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striali: il 1949. Tra continuità e rotture

Un primo segnale delle posizioni che sempre più rigidamente vanno conso- lidandosi all’interno del perimetro delle fabbriche ci viene fornito dal quoti- diano “La Gazzetta”, che l’8 gennaio sulla pagina della cronaca locale titola “Alla Saint-Gobain oggi due ore di sciopero”. Nell’articolo sottostante si legge infatti che:

A seguito della unilaterale posizione della Direzione, intesa ad eli- minare dai lavori interni la Cooperativa di produzione e lavoro di Porta a Mare, tutti i dipendenti dello stabilimento sospenderanno oggi il lavoro in segno di protesta dalle ore 10 alle ore 12 [. . . ]. Si rende noto che la manovra della Direzione era tesa a escludere politicamente una Cooperativa formata da ex dipendenti dell’a- zienda, tutti abitanti del popoloso rione di Porta a Mare, rei di non aver altra colpa che di essere organizzati alla famiglia unitaria della nostra Camera del Lavoro71.

Due giorni dopo, in una relazione che la Compagnia dei carabinieri di Pisa invia al prefetto, si fa riferimento ad «una discussione alquanto vivace durante la lunga seduta», tra la Ci di fabbrica e il direttore della Saint Gobain Betancourt al termine della quale «le maestranze, avendo dato ascolto alle intimazioni del comunista Costa Guglielmo fatte sabato scorso, da stamane hanno iniziato la riduzione della produzione del 20 %». Inoltre, conclude la relazione «a quanto è dato sapere, i lavoratori comunisti avrebbero in animo

di occupare la fabbrica». Allegato al rapporto dei carabinieri vi è anche un avviso che la direzione, in seguito all’incontro con la Ci, avrebbe fatto affiggere all’interno dello stabilimento, in cui viene chiarito che:

La Direzione Generale deplora la decisione illegale presa dalla Commissione interna e già attuata dalle maestranze [. . . ], e si incarica di comunicare alle maestranze quanto espresso : 1) il trattamento economico del personale che ha posto in atto la ri- duzione della produzione verrà adeguato proporzionalmente alla riduzione stessa, 2) ad eccezione del personale addetto ai forni in produzione, tutto il personale degli altri reparti dovrà osservare da oggi stesso l’orario di 40 ore la settimana72.

All’alba del 1949 si presenta quindi per la direzione della Saint-Gobain l’occasione favorevole per apportare un vasto processo di “normalizzazione” nei rapporti con il movimento operaio. Nondimeno a partire dalla fine del 1947, con il rientro a Pisa dell’intero management francese, al principale progetto di portare progressivamente lo stabilimento a una produzione di 2,5 milioni di tonnellate l’anno di cristallo, consolidandone il primato sul mercato italiano73, si accompagna un altrettanto rapido peggioramento nelle

relazioni di fabbrica. In questa cornice sembra così sempre più improroga- bile per i vertici aziendali l’esigenza di spezzare quel reticolo di contropoteri molto attivo all’interno della fabbrica. D’altra parte quello di Porta a Ma- re è «un quartiere tutto operaio, cresciuto intorno alla Saint-Gobain»74, e

all’interno di questo gli operai della Cooperativa, che la direzione intende

72ASPi, Gab. Pref. b. 25, catg. 11. relazione del 10/1/1949 della Legione Territoriale

dei Carabinieri di Livorno, Compagnia di Pisa.

73Gian Carlo Falco, L’industrializzazione imperfetta. Un profilo dell’esperienza indu-

striale della Provincia di Pisa nella prima metà del Novecento, in La Provincia di Pisa (1865-1990) a cura di Elena Fasano Guarini, Bologna, Il Mulino,2004,p.298.

74Catia Sonetti, Dentro la mutazione. La complessità nelle storie del sindacato in pro-

vincia di Pisa. Introduzione di Vittorio Foa e Pino Ferraris, Torino, Einaudi, 2006, p. 48.

licenziare, rappresentano una componente essenziale, sia per la loro identità individuale che per il loro rapporto con la fabbrica, essendosi questi distin- ti fin dall’immediato dopoguerra, in un quartiere peraltro altamente colpito dai bombardamenti dell’agosto del 1943, in una vasta opera di ricostruzione all’interno dello stabilimento. La concatenazione tra la capacità di organiz- zazione delle avanguardie militanti e le spinte spontanee della massa operaia contribuiscono così al radicamento all’interno della Saint-Gobain di una spic- cata dinamica conflittuale e rivendicativa, che si concretizza anche attraverso la germinazione di organismi di base capaci di alterare la forma e la sostanza del comando aziendale. Cristiana Torti ha segnalato che nel 1948 su un to- tale di circa 1250 dipendenti, 800 sono iscritti al Pci, organizzati in 9 cellule e un Comitato di fabbrica75. In tale prospettiva il ricorso alla riduzione della

produzione, la «non collaborazione», in risposta alle misure dell’azienda, non si presenta solo come una forma estrema di resistenza collettiva e simbolica, ma si inserisce, a nostro avviso, nel ruolo che il movimento operaio, anche sulla scorta di interlocutore imprescindibile per garantire la sopravvivenza e la ripresa produttiva degli impianti, si è autonomamente e legittimamente conquistato nell’immediato dopoguerra.

La messa in discussione di questo spazio di legittimazione e di intervento del movimento operaio della Saint-Gobain si intensifica alla fine di gennaio. A seguito del fallito incontro per discutere sulla vertenza, tra l’Unione indu- striale pisana, in rappresentanza dell’azienda, e i rappresentanti della Camera del Lavoro, il 23 gennaio la direzione «ha fatto spegnere il forno adibito alle mattonelle di vetro pressato», portando così «all’integrazione salariale circa 110 operai», inoltre ha disposto «il licenziamento dell’operaio comunista Sa- lani Vittorio, addetto al reparto refrattari, per non aver pesato nella giusta misura le materie di composizione»76.

75Torti, Dalla ricostruzione ai primi esiti della scissione, cit., p. 271. 76ASPi, Gab. Pref., b. 25, catg. 11.

La posta in gioco va quindi ben oltre l’alternativa del licenziamento- riassunzione della Cooperativa del quartiere di Porta a Mare; nelle misure adottate dall’azienda sembra infatti emergere in modo decisivo la questione chiave del potere in fabbrica, e in tale prospettiva il seguito della vertenza rappresenta la cartina al tornasole delle relazioni industriali che la direzione della Saint Gobain, in sintonia con i maggiori gruppi imprenditoriali, intende istituire e di gran lunga privilegiare.

Il 17 febbraio il quotidiano “Il Tirreno” pubblica sulla cronaca locale una lettera del “Sindacato Autonomo”, nella quale «il Consiglio Direttivo» del- la nuova organizzazione sindacale rivolge «un appello alle maestranze della Saint-Gobain», dove viene reso noto che:

In seguito all’agitazione del 7 gennaio 1949, agitazione non sentita dalla parte sana dello Stabilimento perché non basata su necessità economiche sindacali, si è reso necessario costituire un’organizza- zione sindacale scevra da qualsiasi attività politica, onde illumi- nare gli operai e riportare questi su una linea di collaborazione con la Direzione [. . . ]. Nessuno si è inchinato; collaborazione, sin- cerità, fraternità. Questo noi vogliamo. Facciamo vetro, vetro, vetro, più vetro faremo e più potremo chiedere e più saremo uniti gli uni agli altri in una vera famiglia77.

La linea «scevra da qualsiasi attività politica» che il nuovo sindacato in- tende seguire sembra avere effetti immediati, e nel corso della stessa giornata nella relazione che i carabinieri inviano al prefetto si precisa che:

Vivo interessamento viene esplicato dai sindacalisti comunisti del- la Camera del Lavoro di Pisa per conciliare la nota vertenza, ma la Direzione si mantiene irremovibile [. . . ]. Frattanto la Direzione,

informata che 32 operai già collocati all’integrazione avevano ade- rito al nuovo Sindacato Autonomo, li ha fatti richiamare in ser- vizio con pubblico manifesto [. . . ]. Gli iscritti al nuovo sindacato sono saliti a 35078.

Vengono così messe in luce le principali direttrici entro le quali la direzione della Saint-Gobain intende muoversi. Il confronto con la classe operaia deve allora essere confinato sul terreno esclusivamente economico, privilegiando in questo modo i rapporti con i sindacati che non intendono mettere in discus- sione i poteri e le strategie aziendali; si tratta – come ha indicato Massimo Legnani in riferimento agli orientamenti generali dei gruppi imprenditoriali – di una richiesta di sottrazione dell’economia alla politica, in un contesto nel quale la rivendicazione del «principio di autorità» evocato da Angelo Costa si pone come metro discriminante sia delle decisioni economiche che dei rap- porti politici. In questa prospettiva allora il lavoro diviene una componente organica del sistema capitalistico; nondimeno da parte degli imprenditori, già nell’immediato dopoguerra:

più che su una rappresentazione negativa del conflitto sociale in quanto tale si insiste sui pericoli di una deriva degenerativa della dialettica fra le parti: la patologia è identificata nella «politicizza- zione» di un confronto il quale, se mantenuto nel suo «naturale» alveo apolitico, sfocia senza troppi ostacoli in un’intesa79.

L’origine del conflitto sociale - come ha sottolineato Baldissara - è dunque individuata, come già nel prefascismo, nella politica; la quale, piuttosto che contribuire a comporre o mediare i contrasti, li alimenta80.

Il tema dell’«apoliticità» si pone anche come uno dei maggiori cavalli di battaglia della corrente scissionista all’interno della Cgil, che determina la

78Ivi. Relazione dei Carabinieri di Pisa del 17/2/1949.

79Bellassai, Noi classe. Identità operaia e conflitto sociale in una democrazia imperfetta

(1947-1955), cit., p. 155.

rottura dell’unità sindacale consumatasi nel luglio del ’48. Piero Craveri ha evidenziato che le novità dei programmi dei Sindacati Liberi, poi conflui- ti nella Cisl, dal principio dell’«associazione contrattualistica» a quello del «parametro produttività salario», basati sul progetto di stabilizzazione delle relazioni industriali, presupponevano «proprio ciò che in quegli anni veniva a mancare», e cioè, conclude Craveri, «un livello avanzato di integrazione della classe operaia nel contesto della società e delle istituzioni politiche»81.

E la rottura dell’unità sindacale contribuisce ad amplificare quest’ultimo aspetto; il movimento operaio e sindacale - in primo luogo Cgil e Fiom - si trova così ad affrontare un “surplus” di sacrifici, di costi umani e di scontri, per difendere la soglia di legittimazione quale soggetto attivo all’interno della società e dei luoghi di lavoro. In tale contesto si dispiega anche la lunga vertenza che coinvolge gli operai della Piaggio di Pontedera, dove all’offensiva padronale del gennaio 1947 intesa a ripristinare l’unicità del comando e della gerarchia interna, fa seguito una graduale disposizione della Commissione interna ad un agire politico più radicale e meno disponibile ai tatticismi82.

Ad accelerare lo stato di tensione nei rapporti di fabbrica contribuisce in una certa misura anche l’eco della lotta che gli operai della Saint-Gobain hanno intrapreso all’inizio di gennaio del 1949. Secondo la relazione che il prefetto invia il 2 febbraio al ministro dell’Interno, in seguito alla richiesta di precisazioni in merito alla vertenza espresse da quest’ultimo, viene infatti segnalato che:

Il 17 gennaio il segretario provinciale della Fiom dietro invito della CI di fabbrica, si recava nell’interno dello stabilimento, ove parlava agli operai, invitandoli a solidarizzare con le maestranze dello stabilimento Saint Gobain, tuttora in agitazione. La CI prese la cennata iniziativa in contrasto ai vi- genti accordi contrattuali e senza avere ottenuto la preventiva autorizzazione della Direzione. Oltre a ciò, lo stesso giorno gli operai che avrebbero dovuto

81Craveri, Sindacato e istituzioni, cit., p. 296.

82Andrea Rapini, La nazionalizzazione a due ruote. Genesi e decollo di uno scooter,

trattenersi nello stabilimento per eseguire il lavoro straordinario, abbando- narono il posto di lavoro per partecipare alla riunione indetta dalla CI presso la Camera del Lavoro83.

Un quadro ulteriore dei rapporti di forza che vanno delineandosi all’inter- no dello stabilimento ci viene fornito dalla corrispondenza tra la Commissione interna e la direzione, riguardante i giorni immediatamente successivi all’e- pisodio citato da rapporto della Prefettura. Il 19 gennaio la Commissione interna chiede di conoscere i motivi che hanno determinato il rifiuto azienda- le di «discutere nella normale riunione quindicinale», sostenendo che «dove esistano tali supposte anormalità, questa CI non troverebbe mezzo migliore che quello di discutere», e conclude informando la direzione «che domani alle 12:30 riuniremo i lavoratori nel refettorio per mettere a conoscenza tutti della situazione determinatasi nostro malgrado»84.

La risposta giunge inequivocabile. Dopo aver ricordato l’iniziativa presa dai lavoratori il 17 gennaio «senza alcuna autorizzazione», viene ribadito che:

Questa Direzione non autorizza la riunione delle 12:30 e atten- de comunicazione che deplori gli episodi sopra accennati, e di assicurazione che in avvenire non si ripeteranno85.

La direzione, in perfetta sintonia con la linea già tracciata negli anni pre- cedenti, non può che deplorare una iniziativa che lacera la stretta disciplina di fabbrica e mina l’ordine dei rapporti gerarchici. Da parte sua la compo- nente aderente alla Fiom della Commissione interna, dopo aver ricevuto la sconfessione dei primi «sindacati liberi», decide di sostituire alla collabora- zione produttiva una forma di sciopero bianco, invitando tutte le maestranze ad attenersi scrupolosamente alla lettera del contratto collettivo, interrom- pendo quindi tutte quelle operazioni implicite e quelle informali che rendono

83ASPi, Gab. Pref., b. 25, catg. 11, relazione del prefetto del 2/2/1949. 84AsP, Fondo Lanzara, fil. 186. fasc. 1, comunicazione della Ci del 19/1/1949. 85Ivi. Comunicazione della direzione del 20/1/1949.

possibile il lavoro. In una comunicazione interna indirizzata alla direzione, un caposquadra segnala che:

In questi ultimi giorni ho notato un abbassamento del ritmo pro- duttivo dell’officina: sulle linee di più facile controllo, come quelle dei cilindri che ha prodotto il 7 e 8 febbraio 75 pezzi anziché 100, come è nella sua possibilità, ho eseguito un’indagine: l’opera- io Guerrazzi che segue la IX operazione di tornio ha specificato trattarsi della cosiddetta «non collaborazione»86.

Questa forma di lotta si scontra tuttavia con la fermezza di una dire- zione aziendale che si mostra irremovibile di fronte a qualsiasi tentativo di mediazione e confronto. Nella piattaforma sindacale elaborata dai lavoratori ricompaiono d’altra parte i nodi della limitazione dello straordinario e dei miglioramenti salariali che il gruppo dirigente ha cercato fin dall’immediato dopoguerra di gestire unilateralmente, senza la codeterminazione dei rappre- sentanti operai. Nondimeno prendendo in esame le dinamiche di lotta attuate dal movimento operaio nel corso di questa vertenza, Andrea Rapini ha osser- vato che mentre sotto il profilo della cittadinanza in fabbrica le maestranze non conseguono alcun avanzamento, sotto quello dell’«autorappresentazione» si configura invece come un passaggio decisivo. Quello apertosi a gennaio al- la Piaggio si presenta infatti come il primo profondo scontro della stagione repubblicana, nel quale la classe operaia, sottolinea Rapini «imparò nuo- ve astuzie nella grammatica del conflitto», attraverso la capacità di reggere anche nei momenti più duri e di consolidare alcune posizioni87.

Negli stessi giorni in cui alla Piaggio gli operai abbandonano la «non col- laborazione» e riprendono a pieno ritmo la costruzione della Vespa, ricevendo come concessione dall’azienda soltanto la sospensione dei provvedimenti di- sciplinari contro gli addetti del reparto attrezzeria e la disponibilità “formale”

86Riportato da Rapini, La nazionalizzazione a due ruote, cit., p. 165. 87Ivi. p. 168.

a trattare la richiesta di aumenti salariali, il nodo ancora irrisolto del lavoro straordinario esce dal perimetro della fabbrica e diviene uno dei principali ca- pi d’accusa su cui ricadono le cause della pesante situazione di disoccupazione di Pontedera e di tutto il territorio circostante. Il 9 febbraio sul tavolo del presidente dell’Ufficio provinciale del Lavoro di Pisa giunge infatti il testo di un «ordine del giorno» del Comitato dei disoccupati di Pontedera, in cui vie- ne reso noto che «l’attuale crisi del settore industriale della Provincia ha fatto sì che varie migliaia di ex dipendenti dello stabilimento Piaggio si trovino sul lastrico e perdute tutte le possibilità di impiego in altri settori dell’attività produttiva, intravedono in un aumento delle maestranze dello stabilimento l’unica possibilità di lavorare». Per il Comitato questa possibilità può diveni- re reale «in quanto da mesi e mesi alla Piaggio si effettuano migliaia di ore di straordinario, che ammontano finora ad un numero di 180.000 mensili». Nel testo è presente anche un altro elemento che sembra ostacolare oltremisura un plausibile impiego all’interno dello stabilimento; viene infatti denunciato che «le assunzioni vengono fatte, non in base al criterio di giustizia, tenen- do conto cioè dell’anzianità e della qualifica del lavoratore che deve venire assunto, ma solo grazie ad interferenze che esulano dal controllo degli ex di- pendenti e contro gli interessi di essi». Per risolvere questa grave situazione il Comitato richiede infine di istituire presso l’Ufficio comunale del Lavoro di Pontedera «una Commissione eletta dagli ex dipendenti» con il compito di esaminare «tutte le future assunzioni e che possa far sentire la sua voce in questo settore»; dal canto loro «la Direzione e la Commissione interna» de- vono impegnarsi «a non procedere a nessuna assunzione senza la preventiva autorizzazione della Commissione di controllo degli ex dipendenti»88.

L’ordine del giorno del Comitato, pur presentando delle proposte quan- tomeno ambiziose, soprattutto per il punto in cui auspica una collaborazione tra Direzione e Commissione interna nella gestione delle assunzioni, in un contesto contrassegnato dalla continua volontà della prima di sottrarre dalle

competenze degli organismi operai qualsiasi controllo e gestione delle dinami- che aziendali; mette comunque a fuoco un aspetto centrale, e cioè la richiesta proveniente “dal basso” della necessità di un coinvolgimento dei diversi attori sociali e istituzionali in un ampio processo di ridefinizione e indirizzo delle coordinate economiche e produttive del territorio. Tale necessità verrà peral- tro ampliata, a livello nazionale, alla fine del 1949 quando il movimento sin- dacale tenterà di affermare un proprio ruolo sociale attraverso l’elaborazione di un progetto di sviluppo alternativo a quello sostenuto dalle forze politiche ed economiche dominanti. Con il Piano del lavoro presentato al II Congresso della Cgil nell’ottobre del ’49 viene infatti proposto un indirizzo di cresci- ta fortemente incentrato sulla promozione della domanda interna attraverso l’intervento dell’iniziativa pubblica in alcuni settori chiave dell’economia, in particolar modo agricoltura ed edilizia, cercando di coinvolgere «un arco di forze assai vasto, dagli occupati ai disoccupati, dai lavoratori delle grandi aziende a quelli delle piccole, sino a larghi strati di ceti medi»89. Tuttavia è

proprio la legittimazione di questo ruolo sociale del sindacato a venir meno; alle misure repressive messe in atto dal governo nei giorni immediatamente successivi all’attentato a Togliatti si seguono infatti una serie di interventi di carattere amministrativo in cui, come ha evidenziato Baldissara, «la presunta neutralità della mediazione ministeriale evapora sotto il fuoco della volontà politica di emarginare la Cgil classista»90. L’attività pubblica di tutela delle

condizioni di lavoro e di intervento sul mercato del lavoro si pone come un momento indispensabile per l’intervento del sindacato, specie in situazioni di crisi occupazionali - come quella che nel 1949 coinvolge ancora in buona parte la provincia di Pisa - per mantenere un controllo sulla mobilità interna ed esterna della forza lavoro. Tuttavia anche sul campo specifico della discipli- na del collocamento il governo insieme all’azione congiunta del ministro del Lavoro Fanfani, pur ribadendo il principio della «funzione pubblica», si pone

89Caredda, Governo e opposizione nell’Italia del dopoguerra, cit., p. 74. 90Baldissara, Democrazia e conflitto, cit., p. 41.

l’obiettivo concreto di operare in senso antisindacale, attraverso l’ammissione delle chiamate nominative e la mobilità interaziendale, riducendo al minimo il controllo sindacale sulle pratiche. La preoccupazione di emarginare la Cgil come interlocutore sindacale diventa quindi, come ha osservato Craveri, «un ostacolo funzionale», non permettendo alla attività ministeriale di concepire il proprio intervento «nel processo dinamico della conflittualità sociale»91.

In sintonia con tali posizioni il Presidente dell’Ufficio del Lavoro di Pisa si farà carico di riportare la questione posta dal Comitato dei disoccupati sul terreno burocratico-amministrativo, delegando così al prefetto il compito di «accertare le circostanze dedotte con particolare riferimento al dichiarato numero di ore di straordinario» e con l’esplicita richiesta di «adottare quei provvedimenti che si riterranno più opportuni per promuovere sollecite ed adeguate possibilità di riassunzione degli ex dipendenti disoccupati»92.