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Il digital divide di genere

LE NUOVE TECNOLOGIE: UN PATRIMONIO PER TUTTI?

2.1 Il digital divide di genere

«La crescente diffusione delle tecnologie digitali ha generato numerose riflessioni in merito alle ricadute in termini sociali di internet (Di Maggio, Hargittai, Celeste, Shafer, 2001). La questione del Digital Divide, posta inizialmente nei termini di una dicotomica contrapposizione tra

information haves e information have nots, si è progressivamente focalizzata sulle

caratteristiche che componevano il variegato quadro dei soggetti che da tali innovazioni sono esclusi e sulle conseguenze prodotte dall’aumentare dei «vuoti di informazione» tra le diverse classi sociali (van Dijk, 2002, ed. or. 1999). L’attenzione si è focalizzata principalmente sulle disuguaglianze che la diffusione delle reti ha portato con sé (van Dijk, 2005)»(Bracciale R., (2010), p. 1).

Le “questioni” di genere in relazione alle nuove tecnologie costituiscono oggi un campo sempre più minato, gli scenari teorici sono andati articolandosi in maniera sempre più complessa (Haraway, 1991; Turkle, 1995; Bimber, 2000; Sartori, 2006) e la velocità dei cambiamenti ha reso più arduo collegare ricerca empirica a prefigurazione di scenari minimamente stabili.

Oggi il gender divide corrisponde a una geografia estremamente diversificata per nazioni, culture, livelli di formazione, economie, e anima sia il fronte politico femminista sia il fronte della ricerca empirica.

Sul fronte politico femminista troviamo le storiche posizioni pro-tecnologiche incarnate da Donna Haraway, secondo la quale le tecnologie offrono nuove fonti di potere poiché conducono a quelle rielaborazioni dei concetti di razza, sesso e classe che possono aumentare l’importanza del femminismo sociale finalizzato alla costituzione di una politica progressista efficace (Haraway, 1991). Dall’idea che le tecnologie possano essere strumenti per imporre significati, utili per il mondo

femminile, passiamo a posizioni più caute quando prendiamo in considerazione il fronte delle ricerche empiriche che indagano l’evidenza delle disuguaglianze digitali legate alle questioni di genere.

Laura Sartori (2006), ad esempio, punta sull’ipotesi della stratificazione, invitando a considerare il genere solo uno dei fattori che, insieme ad altri, concorrono al divario digitale. Resta il fatto che evidenze empiriche sostengono l’esistenza di differenze di genere sia nell’accesso sia nell’uso delle tecnologie.

La varietà di tali differenze a livello internazionale obbliga a contestualizzare i dati e le analisi negli specifici contesti di riferimento, portandoci a confrontare, ad esempio, le maggiori ricerche empiriche condotte negli Stati Uniti (PEW - internet & American Life Project), in Europa (ricerche EUROSTAT) e infine nei singoli Paesi.

Bruce Bimber in una ricerca condotta su scala nazionale dal University of Maryland’s Survey Research Center (1996-1999), dimostra come le differenze relative all’accesso di internet (access gap) non possano essere ricondotte a fattori specificamente legati al genere, bensì allo status socio-economico, mentre le differenze relative all’uso di internet (use gap) sembrerebbero il risultato di una combinazione di variabili socio- economiche e fattori specificamente riferibili al genere.

Se consideriamo il caso italiano, prendendo in considerazione dati più recenti (ISTAT 2012), restano evidenti differenze di genere sia nell’accesso sia nell’uso delle tecnologie e di internet in particolare.

Un risultato interessante, che accomuna la ricerca di Bimber negli Stati Uniti nel 1999 (in linea anche con le ricerche condotte da NIELSEN//NETRATINGS) e la ricerca ISTAT in Italia, è che le donne risultano essere utilizzatrici meno intensive di internet rispetto agli uomini.

La ragione può essere legata a diverse ragioni che rendono difficile prevedere la configurazione futura del rapporto tra genere e tecnologie: la tecnologia incarna valori maschili, la tecnologia propone contenuti che interessano maggiormente gli uomini, differenze di genere nell’apprendimento e nella comunicazione, fattori socioeconomici (qui la letteratura di settore è ampia, in merito si vedano le posizioni più femministe di autrici come Sadie Plant e Dale Spender, 1996, e gli studi, anche empirici, di Sherry Turkle, 1995).

Diverse valutazioni del genere, fatte nazione per nazione, sfatano dunque il mito semplicistico che il gender divide sia strettamente legato al digital divide e si risolva quando quest'ultimo viene colmato.

A influire pesantemente sul “quanto” le tecnologie ICT vengano adottate dalle donne sono anche la struttura sociale della singola nazione, l'accesso all'istruzione, il benessere economico, l'età e la distribuzione del “dove” le tecnologie stesse possono essere usate.

Tra le dimensioni problematiche che riguardano il gender divide specificamente riferito a internet troviamo la relazione tra access gap e use gap.

Le nostre giovani universitarie, in linea con le ricerche sia europee che americane, non presentano un problema di accesso alle tecnologie, per contro presentano differenze significative rispetto agli uomini nella dimensione degli usi.

Sembra dunque confermato il fatto che l’accesso alle tecnologie non sia più fattore discriminante nelle differenze di genere.

I risultati che testimoniano l’assenza di un “problema” di genere nell’accesso ad internet, emergono dagli incroci tra genere e disponibilità di PC e di connessione a banda larga. Le donne risultano essere in maggioranza delle basse conoscitrici di internet, per contro gli uomini sono decisamente iper conoscitori.

Rileggendo e commentando i risultati in questa ottica potremmo dire che le donne appaiono più selettive degli uomini.

Il carattere di selettività si specifica, dunque, quando andiamo a vedere perché le donne utilizzano la Rete: la selettività potrebbe essere il frutto di una concentrazione degli utilizzi finalizzata a esigenze specifiche guidate dal contesto, nel nostro caso quello universitario. Ne deriva una idea e un approccio alla Rete, da parte delle donne, prevalentemente strumentale, la Rete sarebbe meno vissuta per le sue valenze “identitarie” e ludiche e più per la sua “utilità”.

Sherry Turkle, nel suo saggio: “Computational reticence. Why women fear the intimate machine” (1988), cerca di descrivere le ragioni di quella che lei stessa definisce una vera e propria “reticenza” tutta femminile verso il computer e la Rete, nelle sue ricerche condotte alla fine degli anni Ottanta emerge che le donne preferiscono definirsi come semplici utenti del PC insistendo paradossalmente sul fatto che il computer è solo uno strumento, mentre poi tendono verso stili di utilizzo più legati all’idea dell’incontro relazionale, fisico e tattile con il mezzo tecnologico.

È come se avessero paura di essere eccessivamente coinvolte. Nella relazione col PC, le ragazze vogliono distinguere il lato cognitivo da quello affettivo, sottolineando della macchina l’intelligenza e la mancanza di sentimenti.

In sintesi, afferma la Turkle, più le donne utilizzano il computer in maniera “soggettiva”, più sembrano insistere sul computer come puro strumento.

Tra le ragioni di tale tensione che sembra dominare il mondo femminile per la tecnologia, la Turkle mette l’accento sul contesto e l’ambiente all’interno del quale si instaura la relazione donna/computer: una relazione libera e basata sulla negoziazione e sull’interattività è più realizzabile in un ambiente privo di condizionamenti, ad esempio non all’università. Le donne sembrano essere più interessate agli utilizzi che si concentrano sulle relazioni umane e sulla comunicazione interpersonale, rispetto agli uomini che considerano la Rete per le diverse e molteplici “esperienze” che essa può offrire.

«Per analizzare l’universo femminile, si procederà lungo tre direttrici: “Accesso”, inteso come qualità e autonomia della connessione; “Competenze”, rifirite alle abilità necessarie per utilizzare il computer e la rete; “Uso”, riferito alle attività concrete che gli utenti effettuano quando sono connessi (Bentivegna, 2009)»(Bracciale R., (2010), p. 1).