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DICHIARAZIONI RESE DA CANCEMI SALVATORE

Nel documento REPUBBLICA ITALIANA (pagine 42-46)

Sentenza Appello "Livatino ter" Capitolo II L'esecuzione materiale del delitto

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successivamente, Pillera Salvatore (cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 19 -22).

Gaspare Mutolo ha dichiarato di non avere avuto notizie sull'omicidio del dott. R.

Livatino e di non avere saputo che vi fosse implicata "Cosa Nostra".

Egli ha, infatti, affermato: "No guardi, tutti ... Io credo che tutti i magistrati morti in Sicilia, sempre sono stati uccisi diciamo per volontà della mafia. E si è saputo sempre anche i motivi quali erano stati. Dal presidente Chinnici, dal dottor Chinnici, insomma a tutti gli altri. Completamente del giudice Livatino, io invece non ne ho mai sentito parlare, parlandone così con altri mafiosi, per dire: <<ma come mai, insomma, questo giudice così giovane?>>. Però mai si sentiva che questo era implicato in fattori di mafia insomma. Ma comunque non ne sapevano niente, io non ho sentito mai parlare come un fattore che appartenesse alla mafia"

(cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 17 - 18 e 26 - 27, luogo in cui il collaboratore ha precisato di avere discusso dell'omicidio del dott. R. Livatino durante il periodo di detenzione nel carcere di Spoleto, tra il 15 Agosto 1991 e il Giugno del 1992) .

2. DICHIARAZIONI RESE DA CANCEMI SALVATORE.

Cancemi Salvatore ha riferito di avere fatto parte di "Cosa Nostra" dal 1976 al Luglio del 1993, come componente della "famiglia" di Portanuova, prima come

"soldato semplice", poi come "capodecina" e, infine, come "sostituto" di Pippo

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collaboratori di giustizia a norma dell'art. 21 O c.p.p.

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Calò che era il "rappresentante" della "famiglia" (cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 29 - 30).

Egli ha così illustrato le ragioni che lo hanno indotto a collaborare: "Mah, io ho deciso perché mi ero, se posso usare questa espressione, mi ero sconcertato di fare parte di questo male; Però non è stata una cosa facile a prendere questa decisione, non è stata una cosa da giocare, è stato molto, molto difficile, più difficile di come io posso spiegare" (cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 41).

Il collaboratore, dopo avere delineato la struttura di "Cosa Nostra" formata da

"famiglie" che fanno capo a un "mandamento" ed avere precisato che i

"capimandamento fanno parte della commissione dove Riina è il capo, unitamente a Provenzano" (commissione provinciale), ha dichiarato: "Sì, c'è la commissione provinciale e poi c'è la commissione regionale, che fanno parte altri capimandamento della commissione, come il Mariano Agate (di) Mazara, come Agrigento c'era Ferro Antonino e via via" (cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 30 - 31 ).

La commissione provinciale e quella regionale si occupano "delle cose più importanti, più eclatanti diciamo, da discutere, gli omicidi di persone importanti", compresi quelli ai danni di magistrati; vi sono collegamenti - ha, inoltre, precisato il collaboratore - tra le diverse province mafiose i cui vertici hanno mantenuto l'obbligo di reciproca infom1azione sulle "cose più importanti", anche dopo l'ascesa di Salvatore Riina che ha sempre salvato "la forma" ( cfr. verb. ud.

8.4.1997, trascrizioni, pag. 31 - 32).

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Cancemi Salvatore ha, quindi, riferito di avere conosciuto, tra gli esponenti di

"Cosa Nostra" di Agrigento, Antonino Ferro quando questi, che rivestiva la qualifica di "capomandamento" di Canicattì e di "rappresentante" della

"provincia" di Agrigento, si incontrò, nel 1983 o nel 1984, con Riina Salvatore;

l'incontro fu organizzato da Raffaele Ganci, "capomandamento" della Noce (cfr.

verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 33 - 34).

Il collaboratore, su domanda del Pubblico Ministero, ha ribadito che era Antonino Ferro il "rappresentante" della "provincia" di Agrigento e che "vicino" al Ferro c'era "uno dei De Caro".

Ha, quindi, proseguito Cancemi Salvatore, riferendo sul De Caro e collocando l'episodio, in un primo momento, nel 1989 o nel 1990 ma, dopo la contestazione del Pubblico Ministero, nel 1991: "Io l'ho visto a Palermo in corso Calatafimi, in una fiaschetteria, una vendita di vini, Tonino La Venia, che questo è il rappresentante della famiglia di corso Calatafimi, che uno di questi De Caro in quel periodo era latitante e curava la latitanza questo Tonino La Venia. E lui mi ha indicato che questo De Caro che ricordo che aveva qualcosa nell'occhio, qualche occhio offeso, una cosa del genere, perché non me l'ha presentato, poi mi ha detto, dicendomi per delicatezza, come latitante dice, io non te l'ho presentato, però mi ricordo che aveva qualcosa: o un occhio offeso, qualcosa del genere" (cfr. verb.

ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 35 - 36).

Cancemi Salvatore ha, quindi, dichiarato che egli, in seno a "Cosa Nostra", frequentava più assiduamente Riina Salvatore, Ganci Raffaele, Biondino Salvatore e La Barbera Angelo; il Biondino (che rivestiva la carica di "capodecina" della

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"famiglia" di San Lorenzo) curava gli spostamenti di Salvatore Riina, ne coordinava gli appuntamenti ed era "la persona più intima a Riina diciamo, unitamente a Ganci Raffaele" (cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 36 - 37).

Fu Biondino Salvatore, con il quale era in "buonissimi" rapporti e che non ebbe mai a dirgli cose non corrispondenti al vero, a confidargli, poco tempo dopo l'uccisione del giudice, che l'omicidio del dott. R. Livatino "non è stato da Cosa Nostra, non è stato commesso da parte di Cosa Nostra ... Cosa Nostra non lo sa, non sa niente di questo omicidio"; il Biondino gli riferì, inoltre, di essersi incontrato qualche giorno prima con Riina Salvatore il quale gli "aveva detto che Cosa Nostra non sapeva niente" (cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 37 - 39 e 40 - 41, luogo in cui il collaboratore ha precisato che Biondino Salvatore teneva i contatti tra Riina Salvatore e gli esponenti mafiosi delle province siciliane ed ha ribadito: che "Cosa Nostra" non sapeva nulla dell'omicidio del dott. R. Livatino;

che egli non aveva sentito parlare di possibili reazioni dello Stato contro "Cosa Nostra"; che ignorava se tali problemi preoccupassero il Ferro).

Cancemi Salvatore ha, quindi, delineato la figura di Biondino Salvatore: "Guardi, io quando parlo di Biondino stavo parlando di una persona, pure se lui era capodecina, però era come se era, come vorrei dire, proprio allo stesso livello di Riina, perché Biondino era quello che passavano nelle mani di Biondino tutto, dico tutto: gli appuntamenti, quando doveva comunicare qualche cosa che ci diceva Riina, spostamenti di Riina, tutto, tutto. Biondino era proprio la persona più fidata che c'era in Cosa Nostra unitamente a Raffaele Ganci e a Totò Riina"

( cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 39 - 40).

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