Sentenza Appello "Livatino ter" Capitolo II L'esecuzione materiale del delitto
1. DICHIARAZIONI RESE DA MUTOLO GASPARE
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CAPITOWIV
DICHIARAZIONI RESE DAI COLLABORATORI DI GIBSTIZIA A NORMA DELL'ART. 210 C.P.P.
1. DICHIARAZIONI RESE DA MUTOLO GASPARE.
Mutolo Gaspare ha dichiarato di avere fatto parte dell'associazione mafiosa "Cosa Nostra" dal 1973 al 1992, in qualità di "aggregato" della "famiglia" di Partanna Mondello, di cui era a capo Riccobono Rosario, "capomandamento" di Piana dei Colli, al quale il collaboratore era "molto vicino, per vincoli di amicizia" ( cfr.
verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 7).
Egli ha, quindi, descritto la struttura di "Cosa Nostra" palermitana nel modo che segue: " ... ogni rione c'era una famiglia, ogni famiglia era composta di un rappresentante che era il capo. Questo rappresentante aveva un consigliere, aveva un sottocapo, aveva un capodecina, dipende quant'era grande la famiglia. E dopo c'erano i soldati. E sopra, diciamo, a questo che funzionava come capo, c'era il capomandamento... Il capomandamento, tutti i capimandamento, avevano un coordinatore che, assieme a questo coordinatore, diciamo, era la commissione che c'era a Palermo" ( cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 8).
La struttura di "Cosa Nostra" era simile nelle altre province siciliane ed esisteva un organo, la commissione regionale "che era formata da personaggi che
andavano al di là di quella che era la commissione locale. E questi personaggi,
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collaboratori di giustizia a norma dell'art. 210 c.p.p.
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insomma si vedevano per le decisioni"; la commissione regionale si occupava
"delle questioni importanti che potevano riguardare i fatti importanti della Sicilia", così coma la commissione provinciale si occupava delle questioni rilevanti della provincia.
Era, comunque, necessario, per gli omicidi più importanti, "un accordo, una presa di responsabilità" dei capi di tutte le province.
Ha, quindi proseguito il collaboratore: "Però c'erano, diciamo, altre organizzazioni, non importanti come la mafia, ma uguali anche loro organizzati con strutture parallele a quelle che erano della mafia. Anche perché in alcuni gruppi chiamati così: <<i stiddari>>, oppure i <<fuoriusciti>>, c'erano persone che un tempo erano state mafiose. E la roccaforte di questi personaggi era più che altro nella zona dell'agrigentino, insomma, nel catanese. Invece nel palermitano ce n'erano poco e niente, proprio" (cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 8 - 11).
Mutolo Gaspare ha, poi, precisato che egli, anche durante i lunghi periodi di detenzione in carcere, aveva continuato a mantenere i contatti con "uomini d'onore" ristretti in carcere e ad avere notizie dall'esterno .
Egli ha, infatti, affermato: "Guardi, io non so ora come sono ristrutturate insomma le carceri, ma fino a quando io sono uscito nel '92, cioè, qualsiasi notizia veniva, entrava e usciva tra noi detenuti. Potevamo essere nel carcere, ali' ospedale, insomma, non c'erano problemi. Arrivavano nel giro di 24 ore, arrivavano, qualsiasi notizia arrivava. Perché continuamente c'erano i colloqui e quindi, anche se uno era nelle carceri speciali, il carcere speciale allora era un mezzo per non evadere, non per esserci isolamento, per non avere contatti con altri mafiosi.
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Quindi io, fino a quando sono uscito, ero in contatto con Pippo Calò, con Porcelli, con i fratelli Spadaro, con altri vicini di detenuti ... Ed eravamo, diciamo così, in un carcere speciale. Però noi ci vedevamo sempre" (cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 11 - 13).
Il collaboratore, dopo avere affermato di avere ricevuto in carcere notizie sugli omicidi del giudice Saetta e del colonnello dei carabinieri Russo, ha precisato - in relazione ai "gruppi stiddari" - di avere conosciuto nel 1974 o nel 1975 due
"fuoriusciti" dalla mafia (Gioè Imperiale e Giuseppe Glorioso) ed ha riferito che, in quel periodo, vi era pacifica convivenza tra gli "stiddari" e "Cosa Nostra".
Con l'ascesa di Totò Riina, avvenuta nel 1978, il gruppo degli "stiddari" s1 rafforzò poiché molti, che non erano d'accordo, abbandonarono "Cosa nostra" per paura di essere eliminati; il contrasto tra "Cosa Nostra" e gli "stiddari" si acuì e divenne aperto, come gli fu confermato in carcere da "persone" di Catania e di Niscemi le quali gli avevano raccontato che "avevano dei gruppi fortissimi che contrastavano un certo Piddu Madonia e altre persone di quella zona" ed avevano creato una struttura analoga a quella di "Cosa Nostra" ( cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 14 - 17 e 23 - 25).
Egli ebbe notizie, alla fine del 1985 e durante un periodo di detenzione nel carcere di Trapani dove erano state trasferite persone provenienti dal carcere di Agrigento, dell'esistenza della "Stidda" ad Agrigento; di questa organizzazione non era, tuttavia, in grado di indicare gli appartenenti; ha, poi, precisato che della "Stidda"
gli avevano pure parlato, ma in epoca precedente, Di Cristina Giuseppe e,
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successivamente, Pillera Salvatore (cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 19 -22).
Gaspare Mutolo ha dichiarato di non avere avuto notizie sull'omicidio del dott. R.
Livatino e di non avere saputo che vi fosse implicata "Cosa Nostra".
Egli ha, infatti, affermato: "No guardi, tutti ... Io credo che tutti i magistrati morti in Sicilia, sempre sono stati uccisi diciamo per volontà della mafia. E si è saputo sempre anche i motivi quali erano stati. Dal presidente Chinnici, dal dottor Chinnici, insomma a tutti gli altri. Completamente del giudice Livatino, io invece non ne ho mai sentito parlare, parlandone così con altri mafiosi, per dire: <<ma come mai, insomma, questo giudice così giovane?>>. Però mai si sentiva che questo era implicato in fattori di mafia insomma. Ma comunque non ne sapevano niente, io non ho sentito mai parlare come un fattore che appartenesse alla mafia"
(cfr. verb. ud. 8.4.1997, trascrizioni, pag. 17 - 18 e 26 - 27, luogo in cui il collaboratore ha precisato di avere discusso dell'omicidio del dott. R. Livatino durante il periodo di detenzione nel carcere di Spoleto, tra il 15 Agosto 1991 e il Giugno del 1992) .