ha proseguito il collaboratore - "il figlio di Grassonelli e il fratello di Cavallo Aurelio si sono incontrati a Gela e si è fatta l'alleanza" (cfr. verb. ud. citata, pag. 8 - 9).
Velia Orazio ha, quindi, riferito di avere conosciuto Avarello Giovanni in un
"covo" situato nelle campagne di Ragusa, in occasione di una riunione, indetta
"per organizzare alcuni omicidi per conto delle famiglie di Agrigento", alla quale avevano partecipato, oltre al Velia, i fratelli Antonio e Orazio Paolello, Grassonelli Giuseppe, lo stesso Avarello e, forse, Casciana Rosario (cfr. verb. ud.
citata, pag. 1 O).
Fu allora che il Grassonelli presentò l' Avarello al Velia ed ai fratelli Paolello come "capofamiglia" di Canicattì e fu in quella stessa occasione che venne richiesto al gruppo di Gela un aiuto "per commettere omicidi"; vennero, così, messi a disposizione dell'Avarello lo stesso Velia Orazio e Casciana Rosario (cfr.
verb. ud. citata, pag. 11 ).
Del gruppo di Canicattì egli aveva conosciuto anche Migliore Massimo con il quale doveva recarsi a Reggio Calabria per acquistare un'autovettura blindata per conto di Avarello Giovanni.
Questi, essendo in lotta con i Di Caro e i Ferro di "Cosa Nostra", voleva munirsi di una vettura blindata per motivi di sicurezza (cfr. verb. ud. citata, pag. 12).
Il collaboratore, su domanda del Pubblico Ministero, ha precisato che del gruppo di Canicattì facevano parte anche i Gallea, parenti dell' Avarello ed ha indicato in Antonio Gallea "uno dei capi", affermando di avere saputo ciò dallo stesso
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Avarello (cfr. verb. ud. citata, pag. 13).
Egli ha, quindi, dichiarato di avere eseguito, nel 1991, l'omicidio Albanese ( dal collaboratore indicato come "capo della famiglia di Cosa Nostra di Porto Empedocle") assieme all'Avarello e a Greco Guglielmo e di avere partecipato, sempre nel 1991, all'omicidio Barba, cui presero parte l'Avarello, Grassonelli Giuseppe e Casciana Rosario (cfr. verb. ud. citata, pag. 10 e 14 - 15).
Egli, assieme all'Avarello, a Iannì Simon e a Palmeri Nunzio, eseguì, inoltre, l'attentato nei confronti di Pulci Calogero e, assieme ad Avarello Giovanni e a Margiotta Maurizio, partecipò all'omicidio di Montagna Maurizio, esponente di
"Cosa Nostra" di Canicattì (cfr. verb. ud. citata, pag. 15, 19 - 20 e 24 - 25).
Velia Orazio, su domanda del Pubblico Ministero, ha dichiarato di avere conosciuto Calafato Giovanni e Benvenuto Croce, facenti parte del gruppo della
"Stidda" di Palma di Montechiaro.
"Capo" di questo gruppo (ciò gli fu riferito dall' Avarello) era Calafato Salvatore che egli conobbe personalmente, essendosi recato nella sua abitazione assieme ad Avarello Giovanni, nel periodo in cui Calafato Salvatore era detenuto agli arresti domiciliari.
L'Avarello - ha precisato Vella Orazio - si era recato da Calafato Salvatore per informarlo poiché, "essendo un alleato di Avarello", questi lo teneva infonnato di
"quello che stava facendo e di come si muoveva".
Egli, in sede di controesame, ha pure dichiarato che capo dell'organizzazione era Calafato Giovanni ed ha così chiarito l'apparente contraddizione: "sì, perché quando ho conosciuto Salvatore Calafato era fuori e poteva gestire
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l'organizzazione, quando invece ho detto che il capo dell'organizzazione era Giovanni Calafato, il Calafato Salvatore si trovava in carcere, per cui gestiva tutta la situazione di fuori Giovanni Calafato in assenza del fratello" ( cfr. verb. ud.
citata, pag. 32).
Il collaboratore ha, inoltre, precisato che anche questo gruppo era in lotta con
"Cosa Nostra", rappresentata a Palma di Montechiaro dai Ribisi (cfr. verb. ud.
citata, pag. 15 - 17 e 19).
Egli ha, quindi, riferito che Benvenuto Giuseppe Croce aveva partecipato a una riunione "interprovinciale" (svoltasi a fine estate del 1991 o nella primavera di quell'anno e, comunque, venti giorni prima dell'omicidio Barba: cfr. pag. 36 - 38) nella quale era stata presa la decisione di "agire" ( eseguire gli omicidi) nel territorio di Agrigento per dar modo ai latitanti, che si trovavano a Gela, di muoversi liberamente.
Egli ha, in particolare, dichiarato: "Sì, ha partecipato m una riunione dove eravamo tutte le famiglie che eravamo alleati di Porto Empedocle, Palma di Montechiaro, Canicattì e della provincia di Vittoria, Ragusa e Campobello di Licata; in quell'occasione era presente anche Benvenuto Croce" ed ha indicato altri partecipanti in Iannì Simon, Paolello Orazio, Grassonelli Giuseppe, Di Stefano Gino e Palmeri Nunzio (cfr. verb. ud. citata, pag. 17 - 18).
Vella Orazio, su domanda del Pubblico Ministero, ha riferito di essersi recato assieme all' Avarello, nell'abitazione di Benvenuto Giuseppe Croce per vedere delle anni.
Il collaboratore, in relazione all'omicidio del dott. R. Livatino, ha dichiarato che
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egli e l' Avarello, dopo aver commesso l'omicidio di Montagna Maurizio, si stavano spostando, a bordo dell'Audi 80 dell 'A varello, in un "covo" della provincia di Ragusa.
Durante il viaggio egli chiese ad Avarello: "ma c'eri anche tu per l'omicidio del giudice Livatino?", ricevendo da costui conferma della sua partecipazione.
Vella Orazio ha dichiarato, su contestazione del Pubblico Ministero, che l'Avarello aveva aggiunto che il dott. Livatino era stato ucciso perché "ce l'aveva con loro" (" ... gli ho detto: <<Ma c'eri anche tu per il fatto del giudice Livatino?>>, lui m'ha risposto: <<Sì'>>. Poi gli ho detto: <<Ma perché?>>, dice:
<<Perché - mi fa - era un bastardo e ce l'aveva con noi>>. Poi non mi sono fatto ... cioè non mi sono fatto dare più spiegazioni sennò poi sembrava una cosa indiscreta perché ... ": cfr. verb. ud. citata, pag. 21 - 23).
Il Velia ha chiarito di avere chiesto all'Avarello della sua partecipazione all'omicidio del dott. R. Livatino perché sapeva dei legami che l' Avarello aveva con Amico e Pace.
Costoro erano stati già accusati dell'omicidio del magistrato e di loro l 'Avarello gli parlava come dei soli amici di cui si poteva fidare.
Egli ha, infine, precisato di non avere appreso nessun'altra notizia sull'omicidio del dott. R. Livatino.