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Ridefinizione del conflitto sociale: le Commissioni interne alla

missioni interne alla prova

Mentre per tutto il 1945 l’azione sindacale, e in particolar modo quella della Camera del Lavoro di Pisa, è stata caratterizzata da una certa moderazione, all’inizio dell’estate del 1946 si mette in moto una dialettica diversa. L’inizia- tiva parte dal basso; come ha mostrato Carla Forti sono infatti le maestranze a muoversi, prevenendo la Camera del Lavoro.

É quanto accade ad esempio nel giugno del ’46 alla Società Anonima La- vorazione Pinoli, dove la richiesta di aumenti salariali che viene dai trecento operai occupati nell’azienda coglie in contropiede la Camera del Lavoro, la quale cambia obiettivo alla vertenza. Non sentendosi di far propria la ri- chiesta di aumento salariale, il sindacato porta avanti una rivendicazione incentrata sul sussidio mensa, visto che nello stabilimento la mensa manca- va. L’obiettivo così posto porta ad una positiva conclusione della vertenza

ben accolta anche in questo caso dal prefetto oltre che dallo stesso presidente dell’Unione Industriali pisana, Harry Bracci Torsi29.

Ben più cariche di contenuti sono invece le due agitazioni operaie che prendono avvio nell’ottobre dello stesso anno. La posta in gioco non riguar- da solamente gli aumenti salariali ma investe nella sua totalità il rapporto tra operai e datori di lavoro, unita dal veder riconosciute da parte di quest’ul- timi delle rappresentanze operaie democraticamente elette. In gioco ci sono anzitutto le «idee con le quali e per le quali tanti hanno combattuto la guerra di liberazione»30. E quelle idee per molti operai non significano soltanto una

minimale garanzia di sussistenza ma anche e in primo luogo l’affermazione di specifici valori di «cittadinanza politica»31.

I primi ad entrare in agitazione sono, in un momento in cui nella maggior parte degli stabilimenti si lavora ancora per rimettere in funzione gli impianti distrutti, gli operai agricoli della tenuta di Migliarino pisano, dove l’Ammi- nistrazione Salviati impiega seicento tra camporaioli, boscaioli e cottimisti, addetti fra l’altro alla lavorazione di pine e pinoli.

Gli operai agricoli entrano in sciopero la sera del 2 ottobre per ottene- re - secondo quanto possiamo apprendere da un promemoria inoltrato il 10 ottobre dal segretario dell’Associazione provinciale degli Agricoltori al vice- prefetto Carlo Speroni - “il riconoscimento incondizionato delle Commissioni interne”. Il segretario definisce illecita, illegale e quindi del tutto inaccettabile la condizione pregiudiziale posta dagli operai; inoltre fa sapere al viceprefet- to che l’Amministrazione Salviati è disposta a trattare con i mandatari degli operai qualora questi ultimi esprimano per iscritto individualmente il loro intendimento, designando in pari tempo i mandatari stessi. Tuttavia il 20 ottobre ’46 si giunge ad un accordo firmato da entrambe le parti. Il testo del-

29Carla Forti, Dopoguerra in Provincia, cit., p. 270. 30Lionello Diomelli, Ora e sempre Resistenza, cit., p. 249.

31Giuseppe Berta, Le Commissioni interne nella storia delle relazioni industriali alla

Fiat, 1944-1956. Le relazioni industriali alla Fiat. Saggi critici e note storiche, Milano, Fabbri, 1992, pp. 14-15.

l’accordo garantisce “l’applicazione dell’accordo provinciale 1° luglio u. s. a tutti gli operai agricoli” e contempla una numerosa serie di punti, fra cui una maggiorazione delle retribuzioni, l’introduzione di “un sistema assicurativo da concordarsi” in caso di lavoro pericoloso, la corresponsione degli straor- dinari per il lavoro svolto nei giorni festivi e l’introduzione di “un sistema che consenta a ciascun operaio di avere l’esatta cognizione e memoria delle proprie retribuzioni e relative causali” (non però una vera busta-paga). Ma il primo punto è quello intitolato “Riconoscimento delle Commissioni Interne”. Si legge qui che l’Amministrazione Salviati:

conferma di riconoscere, ricevere ed ascoltare, come di fatto è avvenuto per il passato, una rappresentanza delle varie categorie di dipendenti operai, scelta tra i medesimi, per prendere cogni- zione e discutere eventuali questioni di interesse generale relative ai normali rapporti di lavoro tra l’amministrazione e gli operai stessi, allo scopo di facilitare per quanto è possibile i rapporti tra l’amministrazione interessata e i dipendenti operai32.

Carla Forti ha fatto osservare che il solo fatto che di Commissione interna si scrivesse nero su bianco era di per sé una conquista; ma la formulazione fatta dai Salviati restava assai vaga, non essendo specificate, come sottolinea Forti, le reali competenze della Commissione e potendosi poi la dizione “scelta tra i medesimi”, e non dai medesimi, prestare a opposte interpretazioni. Era inoltre poco credibile che il riconoscimento della Commissione interna fosse “avvenuto anche per il passato” come invece l’Amministrazione sosteneva.

Un clima di tensione crescente accompagna invece lo scontro sulle pre- rogative della Commissione interna alla Piaggio di Pontedera, dove la Di- rezione dello stabilimento giunge addirittura ad effettuare la prima serrata del dopoguerra. Lo stabilimento pontederese rappresenta d’altra parte un

32Per la trattazione della vertenza riguardante l’Amministrazione Salviati abbiamo fatto

ampio ricorso al dettagliato resoconto di Carla Forti, Dopoguerra in Provincia, cit., pp. 272-273.

caso esemplare nel panorama industriale della provincia. Andrea Rapini ha sottolineato che per quanto riguarda la Piaggio è infatti impossibile scinde- re nettamente un momento di ricostruzione delle infrastrutture colpite, da un altro di conversione del potenziale produttivo verso finalità economiche di pace, da un terzo, infine, di modernizzazione dell’assetto complessivo33.

Con tali premesse nell’aprile del 1946 venne infatti presentato ufficialmente lo scooter Vespa, che avrebbe rivoluzionato il mercato mondiale delle due ruote; la Piaggio diveniva così la maggiore azienda della provincia con quasi 1700 tra operai e impiegati34.

Per seguire i suoi obiettivi di produzione la Direzione dello stabilimento aveva inoltre predisposto fin dal dicembre del 1945 la riorganizzazione del- l’ufficio tempi e metodi sotto la direzione dell’ingegner Sarti, ripristinando il cottimo, con l’obiettivo di stimolare lo sforzo operaio entro la cornice della conversione-modernizzazione e della concorrenza sul mercato35. Quello della

gestione del cottimo e delle ore di straordinario aveva aperto un contrasto che la Direzione aveva preteso di risolvere già nel giugno del 1946, senza la co- determinazione dei rappresentanti operai, ribadendo il proprio intendimento di organizzare e gestire tali materie unilateralmente36.

Da questa prospettiva l’agitazione che si apre alla Piaggio nell’ottobre del 1946, oltre a coinvolgere i diritti delle rappresentanze operaie, diventa fin da subito una cartina al tornasole dei rapporti tra Direzione aziendale e lavoratori che andranno riproponendosi in modo pressoché corrispondente per tutti gli anni Cinquanta.

La mattina del 2 ottobre 1946 viene sospeso l’impiegato Gennaro Fantozzi, reo di aver minacciato ed aggredito l’ingegner Francesco Sarti che a sua volta lo aveva richiamato. La Direzione accusa la Commissione interna di aver

33Andrea Rapini, La nazionalizzazione a due ruote, cit., p. 99. 34Cristiana Torti, Dalla ricostruzione alla scissione, cit., p. 234. 35Rapini, La nazionalizzazione a due ruote, cit., p. 148.

36Rapini, Aurora ed eclissi della democrazia industriale. Il caso Piaggio (1943-1947), in

sollecitato lo scontro e la intima ad accettare in forma ufficiale e per iscritto una sorta di ultimatum, che la Commissione doveva riconoscere entro le ore 17 del 4 ottobre, sotto la minaccia di una serrata dello stabilimento37.

Nei quattro punti stilati dalla Direzione viene ribadito che: (1 ) la Com- missione avrebbe dovuto deplorare “incondizionatamente” l’aggressione a Sar- ti, (2 ) assicurato per il futuro ogni suo impegno contro il ripetersi di simili atti, (3 ) identificato e indicato all’azienda i responsabili, (4 ) avrebbe infine dovuto riconoscere che le questioni disciplinari sono di pertinenza esclusi- va della Direzione38. Mentre sui primi tre punti poco dopo si raggiunge

un’intesa, la disputa si concentra senza ricomposizione sull’ultimo.

A tal proposito Rapini ha indicato che sulla questione dei licenziamenti si poneva l’altro essenziale spazio d’azione della Commissione interna come soggetto se non proprio equipollente al management e alla proprietà, almeno ineludibile su alcune questioni giudicate di sua pertinenza, come la gestione della forza lavoro, dopo che nell’estate di quello stesso anno l’istituto operaio aveva perso la facoltà di intercorrere alla elaborazione delle decisioni sulle ore di straordinario39.

Per ribadire tale ineludibilità l’organismo operaio rispondendo all’ultima- tum della Direzione ricorda che:

questa C.I. verrebbe meno al più elementare dei suoi compiti ove non si interessasse dei provvedimenti disciplinari disposti dalla Direzione nei confronti di operai e impiegati: è questo il primo e più importante compito che devono assolvere le C.I. per la tutela dei lavoratori da cui sono elette. Altrimenti nessuna diversità si porrebbe fra il potere dispotico esercitato nell’epoca del fascismo e quel regime di collaborazione e mutua comprensione fra i diri- genti e i lavoratori di cui da ogni parte si invoca l’affermazione

37Rapini, La nazionalizzazione a due ruote, cit., p. 154. 38Forti, Dopoguerra in Provincia, cit., p. 275.

nelle imprese. Tale compito della C.I. non impedisce tuttavia l’e- sercizio del necessario potere disciplinare da parte della Direzione ed è semplicemente inteso ad evitare il compimento di atti arbi- trari dei quali almeno in linea teorica deve sempre ammettersi la possibilità40.

Il testo era tanto fermo sulla questione di principio quanto aperto e possi- bilista sullo specifico del fatto in questione: assicurava che da parte della Ci c’era la massima disponibilità alla collaborazione e che le incomprensioni de- rivavano piuttosto dal fatto che essa non veniva mai consultata; e concludeva esortando la Direzione a desistere dalla grave decisione della serrata.

Ma l’azienda, nonostante l’opera di conciliazione tentata dai segretari confederali, dal sindaco Bargagna e dal prefetto, decide di proseguire con la serrata dello stabilimento, che si protrae dal cinque fino all’undici ottobre in un crescendo di tensioni e di febbrili tentativi di mediazione tra istituzioni locali e rappresentanti dei lavoratori. L’otto ottobre la vertenza raggiunge il piano nazionale, coinvolgendo direttamente la Confindustria e la Cgil na- zionale. Vi partecipano anche i rappresentanti della Commissione interna Piaggio e della Camera del Lavoro di Pisa, nonché lo stesso Peruzzo. Le parti riscrivono il quarto punto nella seguente forma:

La C.I di fabbrica, nell’adempimento dei propri compiti, si atterrà agli accordi sindacali presenti e futuri e alla comunicazione interna n. 383 del 7 luglio u. s. indirizzata dalla Direzione di stabilimento alla C.I41.

La comunicazione 383 stabilisce infatti che:

L’Ufficio personale metterà al corrente la C.I dei licenziamenti e assunzioni in corso. La C.I. potrà fare presenti le eventuali

40Rapini, La nazionalizzazione a due ruote, cit., p. 154. 41Forti, Dopoguerra in Provincia, cit., p. 277.

osservazioni per scritto, controfirmate da tutti i membri della C.I42.

L’accordo così raggiunto segnava un ulteriore arretramento per il movi- mento operaio nella misura in cui stabiliva che la Ci fosse semplicemente informata sui licenziamenti «in corso», senza concorrere alla maturazione delle decisioni. Inoltre l’impiegato Fantozzi restava licenziato e le ore di lavoro perse a causa della serrata mai più ripagate, come chiedeva la Ci, ma semplicemente recuperate attraverso turni di straordinario, quello stesso straordinario che durante tutto l’anno le maestranze avevano combattuto.

La completa sottrazione della disciplina dei licenziamenti dalle competen- ze degli organismi operai diventa in questo modo fin da subito un formidabile strumento di ricatto delle maestranze e di controllo del conflitto sociale. Inol- tre in un’area industriale come quella pisana ancora in buona parte devastata dai danni di guerra, la minaccia della disoccupazione proietta la sua costante ombra su coloro che sono riusciti ad affrancarsi entrando in fabbrica.