• Non ci sono risultati.

I diritti dei bambini nei media: libertà di espressione e potere di partecipazione

In alcuni contesti di ricerca e di dibattito, il quadro di aspettative e re- sponsabilità attribuite ai media è stato formalizzato a partire da un riman- do puntuale e specifico alla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza siglata nel 1989. In particolare, tre articoli della Con- venzione acquisiscono rilevanza in relazione alla qualità dei contenuti per bambini. L’articolo 17 prevede che i bambini abbiano accesso a contenuti che provengono da una molteplicità di fonti nazionali e internazionali e che siano capaci di promuovere il loro benessere sociale e morale e la loro salute fisica e mentale. A questo fine, gli stati che hanno ratificato la convenzione si impegnano a incoraggiare la cooperazione internazionale

nell’ambito della produzione, dello scambio e della divulgazione di pro- dotti culturali che rispondano a questi criteri, a favorire l’attenzione verso le necessità linguistiche delle minoranza etniche e la codifica di linee-gui- da appropriate alla protezione dei minori da materiali informativi e cultu- rali che potrebbero mettere a repentaglio il loro benessere. L’articolo 13 afferma il diritto alla libertà di espressione, vale a dire la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni sorta, indipendentemente dalle frontiere nazionali e dalle modalità espressive prescelte (la conven- zione prevede la forma orale, scritta e stampata). Tale diritto può essere limitato solo nel caso in cui la sua applicazione danneggi la reputazione di altri cittadini, la sicurezza pubblica o la morale generale. L’articolo 12 infine, ribadisce la capacità dei bambini di sviluppare opinioni e visioni del mondo autonome e sancisce il loro diritto a esprimerle liberamente in tutti gli ambiti che li riguardano; l’esercizio di questo diritto deve tuttavia essere calibrato in base all’età e alla maturità del bambino.

La Convenzione sembra creare un equilibrio perfetto tra la tutela dell’autonomia decisionale e culturale dei bambini e la necessità di pro- teggerli, difendendoli da contenuti potenzialmente rischiosi e commi- surando la loro libertà di ricevere e produrre informazioni alle capacità effettivamente sviluppate. In molti hanno fatto notare come questo equili- brio apparente celi in realtà una inconciliabilità di fondo tra due differenti concezioni dell’infanzia (Buckingham et al., 1999; Zanker, 2004). Da un lato, si riconosce al bambino potere decisionale e piena libertà espressiva, dall’altro, l’esercizio di questi diritti è sempre vincolato alla concessione e alla supervisione degli adulti. Il ruolo di questi ultimi si definisce in ter- mini essenzialmente difensivi e, soprattutto, si basa sull’idea che l’infanzia consista essenzialmente in una successione di stadi crescenti di sviluppo e maturazione fino alla compiutezza adulta. Come già si è avuto modo di dire, questa specifica concettualizzazione è stata ampiamente criticata dal- la nuova sociologia dell’infanzia, che insiste invece sull’origine eminente- mente culturale di qualsiasi identità sociale, tra cui quella dei bambini, ed enfatizza il contributo attivo che essi possono dare ai processi decisionali e culturali della società di cui sono parte.

L’implementazione di questi principi nella prassi della produzione me- diale rischia di arenarsi nelle secche dell’ambiguità di fondo appena trac- ciata. Non è detto infatti che la scelta libera dei bambini ricada su quei prodotti culturali che sono stati elaborati e distribuiti alla luce di una conce- zione “adulta” del loro benessere fisico e morale o del loro presunto stadio

di sviluppo. Anzi, molto spesso la “voce” dei bambini, rilevata mediante ricerche di marketing, viene rivendicata dagli stessi produttori per legitti- mare un tipo di offerta che, pur raccogliendo larghi consensi tra il pubblico infantile, riceve pesanti condanne da parte di genitori ed educatori perché ritenuta inadatta alla loro età o priva di qualsiasi valore pedagogico.

Gli stessi produttori hanno spesso fatto notare come i bambini prefe- riscano l’intrattenimento commerciale all’offerta televisiva progettata secondo parametri educativi; inoltre, nella maggioranza dei casi, la pro- grammazione per fasce d’età è destinata ad essere tradita da dinamiche aspirazionali che portano i bambini più piccoli a ricercare e prediligere i prodotti pensati per un pubblico più grande (Schneider, 1987, citato in Zanker, 2004). Inoltre, queste preferenze culturali sono elementi costitutivi ed essenziali delle culture dei pari; una volta distribuite, le risorse mediali entrano nel circuito culturale e diventano marcatori di identità e apparte- nenze secondo equilibri autonomi in cui si esprime la creatività sociale dei più giovani.

La riflessione e le ricerche empiriche pubblicate sotto l’egida della In- ternational Clearing House On Children, Youth and Media – think tank di ricerca, finanziato dall’UNESCO e dal governo svedese – da anni operano all’interno della cornice normativa sancita dalla Convenzione dei diritti dell’infanzia, dando un contributo sostanziale al superamento delle appa- renti ambiguità in essa contenute. In una raccolta di saggi pubblicata nel 1999 (Von Feilitzen, Carlsson, 1999), l’educazione ai media e la parte- cipazione dei bambini ai processi di produzione mediale sono indagati, descritti e incoraggiati come “best practices” in grado di promuovere la libertà dei più piccoli senza con questo esporli ad asimmetrie di potere po- tenzialmente lesive dei loro interessi e del loro benessere. L’esercizio dei diritti di partecipazione e di espressione previsti dalla Convenzione non si determina nel vuoto, con la semplice “presa di parola” o il compimento di scelte di consumo autonome e apparentemente non influenzate dalle inten- zioni e dalle concezioni degli adulti. Sarebbe infatti altrettanto imprudente e semplicistico negare che le risorse simboliche che i bambini hanno a disposizione per far valere la propria volontà, siano ineluttabilmente dif- ferenti e non paritetiche rispetto a quello degli adulti. É dunque necessario che alla proclamazione formale dei diritti segua la predisposizione di un contesto di pratiche, ruoli e organizzazioni che ne favoriscano e ne faciliti- no il dispiegamento. L’educazione ai media rappresenta un passo in questa direzione; il suo contributo non è da intendersi in direzione esclusivamente

negativa, come trasmissione di consapevolezze e principi morali che aiuti- no i bambini a difendersi da soli da contenuti mediali di “scarsa qualità”, o come capacità di decostruire il contenuto ideologico dei prodotti mediali o decifrare le dinamiche di potere in essi implicate. Al contrario, educare ai media significa innanzitutto creare i presupposti affinché i ragazzi possano assumere un ruolo partecipativo e proattivo nell’ambiente mediale in cui sono immersi; si tratta dunque di un supporto essenziale e imprescindibile all’esercizio del diritto di espressione sancito dall’articolo 13 della Con- venzione.

Sono vari e multiformi i principi, gli obiettivi e le pratiche con cui di volta in volta l’educazione ai media è stata oggetto di definizione. I con- tributi della Clearing House si distinguono per un respiro internazionale e per la capacità di valorizzare, più che omogeneizzare, le differenze che emergono dalle diverse culture locali in cui i media sono indagati e di- battuti. Nonostante questa essenziale molteplicità, è possibile individuare alcuni tratti comuni che contribuiscono ad attribuire all’educazione ai me- dia un significato che va oltre le specificità nazionali (Von Feilitzen, 1999, pp. 24-25). In primo luogo, deve strutturarsi come un processo radicato nelle culture locali, capace di valorizzare le conoscenze e le esigenze dei contesti concreti in cui le persone vivono. L’obiettivo è quello di stimolare dei processi di produzione del senso, grazie ai quali il significato attribuito ai media in fase di produzione e di distribuzione possa essere arricchito, negoziato e integrato dalle comunità di ricezione. La creatività deve ac- compagnarsi alla stimolazione di un pensiero critico e riflessivo, tramite il quale i ragazzi imparino a comprendere la dimensione politica, economica e socio-culturale delle industrie mediali. “Il dialogo critico e creativo, la riflessione, la partecipazione e l’azione sono incluse nel processo di ap- prendimento tramite il quale i soggetti acquisiscono il diritto a esprimere se stessi (...) indipendentemente dall’età, dal genere e dalle condizioni so- cio-economiche” (Ibidem, p. 25). Educare ai media significa dunque creare le condizioni di partecipazione a quei processi di codifica delle risorse cul- turali e simboliche che marcano l’appartenenza e i confini di una comunità.