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Se questo è il quadro politico entro il quale si avvia il processo di demo- cratizzazione, altrettanto importante risulterà osservare come tale processo inizia a configurarsi anche sul terreno dei rapporti tra capitale e lavoro. Dob- biamo innanzi tutto soffermarci sul contesto economico che si presenta nella provincia di Pisa alla fine del 1946; riferito a quest’anno disponiamo di una “statistica della disoccupazione” che l’Ufficio provinciale del Lavoro invia al prefetto nel mese di novembre; dalle cifre emerge soprattutto la lenta ripresa del settore industriale, dove, ai molti stabilimenti ancora impegnati nella ri- costruzione degli impianti danneggiati dalla guerra, si affiancano le difficoltà di riconversione della produzione; secondo l’Ufficio in tutta la provincia i di- soccupati nel solo settore industriale sono 9851, la maggior parte dei quali è concentrata a Pisa dove se ne contano 347117; si tratta di una stima destinata

a crescere durante il 1947, quando, anche grazie all’apporto delle Camere del Lavoro locali, si formano i Comitati di agitazione dei Disoccupati, i quali non si limitano al riottenimento di un lavoro, ma raccolgono comune per comu- ne i dati sulla situazione occupazionale e incalzano il prefetto perché faccia pressione sulle aziende locali, sollecitandole alla riassunzione di manodopera operaia18. Ma se nella grave fase emergenziale dell’immediato dopoguerra, la

manodopera operaia si è resa necessaria, e in molti casi essenziale per la riat- tivazione degli impianti danneggiati e per la ripresa dell’attività produttiva, durante il 1947 anche nel contesto pisano si assiste al riemergere di una gene-

piena che non trovava argini e alimentò forze diverse in collisione l’una con l’altra. [. . . ] le forze politiche fondamentali non erano in “competizione” ma in un conflitto distruttivo, non si legittimavano reciprocamente ma tendevano ad escludersi l’un l’altra, si collocavano non entro uno stato capace di farsi da liberale liberaldemocratico ma entro un’arena nella quale il processo di democratizzazione aveva come suo principale effetto di moltiplicare ed esasperare le sue più acute tensioni» (p. 57).

17Aspi, Gab. Pref., b. 22, catg. 4, fasc. “Pisa. Ufficio provinciale del Lavoro”. 18Forti, Dopoguerra in Provincia, cit., p. 220.

rale offensiva padronale, volta in primo luogo a «riconquistare» le fabbriche, neutralizzando il protagonismo operaio degli anni precedenti19.

È un processo che coinvolge in primis la Piaggio di Pontedera dove all’ini- zio del 1947, come ha osservato Andrea Rapini, si giunge ad un vero e proprio «ritiro del riconoscimento», condotto dalla proprietà mediante il discono- scimento degli organismi operai e la delegittimazione delle rappresentanze sindacali, portato avanti fin dagli ultimi mesi del 1946.

Nei fatti la mattina del 30 gennaio ’47 la direzione fa affiggere dentro lo stabilimento un avviso rivolto a tutti i lavoratori con cui si introduce l’obbligo di chiedere un disco di circolazione al caporeparto ogniqualvolta un operaio deve spostarsi da un posto all’altro delle officine per ragioni strettamente lavorative o per necessità evidenti e giustificabili. La Commissione interna solleva la questione dell’illegittimità di un provvedimento, riguardante i rego- lamenti interni, preso senza consultazione alcuna né mediazione di sorta, ma semplicemente imposto d’imperio, quindi invita i lavoratori a ignorarlo. Ma la direzione si presenta irremovibile; prova ne è la reazione di fronte al tenta- tivo di mediazione del nuovo prefetto Mocci De Martis che - come vedremo assai poco incline verso le istanze operaie - pur riconoscendo la legittimità del disco, invita la Piaggio a sospendere le multe e a consultare i rappresen- tanti operai sui regolamenti interni. Pur sospendendo le multe, la direzione non intende revocare in nessun modo la sua decisione, e nella lettera che in- via all’Unione industriale pisana incaricata di gestire la vicenda, la direzione ribadisce che:

non è un argomento trattabile [. . . ] con i rappresentanti sinda- cali, in quanto trattavasi di norme disciplinari di ordine interno di competenza della direzione, né tanto meno era una questio-

19Bellassai, Noi classe. Identità operaia e conflitto sociale in una democrazia imperfetta

ne in cui bisognava cercare un compromesso poiché la ditta era legalmente, moralmente, tecnicamente a posto20.

E l’Unione industriale pisana, temendo addirittura un fraintendimento da parte del prefetto circa la disponibilità a trattare, aggiunge:

la ditta non ha inteso affatto entrare in trattative con alcuno e non ha quindi fatto promesse di concessioni, ma si è limitata a fornire delucidazioni di esclusivo carattere tecnico [. . . ]. Della disciplina nei reparti responsabile è il capo reparto21.

Non vi è allora possibilità di mediazione tra le parti, come ha efficacemen- te osservato Giuseppe Berta - relativamente al caso Fiat, ma la considerazione è a nostro avviso generalizzabile - «in fabbrica, non può aversi un dualismo di poteri, non può protrarsi una situazione come quella che la Fiom deside- rerebbe vedere congelata, in cui l’autorità meramente tecnica della gerarchia interna è controbilanciata da quella politica del rappresentante sindacale»22.

Coerentemente quindi con un orientamento condiviso dai maggiori gruppi industriali, nonché dai vertici confindustriali, anche per la direzione Piag- gio il ripristino dell’unicità del comando e della gerarchia interna diviene una pregiudiziale non solo nei confronti delle rappresentanze operaie, ma all’occorrenza anche dei rappresentanti dello Stato.

Inoltre, come ha osservato Andrea Rapini, la vicenda del disco di circo- lazione segna un ulteriore arretramento del movimento operaio e sindacale «non solo rispetto alle conquiste del biennio 1944-1945, ma addirittura, per certi versi, ad una condizione antecedente all’accordo del 2 settembre 1943»23

20Andrea Rapini, Aurora ed eclissi della democrazia industriale. Il caso Piaggio (1943-

1947), cit., p. 119.

21Rapini, Aurora ed eclissi della democrazia industriale. Il caso Piaggio (1943-1947),

cit., p. 119.

22Giuseppe Berta, Lo scontro, in 1944-1956. Le relazioni industriali alla Fiat. Saggi

critici e note storiche, Milano, Fabbri, 1992, pp. 189-190.

23Andrea Rapini, La nazionalizzazione a due ruote. Genesi e decollo di uno scooter,

che aveva portato alla ricostituzione delle Commissioni interne, chiudendo co- sì «la breve stagione della democrazia industriale»24. Ma se il duro attacco

messo in atto dalla proprietà Piaggio non può comunque ignorare il ruolo e la forza che il movimento operaio e gli organismi di fabbrica si sono legit- timamente conquistati, non mancano tuttavia i tentativi imprenditoriali di muoversi fin da subito verso questa strada. Ed è quanto apprendiamo da una lettera che la direzione dello stabilimento tessile Marzotto di Pisa invia nel marzo del 1947 al prefetto denunciando che:

le maestranze dello stabilimento hanno avuto ordine, riteniamo dalla Camera del Lavoro, che per ogni turno i reparti riducano il lavoro alla metà degli altri giorni e questo per non perdere il guadagno. Il motivo di questa agitazione è stato generato dal fatto che la Direzione non intende riconoscere la Commissione interna di fabbrica recentemente eletta perché si ritiene ci siano irregolarità nella nomina dei nuovi rappresentanti25

Per la direzione, che ha visto una graduale ripresa produttiva dello stabili- mento solo nell’estate del 1946, l’ulteriore incremento dell’attività lavorativa sembra andare di pari passo non solo con la volontà di evitare sul nascere la presenza di un organismo operaio all’interno della fabbrica, ma anche con quella di emarginare il più possibile l’attività delle rappresentanze sindaca- li, ponendo all’attenzione dell’autorità prefettizia gli effetti che la vocazione conflittuale del sindacato esercita sul regolare svolgimento produttivo delle maestranze.

I toni contro le forme di sciopero attuate dagli operai si fanno ancor più duri nell’agosto del ’47, quando ad una riunione convocata presso la sede del- l’Unione industriale pisana, «al fine di prendere in esame le istruzioni impar- tite dalla Federazione Nazionale dei Lavoratori chimici» - come si legge nella

24Rapini, Aurora ed eclissi della democrazia industriale. Il caso Piaggio (1943-1947),

cit., p. 120.

25Lettera del 10/3/1947, in ASPi, Gab. Pref. b. 15, catg. 11, fasc. “agitazione operai

relazione della Questura - in seguito al mancato accordo in sede nazionale sulla regolamentazione contrattuale delle categorie intermedie, i rappresen- tanti degli industriali chimici e chimico-farmaceutici decidono di deliberare «all’unanimità» i seguenti punti:

A) Chiusura dello stabilimento dopo la prima ora di astensio- ne dal lavoro e cioè prima dell’inizio del turno pomeridiano; B) Qualora per ragioni tecniche l’azienda non ravvisi l’opportunità di adottare il provvedimento alla lettera A), la Direzione farà ai propri dipendenti la seguente comunicazione ufficiale: “A scanso di equivoci e di eventuali discussioni avvertiamo che qualora le maestranze attuino l’agitazione nella forma preannunciata dalla FILC, questa Direzione corrisponderà il trattamento economico decurtato della retribuzione (ivi comprese le indennità accessorie) relativa alle ore di astensione dal lavoro agli operai e agli impie- gati, sia che gli stessi si astengano totalmente dal lavoro, sia che attuino la sola riduzione del lavoro medesimo”26.

L’obiettivo di precludere ogni spazio alla possibilità di intervento operaio e sindacale nella loro funzione di mediazione nei rapporti aziendali, si accom- pagna con altrettanta fermezza alla volontà di togliere al conflitto ogni sua valenza politica e sociale; inoltre è dalla minaccia dello sciopero come stru- mento di pressione e di lotta per la tutela dei diritti e delle libertà operaie che gli imprenditori vogliono liberarsi. Il governo della fabbrica deve tornare saldamente in possesso della proprietà e la «visione aziendalistica», richia- mata da Massimo Legnani,«imperniata sull’autorità dell’imprenditore», si impone come vero cemento unificante dell’organizzazione padronale e metro discriminante tanto delle scelte economiche che dei rapporti politici27.

26Mattinale della Questura del 24/8/1947, in ASPi, Gab. Pref. b. 14, catg, 11.

27Massimo Legnani, L’Italia dal fascismo alla Repubblica. Sistema di potere e alleanze

È una visione rappresentata in modo esemplare dal presidente della Con- findustria Angelo Costa secondo il quale: «il principio di autorità deve essere per forza rispettato in qualsiasi organizzazione [. . . ]. La funzione di controllo è lesiva del principio di autorità perché è il superiore che controlla l’inferiore, mai l’inferiore che controlla il superiore»28. In tale contesto, come ha sotto-

lineato Giorgio Caredda, il pieno ripristino del potere impone «che vengano rimossi tutti i retaggi dell’immediato dopoguerra: controllo delle assunzioni e dei licenziamenti, poteri delle Commissioni interne, livello dei salari, esercizio del diritto di sciopero sono precisamente gli ostacoli da sormontare, tramite una guerra di movimento contro il sindacalismo operaio»29. E per ristabi-

lire l’ordine gerarchico aziendale e consentire una libera ripresa dei processi produttivi gli industriali possono trovare il completo sostegno dei pubblici poteri, che dietro all’intensificarsi delle agitazioni sociali vedono l’opera fo- mentatrice del Pci e del sindacato di classe; per il questore di Pisa appare infatti evidente che la ripresa «dell’agitazione delle maestranze dello stabili- mento Marzotto, che sembrava sopita», provocata «dal mancato pagamento, da parte della Direzione, di alcune ore di sospensione dal lavoro che gli operai effettuarono nel corso dell’ultima agitazione», rappresenta:

la causa occasionale per fomentare una astensione dal lavoro in tutti gli stabilimenti di Pisa e Provincia, per protestare contro il caro vita, come nei giorni scorsi fu fatto a Pontedera. Voci con- fidenziali riferiscono che la Federazione locale del Pci di concerto con il signor Rovero, segretario della locale Camera del Lavo- ro, stiano elaborando un piano in proposito. Ho disposto ocu- lata vigilanza e mi riservo di comunicare tempestivamente ogni emergenza30.

28Citato da Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi. Società e politica

1943-1988, I, cit., p. 94.

29Giorgio Caredda, Governo e opposizione nell’Italia del dopoguerra, cit., p. 81. 30Mattinale della Questura del 28/8/1947 in ASPi, Gab, Pref. b. 14, catg. 11.

Le preoccupazioni del questore segnalano d’altra parte il peso crescente di un movimento sindacale che nel giro di pochi anni ha esteso la sua capacità di azione su tutto il territorio provinciale, raddoppiando inoltre il numero degli iscritti. Cristiana Torti ha sottolineato che un quadro preciso della fi- sionomia organizzativa e politica della Cgil nella provincia era già emerso al congresso della Camera Confederale del Lavoro che si era tenuto nell’aprile del 1947. Quel congresso ha mostrato una crescita esponenziale della sinda- calizzazione in tutta la provincia di Pisa con circa 41.000 aderenti, mentre alla fine del 1945 gli iscritti complessivi erano 23.860. Inoltre ha sancito la netta prevalenza della componente comunista, che ha ottenuto il 68 % dei consensi, concretizzatasi nella direzione di 21 sindacati di categoria sui 37 che aderiscono alla Camera confederale31.

Alla consistenza numerica e organizzativa, che si realizza anche attraverso la costituzione di Camere del Lavoro comunali e frazionali, è strettamente connessa la tutela e l’affermazione dei diritti e delle libertà del movimento operaio come soggetto politico e sociale all’interno della fabbrica, inoltre, come ha osservato Baldissara, la trattativa con la controparte aziendale, il ricorso allo sciopero, «diverranno ben presto non solo un aspetto della rap- presentanza degli interessi e del conflitto sociale che ne discende, ma un modo per affermare un ruolo istituzionale del movimento operaio, quella funzione nazionale e dirigente che Di Vittorio evocava nel proprio rapporto alla Costi- tuente sulla base del contributo offerto dai lavoratori al crollo del fascismo e all’impianto della democrazia»32. Può apparire in tal senso esemplificativa la

comunicazione che nel dicembre del 1947 la Commissione interna della Piag- gio invia alla direzione, in seguito alla rottura delle trattative per il contratto nazionale dei metallurgici; le rappresentanze operaie sostengono infatti che:

il nostro sindacato di categoria ci fa noto di aver assunto la posi-

31Cristiana Torti, Dalla ricostruzione ai primi esiti della scissione. La Camera del

Lavoro di Pisa tra 1944 e 1950, in La Camera del Lavoro di Pisa. La storia di un caso (1896-1980), cit., p. 245.

zione di non collaborazione quale protesta contro l’intransigente atteggiamento degli industriali. In conseguenza di ciò siamo a pregarvi di astenervi da comandare straordinari in questo perio- do che speriamo breve. Ciò oltre a dimostrare il nostro senso di comprensione in questo difficile momento, faciliterebbe il nostro compito evitando così possibili discussioni o screzi che potrebbero danneggiare la produzione del nostro stabilimento. Nella speran- za di incontrare la vostra completa comprensione, distintamente vi salutiamo con l’augurio che i rapporti che al momento sono tesi fra le opposte organizzazioni, si distendano e diano modo di continuare i rapporti pacifici e di collaborazione tanto necessari al problema italiano e industriale33.

É un documento oltremodo significativo in quanto rappresenta con de- terminata efficacia le varie istanze e i vari linguaggi conflittuali in una gran- de spinta sociale e culturale capace di conciliare spirito di lotta con un at- teggiamento improntato a una volontà di collaborazione costruttiva con la controparte aziendale34; in un momento in cui, soprattutto per quanto ri-

guarda la Piaggio di Pontedera, il gruppo dirigente della fabbrica conduce a termine quello che Rapini ha definito «una sorta di accerchiamento fino al soffocamento»35 nei confronti degli organismi operai e delle rappresentanze

sindacali.

Altrettanto rilevanti appaiono, sullo scorcio del ’47, le modalità con le quali le autorità periferiche e soprattutto quelle centrali dello Stato affrontano la difficile situazione occupazionale della provincia di Pisa. In una ripresa industriale nel complesso lenta, ostacolata oltremodo dal severo razionamento dell’energia elettrica e dalla mancanza di materie prime36, si formano nei

33Archivio storico Piaggio (d’ora in poi AsP), Fondo Lanzara, filza 186, fascicolo 1. 34Sandro Bellassai, Noi classe. Identità operaia e conflitto sociale in una democrazia

imperfetta (1947-1955), cit., p.134.

35Andrea Rapini, Aurora ed eclissi della democrazia industriale. Il caso Piaggio (1943-

1947), in Democrazia e conflitto, cit., p. 120.

diversi comuni, come accennato in precedenza, Comitati di Agitazione dei Disoccupati le cui proposte si concretizzano nella maggior parte dei casi nella discussione e nella compilazione di “ordini del giorno” da inviare al prefetto e ai sindaci, con l’obiettivo di raggiungere una soluzione di ampio respiro ad un problema impellente per un numero sempre più alto di cittadini.

Il Comitato del comune di Pisa ad esempio propone tra i punti principali: «1) lo stanziamento di fondi eccezionali che consentano l’attuazione di un piano organizzativo di impiego della manodopera disoccupata; 2) l’apertu- ra delle scuole di riqualificazione professionale; 3) il riassorbimento degli ex dipendenti negli stabilimenti»37. Mentre da un fonogramma dei carabinieri

del mese di dicembre apprendiamo che nel comune di San Giuliano Terme le «richieste massa disoccupati che verranno approvate dall’ordine del giorno» comprendono: «la costruzione dell’acquedotto; la riapertura di due cave di pietra tuttora inattive; la costruzione di alcuni blocchi di case popolari per i lavoratori, essendo questi costretti a vivere in case inabitabili e poco igie- niche». Nel loro ordine del giorno i disoccupati di San Giuliano ribadiscono le priorità dei Comitati di agitazione, che consistono innanzitutto nel «pre- sentarsi presso i sindaci dei comuni e delle città per vedere i piani di lavoro che potranno su scala comunale risolvere in parte la disoccupazione della loro zona», e «ove questi non avessero dei piani di lavoro concreti, impegnarli con delle richieste fatte in collaborazione con gli Uffici tecnici dei vari comuni», in conclusione viene inoltre ribadito che:

Tutte le manifestazioni dovranno essere messe a conoscenza del Prefetto e della Camera provinciale del Lavoro. Il Prefetto, in base a tutto questo lavoro organizzativo, dovrà impegnarsi a ri- solvere, su fatti reali, le necessità dei disoccupati, le quali sono di gran lunga superiori agli attuali stanziamenti finora premessi e non ancora attuati38.

37ASPi, Gab. Pref., b. 15, catg. 11. 38ASPi, Gab. Pref., b. 14, catg. 11.

Il prefetto Mocci De Martis da parte sua, rivolgendosi a metà dicembre al ministro dell’Interno Scelba, tiene a precisare che «la situazione presenta gravi sintomi di perturbamento che occorre, anche per le deficienti forze di polizia, evitare», e ricorda che il numero dei disoccupati in tutta la provincia «è notevolmente aumentato per l’avvenuto scioglimento di numerosi campi e magazzini alleati ove trovavano lavoro circa 5000 operai»; Mocci reputa inoltre di poter indicare al Ministro la direzione da intraprendere e annuncia:

ho promesso il mio personale intervento presso le industrie cit- tadine perché venga esaminata con ogni benevola attenzione la possibilità di una ulteriore assunzione di manodopera [. . . ], con- siderato che gli ex dipendenti dei campi alleati non percepiscono alcun sussidio di disoccupazione [. . . ]. Si reputa opportuno rap- presentare l’urgente necessità che la Direzione Generale dell’As- sistenza Postbellica e quella dell’Amministrazione Civile provve- dano, ciascuna per la parte di competenza, ad erogare la prima una congrua somma per una più efficace assistenza dei reduci, partigiani, ecc; la seconda ad accreditare un fondo da distribuire ai capi famiglia che non godono di assistenza39.

Il tenore perentorio della replica di Scelba, affidata ad un telegramma cifrato, non contempla di prendere iniziativa alcuna, ed anzi ribadisce che:

Con circolare telegrafica datata 3 giugno fu precisato tra l’altro che ogni eventuale intervento di autorità prefettizia per dettare norme rivolte at disciplinare rapporti di lavoro in genere, deve ri- tenersi illegittimo trattandosi di materia riservata esclusivamente at potere legislativo, e per cui non può provvedersi in sede pro- vinciale con ordinanze d’imperio [. . . ]. Invito SS.LL. astenersi da

ogni iniziativa at fine evitare sblocco licenziamenti nel settore in- dustriale, aut addirittura di indurre le imprese at procedere nuove assunzioni40.

Per Cristiana Torti le parole del ministro dell’Interno rappresentano in modo inequivocabile un orientamento di governo nel quale «le istituzioni preposte all’ordine pubblico vengono precettate a non far niente per risolvere i problemi di carattere sociale e occupazionale, e sono obbligate a prende- re le distanze e ad astenersi da qualsiasi iniziativa mediatrice o anche solo propositiva»41. D’altra parte viene qui evidenziato il ruolo che tale ministe-

ro andava assumendo nei confronti delle dinamiche sociali; lo stesso Scelba, intervenendo alla Camera nel settembre del 1948, avrebbe dichiarato che la gran parte delle controversie era stata risolta grazie all’intervento dell’auto- rità prefettizia, sostenendo così «implicitamente al Ministero degli Interni il ruolo istituzionale già consacrato dalla tradizione liberale, di principale or-