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Dire o no ai figli (e quando?) che sono nati con tecniche di pma?

Il diritto a conoscere le proprie origini è un diritto della personalità, espressione essenziale del diritto all'identità personale.

Lo sviluppo di una persona, sia nella propria individualità che nelle relazioni con gli altri, può dirsi realizzato solo se si è in grado di conoscere la propria identità94.

94 "Il diritto dell'adottato di conoscere le proprie origini", di Enrico Pattumelli, in Studiocataldi.it, 27/03/2018.

Nella seduta plenaria del 25 novembre 201195 è stato approvato dal Comitato Nazionale di Bioetica, con un unico voto contrario, un documento intitolato: “Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa”, elaborato dal prof. Lorenzo d’Avack, Vicepresidente vicario del CNB. Il documento analizza gli argomenti di chi è favorevole al mantenimento del segreto rispetto al concepimento (protezione della privacy, possibili ripercussioni negative sul nato e sulla famiglia sociale) e di chi, invece, ritiene doverosa la verità sulle modalità procreative (data la difficoltà a mantenere il segreto).

Su questo punto il CNB ritiene che spetti alla responsabilità morale dei genitori informare il figlio sulle proprie origini attraverso filtri appropriati.

Una volta caduto il segreto sulle modalità del concepimento, si apre la questione dell’anonimato.

Su questo punto nel CNB sono emerse due linee di pensiero: alcuni ritengono che sia preferibile l’anonimato parziale (l’accesso alle sole informative genetiche); altri considerano doveroso l’accesso a tutte le informative (sia genetiche che anagrafiche).

L’opportunità di svelare solo l’identità genetica del donatore, conservando l’anonimato anagrafico, è motivata dalla necessità, per ragioni mediche, di conoscere le proprie origini, e dalla inopportunità di conoscere nome e cognome del donatore, con il quale il nato ha un legame genetico ma non propriamente relazionale.

La doverosità di un'informazione completa rispetto al donatore è motivata da ragioni di parità e non discriminazione, non potendo impedire solo ai nati da tale tecniche di ricercare le informazioni sui procreatori biologici: tale conoscenza è ritenuta indispensabile per la ricostruzione della propria identità personale96.

95 "Comitato nazionale di bioetica ,conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione

medicalmente assistita eterologa", in lescienze.it, 25/11/2011.

Il documento – si legge – ritiene raccomandabile che i genitori rivelino al figlio le modalità del suo concepimento attraverso filtri e criteri appropriati (proporzionalità, sostenibilità, rilevanza, attinenza, ecc.) anche con l’ausilio di una consulenza”. E inoltre viene raccomandato “che al nato si riconosca sempre il diritto di accedere a quei registri dove sono conservati i dati genetici e la storia clinica dei datori di gameti, dato che trattasi di notizie a volte indispensabili per la sua salute”.

Alcuni membri del Cnb sono convinti che sia più opportuno conservare l’anonimato anagrafico in considerazione del fatto che il legame tra i “procreatori biologici” e il “nato” è di carattere “genetico ma non relazionale”.

In questo caso, infatti “la preoccupazione primaria è quella che il disvelamento anagrafico possa alterare l’equilibrio esistenziale della famiglia di origine con possibili interferenze esterne nel progetto familiare”.

Gli altri membri del Comitato che di contro riconoscono al nato il diritto ad un’informazione piena nei confronti di chi ha ceduto i gameti ritengono che “una informativa sulle proprie origini è ritenuta indispensabile per la ricostruzione della identità personale del nato”.

Tale diritto infatti viene riconosciuto anche al figlio che è stato adottato raggiunta l'età di venticinque anni: "L'adottato, raggiunta l'eta' di venticinque anni, puo' accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l'identita' dei propri genitori biologici. Puo' farlo anche raggiunta la maggiore eta', se sussistono gravi e

comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica97.

Tuttavia, la ricostruzione dell’identità “come diritto fondamentale del nato” entra in contrapposizione “all’interesse dei genitori a mantenere il segreto e dei donatori a conservare l’anonimato. Una conoscenza, altresì, motivata da ragioni di parità e non discriminazione, non essendo legittimo sotto l’aspetto sia etico che giuridico impedire solo ai nati attraverso tale tecnica di ricercare le informazioni sulle loro origini biologiche”.

I genitori dunque è bene che rivelino al figlio le modalità del suo concepimento seppur attraverso filtri e criteri appropriati come la “consulenza psicologica in grado di fornire il sostegno necessario a tutte le parti coinvolte lungo il precorso del disvelamento”, viceversa secondo il Comitato Nazionale di Bioetica è sbagliato “eludere la richiesta di conoscere la verità” che viene vista come “una specifica forma di violenza: la violenza di chi, conoscendo la verità che concerne un’altra persona e potendo comunicargliela, si rifiuta di farlo, mantenendo nei suoi confronti un’indebita posizione di potere”.

Qualora, infine, la cura e la tutela della salute del minore lo rende necessario, il Cnb ritiene “indispensabile che il medico e/o la struttura medica, venuti a conoscenza delle modalità di procreazione del nato, informati in modo esauriente i genitori, o previa autorizzazione di questi ultimi o, nel caso del loro diniego, dell’autorità giudiziaria competente, abbiano sempre la possibilità di richiedere l’accesso ai registri e l’utilizzo dei dati necessari per i trattamenti diagnostici e terapeutici del minore paziente. Con analoga finalità si auspica la possibilità che tra i centri medici e il donatore/datore vi sia un rapporto continuativo nel tempo”98. «Il Comitato Nazionale di Bioetica ha espresso parere favorevole, raccomandando di dire ai figli questa "verità", ma io ho dei dubbi» commenta Paolo Sarti, pediatra di base a Firenze, che ha seguito e segue molti bambini nati con la PMA99.

«Tanto per cominciare, più che parlare ai bambini di PMA, bisognerebbe parlare loro di sesso, provoca Sarti .

Non so se ci avete mai fatto caso, ma questo argomento si solleva con i ragazzi solo quando ci sono guai in vista e si deve metterli in guardia da qualcosa come l’Aids, una gravidanza o quando c’è da fare il vaccino contro il Papilloma virus».

«Il problema di dire, o non dire, comunque, si pone solo con l'inseminazione 98 Quotidianosanità.it17 gennaio 2012

99 "Se e quando parlarne al figlio. Il problema si pone con l'inseminazione eterologa, assimilabile al diritto di conoscere la propria storia in caso di adozione". A cura di Daniela Natall. In Corriere.it, Milano, 28 gennaio 2013.

eterologa, ma è un problema del tutto assimilabile al diritto di conoscere le origini in caso di adozione. Su questo abbiamo molta letteratura che ci conforta nel pensare che è opportuno dire la "verità" e quindi ci comporteremo così anche per l'inseminazione eterologa - dice Sarti .

Nel caso dell’omologa, invece, le origini genetiche sono certe e note. Quindi, di che dobbiamo parlare al bambino? Delle moderne tecniche della medicina per far riprodurre il babbo e la mamma?»....

... Quello che si dovrebbe dire ai figli è se sono stati adottati (già fatti, o in ovulo, o in sperma), o se sono figli naturali.

Che cosa pensa di un tema così nuovo Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra che da una vita si occupa di bambini e ragazzi?

«C’è un momento nella vita, in genere l’adolescenza, in cui tutti si interrogano sul mistero delle proprie origini. E un mistero c’è sempre, nel senso che il ragazzo (e soprattutto le ragazze, almeno nella mia esperienza) si domandano: perché mi hanno fatto nascere? Che cosa si aspettano da me i miei genitori? E perfino: qual è la mia missione nel mondo?

Forse, e sottolineo forse, tra queste domande potrebbe esserci anche, sottintesa, quella relativa a eventuali "tecniche" mediche usate. Dico forse, perché su questa materia non c’è ancora letteratura e neppure molta esperienza pratica» risponde Pietropolli Charmet.

Ma la domanda delle domande è: come accoglieranno i giovani il racconto dei genitori che li hanno avuto con PMA? «Come sempre è difficile dare risposte generiche, ma un distinguo di base credo si possa fare, dice lo psichiatra.

Molto dipende da come gli stessi genitori hanno vissuto la procreazione medicalmente assistita. Se l’hanno sentita come parte di un "tutto", di una storia di coppia, come un semplice prolungamento della natura, le reazioni dei ragazzi potranno essere serene.

Se invece madre e padre hanno sentito come artificioso l’intervento dei medici e degli specialisti vari, se lo hanno visto come una specie di violenza dovuta a un tradimento dei loro corpi, sarà presumibilmente più difficile per i ragazzi accogliere questa rivelazione»100.