Sentenza Appello "Livatino ter" Capitolo II L'esecuzione materiale del delitto
8. DICHIARAZIONI RESE DA INGAGLIO GIUSEPPE •
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su incarico di Polara Salvatore, in quel periodo agli arresti domiciliari.
Il Polara aveva convocato Bruno Gallea per incaricarlo di eseguire l'omicidio, poi non portato a termine, di Di Giacomo Paolo che era "contro Cosa Nostra" ( cfr.
verb. ud. 10.4.1997, pag. 140 - 142).
Trubia Salvatore incontrò casualmente Bruno Gallea ancora nel 1990, dopo la strage di Gela avvenuta nel mese di Novembre, presso il carcere di Agrigento, dove egli era andato a visitare il fratello NW1Zio.
Bruno Gallea era con "un cugino" (che nel 1992 rivide nel carcere di Caltagirone assieme a uno dei fratelli Riggio, a Marazzotta Gaspare, a due fratelli Sanfilippo e a Iannì Marco o Simon) e si era recato al carcere per far visita al fratello Antonio;
nella sala comune dei colloqui vide anche Antonio Gallea con il quale, tuttavia, non scambiò il saluto (cfr. verb. ud. 10.4.1997, pag. 142 - 145 e 149 - 150, luogo in cui, su contestazione del Pubblico Ministero, il collaboratore ha confermato che "il cugino" di Bruno Gallea si chiamava Avarello).
8. DICHIARAZIONI RESE DA INGAGLIO GIUSEPPE •
Ingaglio Giuseppe ha dichiarato di avere fatto parte della "Stidda" di Campobello di Licata che era in contrapposizione con l'associazione mafiosa, denominata
"Cosa Nostra".
Quest'ultima organizzazione era rappresentata a Campobello di Licata dai
"Chiatti" e ne facevano parte i fratelli Smiraglia, i Montaperto, Falsone Vincenzo, Accascio Ignazio, Laverde Gioacchino, Rotolo Giuseppe ed altri (cfr. verb. ud. . ·
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collaboratori di giustizia a norma dell'art. 210 c.p.p.
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11.4.1997, pag. 20).
Il collaboratore ha indicato l'origine del contrasto tra i due gruppi mafiosi nella reazione a un tentativo di estorsione da parte dei "Chiatti" ed ha precisato: "Le ragioni di questo scontro furono perché tutto è partito praticamente perché hanno fatto delle estorsioni prima a Vizzino, dove Angelo Gambino faceva il guardiano là. In cui una notte gli hanno andato a sparare dietro i portoni. Poi La Rocca Salvatore pure lavorava da Aronica Carmelo, parente sempre nostro, in cui ha ricevuto delle estorsioni sempre dallo Smiraglia e così è partito il fuoco di ammazzare, prima Smiraglia Giovanni" ( cfr. verb. ud. citata, pag. 21 ).
Il gruppo della "Stidda" era capeggiato - al momento del suo mgresso nell'organizzazione che avvenne in epoca successiva a quella dell'omicidio del dott. R. Livatino e "una settimana, quindici giorni prima dell'uccisione di Barba Giovanni da un suo zio, Ingaglio Diego (il quale aveva fatto parte di "Cosa Nostra", così come ne aveva fatto parte il nonno del collaboratore).
La "Stidda" di Campobello di Licata era formata da Ingaglio Pietro, Ingaglio Giuseppe ( cugino del collaboratore), Ingaglio Antonio, Ingaglio Rocco, i Gambino, La Rocca Salvatore e La Rocca Lillo.
Il collaboratore, su domanda del Pubblico Ministero, ha precisato che gli omicidi erano decisi da tutta "la famiglia" (cfr. verb. ud. citata, pag. 22).
L'organizzazione della "Stidda" di Campobello di Licata aveva stretto la prima alleanza con il gruppo di Porto Empedocle, tramite La Rocca Salvatore che era detenuto con uno della "famiglia" Grassonelli nel carcere di Agrigento o di Trapani.
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L'alleanza si estese al gruppo di Palma di Montechiaro, di cui facevano parte Benvenuto Giuseppe Croce e Calafato Salvatore; a quello di Canicattì, formato da Avarello Giovanni, Montanti Giuseppe e Parla Salvatore; a quello di Riesi, al quale appartenevano Riggio Salvatore e Annaloro Franco (soprannominato "zi' Ciccio") e al gruppo di Gela, formato dai componenti la famiglia Iannì, dai fratelli Orazio e Antonio Paolello, da Casciana Rosario, da Velia Orazio e da altri (cfr.
verb. ud. 11.4.1997, pag. 18 - 19, 21 - 24 e 46).
Il collaboratore ha riferito che, in seguito ai rapporti di alleanza, conobbe Avarello Giovanni, con il quale si incontrò anche nella campagna dello zio, Ingaglio Diego, in occasione dei preparativi per commettere l'omicidio in danno di Barba Giovanni (omicidio che era stato deciso all'interno del carcere da uno dei Grassonelli e da La Rocca Salvatore).
L'omicidio fu eseguito dallo stesso collaboratore, dall'Avarello, da Giuseppe Grassonelli e dai gelesi V ella Orazio e Casciana Rosario ( cfr. verb. ud. citata, pag.
34 - 35 e 51).
Ingaglio Giuseppe ha dichiarato, in relazione all'omicidio del dott. R. Livatino, di avere saputo dallo stesso Avarello che ad uccidere il magistrato erano stati loro (vale a dire il gruppo di Canicattì) "perché, nei confronti dei canicattinesi, dava delle pene molto dure" (cfr. verb. ud. citata, pag. 4 e 12).
Il collaboratore ha, quindi, riferito di avere personalmente conosciuto Parla Salvatore, che egli sapeva appartenere al sodalizio mafioso della "Stidda" di Canicattì, nella casa di campagna di Montanti Giuseppe, dove si era recato - nel 1991 e dopo alcuni giorni dalla morte dello zio, avvenuta alla fine di Ottobre di
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quell'anno - assieme a Ingaglio Antonio per acquistare delle armi.
Ha, infatti, dichiarato il collaboratore, riferendosi all'incontro con Parla Salvatore per la vendita delle armi: "Ho avuto la presentazione là ed era uno dei nostri" e, subito dopo," ... Sapevo da loro stessi, come sapevo che c'erano i Migliori, Parla, Gallea e l'Avarello, cioè a Canicattì, nel nostro gruppo" (cfr. verb. ud. citata, pag.
9 e 45).
Egli ha precisato che la casa di campagna, dove avvenne l'acquisto delle anni e dove egli si era recato anche precedentemente, gli era stata indicata dallo stesso Montanti con il quale si era incontrato a Marina di Ragusa in occasione di una riunione tra vari gruppi della "Stidda".
Egli ha, inoltre, riferito che anche Parla Salvatore, il quale aveva accompagnato lo stesso collaboratore e lngaglio Antonio nel luogo dove si trovava il Montanti, aveva partecipato alla trattativa per la vendita delle armi.
Ha, infatti, affermato Ingaglio Giuseppe, su domanda di un difensore che gli aveva chiesto se il Parla avesse preso parte alla trattativa per la vendita delle anni:
"Sì, è venuto poi lui stesso, il Montante ce lo ha portato lui. Noi ci abbiamo dato i soldi, no? E poi ci abbiamo detto dove portarli e li ha portati il Montante direttamente nella casa di campagna di Naro" (cfr. verb. ud. citata, pag. 9 - 10).
Il collaboratore ha, quindi, precisato che, in quell'occasione, ebbero ad acquistare due fucili a pompa, uno corto e uno lungo, per il prezzo di lire 3.000.000 o 3.500.000 e che la somma di denaro fu versata al Montanti da Ingaglio Antonio.
Egli ha aggiunto che i due fucili - su loro indicazione - furono consegnati dal Montanti in una campagna nei pressi di Naro, dove si trovavano anche Cammino
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Gioacchino e Cammino Giovanni, cugini del collaboratore ( cfr. verb. ud. citata, pag. 6 - 11 e 45).
Ingaglio Giuseppe ha, quindi, riferito di avere conosciuto Benvenuto Giuseppe Croce, da lui definito "un organizzatore" di Palma di Montechiaro ed ha aggiunto che con il Benvenuto aveva eseguito "il duplice omicidio Falsone, delle rapine assieme a lui. Era uno che spesso stava assieme con Avarello, diciamo" ( cfr. verb.
ud. citata, pag. 16-17).
Il collaboratore, su domanda del P.M., ha dichiarato che la riunione a Marina di Ragusa ( della quale erano stati avvisati lo stesso collaboratore e Ingaglio Diego da Benvenuto Giuseppe Croce) era avvenuta dopo la strage di Racalmuto e dopo l'arresto a Riesi dell'Avarello, del Riggio, di Antonio Paolello e di qualche altro, di cui non ricordava il nome.
Nel corso della riunione si era discusso, tra l'altro, di aiutare i Sole di Racalmuto che avevano subito "la strage" e un omicidio; doveva anche essere aiutato Collura Vincenzo (facente parte del gruppo della "Stidda") il quale era rimasto vittima di un attentato vicino al palazzo municipale .
Montanti Giuseppe aveva manifestato, durante la numone, l'intenzione di uccidere Mario Milano, appartenente al gruppo dei Di Caro, perché lo riteneva responsabile dell'uccisione del fratello Montanti Angelo ( cfr. verb. ud. citata, pag.
27-31).
Ingaglio Giuseppe ha riferito di avere rappresentato nella riunione a Marina di Ragusa il gruppo di Campobello di Licata, in sostituzione dello zio Ingaglio Diego che stava male; ha, quindi, precisato che alla riunione avevano partecipato, per il
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gruppo di Canicattì, Montanti Giuseppe (subentrato, nella rappresentanza del clan, ad Avarello Giovanni, dopo l'arresto di quest'ultimo); per quello di Palma di Montechiaro, Benvenuto Giuseppe Croce; per quello di Riesi, Annaloro Francesco e per quello di Gela, Paolello Orazio e Iannì Gaetano.
Egli ha precisato - per averlo saputo da Avarello Giovanni - che il gruppo di Canicattì era comandato dallo stesso Avarello ("Finché c'era fuori Avarello, comandava A varello, fuori").
Del gruppo della "Stidda" di Canicattì facevano parte Collura Vincenzo, Parla Salvatore e Montanti Giuseppe; Antonio Gallea, zio dell' Avarello, "era uno dei capi" e "comandava anche dal carcere"; ciò gli fu riferito dallo stesso Avarello che sperava nella scarcerazione dello zio e che gli confidò anche che quest'ultimo, anche durante la detenzione carceraria, manteneva i contatti con il nipote: per Avarello "era tutto Antonio Gallea", ha affermato il collaboratore (cfr.
verb. ud. citata, pag. 27 - 34 e 53, luogo in cui Ingaglio Giuseppe ha ribadito di avere avuto riferito dall 'A varello che Antonio Gallea comandava dal carcere).
Il gruppo di "Cosa Nostra" era rappresentato a Canicattì dai Di Caro e da Gioia (che era soprannominato "l'americano" e che era stato ucciso da Alfredo Sole, dall'Avarello e da Antonio Paolello); egli, tra gli esponenti di "Cosa Nostra" di Canicattì ha, inoltre, indicato, Antonio Ferro ed ha precisato che di questo sodalizio facevano parte altre persone delle quali non ricordava i nomi ( cfr. verb.
ud. citata, pag. 32).
Il collaboratore ha, quindi, ribadito di avere conosciuto l'Avarello nella campagna dello zio Ingaglio Diego pochi giorni prima dell'uccisione di Barba Giovanni ed
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ha precisato che l 'Avare Ilo aveva partecipato a quest'omicidio ed aveva anche preso parte al duplice omicidio in danno dei Falsone (eseguito anche da Benvenuto Giuseppe Croce) e all'uccisione di Smiraglia Gandolfo ( cfr. verb. ud.
citata, pag. 34 - 36).
I Falsone erano stati uccisi perché appartenevano ai "Chiatti" e, ha precisato il collaboratore: "Sono stati ammazzati praticamente perché molto tempo fa uno dei Migliori è stato messo sotto un treno. E pure perché appartenevano ai Di Caro e si sono ammazzati praticamente e lo Avarello ce l'aveva con Falsone Vincenzo" e, poco oltre: "La famiglia Gallea ce l'ha avuto sempre direttamente con Vincenzo Falsone" ( cfr. verb. ud. citata, pag. 35 e 36).
Il collaboratore ha ribadito che l'Avarello gli aveva confidato, mentre s1 trovavano nella casa di campagna di Ingaglio Diego dove l'Avarello si recava spesso, che il giudice Livatino era stato ucciso perché questi era molto severo nei loro confronti.
Egli ha, infatti, dichiarato: "Eravamo seduti in campagna, ce l'abbiamo chiesto, lui ci aveva detto, dice: <<Sì, siamo stati noi perché duro ai confronti, dava molte pene, addirittura pene pesanti" (cfr. verb. ud. citata, pag. 37 e 43).
Avarello Gianmarco così motivò l'omicidio del magistrato: "Proprio questo:
praticamente perché lui, la famiglia di Canicattì, come acchiappava a uno, addirittura con i Chiatti diceva che Livatino aveva paura. Cioè come acchiappava a loro che erano, li faceva ... gli dava una durissima pena. Proprio queste sono le parole esatte" e, subito dopo ha ribadito: "No, no, episodi o esempi non ce ne sono stati. Queste sono le uniche che con loro, come acchiappava qualcuno di
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loro, della famiglia di Canicattì, gli rompeva le ossa con una dura pena praticamente. Dei Chiatti aveva paura Queste sono le formate parole di Avarello"
(cfr. verb. ud. citata, pag. 44).
Il collaboratore, su domanda del Pubblico Ministero, ha riferito che l' Avarello gli aveva parlato di Parla Salvatore, ancor prima dell'incontro per l'acquisto delle armi, dicendogli che Parla Salvatore faceva parte della loro organizzazione ed
"era uno dei nostri, come era Migliori, Giuseppe Montanti e via" ( cfr. verb. ud.
citata, pag. 45) .
Egli ha precisato che fu posta ali' Avarello la domanda sugli autori dell'omicidio del magistrato perché, discutendo sulla spartizione del bottino di rapine in banche organizzate dallo stesso Ingaglio Giuseppe e alle quali avevano partecipato l'Avarello e Benvenuto Giuseppe Croce, costui disse: "Guarda che non ce li prendiamo noi tutti questi soldi, vanno a finire per mantenere questi ragazzi che sono stati arrestati in quel periodo per l'accusa dell'omicidio Livatino" (cfr. verb.
ud. citata, pag. 42) .