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Dopo aver effettuato questa introduzione si cercherà di analizzare alcune prospettive dei diritti fondamentali dal punto di vista della tradizione giuridica islamica, per comprendere come i diritti vengano pensati, concepiti e vissuti diversamente in una tradizione giuridica differente da quella occidentale. Se si partisse dall’opinione che i diritti fondamentali abbiano avuto una medesima storia e un medesimo sviluppo si incorrerebbe in un errore. Infatti, la precedente esposizione sulle fonti giuridiche del diritto islamico è stata necessaria per comprendere come i diritti possano avere diverse radici. Quello che seguirà sarà un tentativo di studio di una visione “altra” riguardo al tema dei diritti, limitando per ora l’oggetto di questa analisi al dato teorico e partendo da una breve ricostruzione storica. Nella tradizione giuridica musulmana i diritti fondamentali erano ritenuti un privilegio di Dio, unico detentore della massima autorità, mentre Maometto e i suoi califfi erano considerati solo vicari. Attraverso di essi i dogmi religiosi di origine divina, contenenti tali diritti, giunsero alla comunità e vennero incorporati nel Corano. Come nella tradizione euro-occidentale, il pieno godimento dei diritti era concesso

solamente a chi fosse in possesso della piena capacità giuridica, e fosse vivente, maggiorenne, libero e di fede musulmana. Ai non musulmani era concesso solo di poter viaggiare in sicurezza nei paesi arabi, ma per un periodo che non superasse l’anno. Agli ebrei e ai cristiani era invece permesso di vivere nei paesi arabi pagando una tassa detta “jizyah”, e a questi veniva garantita la sicurezza della propria vita, il diritto di proprietà e la libertà di preghiera e di pratica religiosa. Per quanto riguarda la condizione degli schiavi, a questi veniva garantito il diritto alla vita e alla sicurezza personale, ma non potevano possedere alcuna proprietà. Essendo il Corano di origine divina, solamente il “legislatore divino” poteva modificare la legge e, alla morte di Maometto, il califfo non deteneva l’autorità per effettuare alcuna modifica. I giuristi e teologi musulmani svilupparono così il sistema del ‘Fiqh’, che delineava delle interpretazioni giurisprudenziali attraverso cui inferire nuove norme da principi coranici non esaustivi, non chiari rispetto a una data problematica, oppure in caso di assenza di principi guida. Durante il periodo Ottomano, i Sultani non si fecero influenzare dai contatti che ebbero con la cultura europea fino a quando non vennero umiliati da questi in battaglia. Nel 1774 dopo una disastrosa sconfitta contro la Russia, il sultano dell’epoca stipulò il trattato di

Kutchuko Kainarje, dove concesse determinate riforme di

influenza occidentale, che però si limitarono alle materie militari e allo status dei cristiani. Il sultano però fallì nel

momento in cui tentò di importare una visione occidentale dei diritti fondamentali, i quali vennero additati come una possibile ingerenza degli stati occidentali nella politica e nella tradizione di quelli arabi, così che tali diritti vennero qualificati dai giuristi-teologi arabi, gli ‘Ulema’, come incompatibili rispetto alla legge divina.

I popoli di alcuni Stati a maggioranza musulmana non ebbero reazioni pacifiche rispetto a quello che fu il modello di tutela dei diritti adottato. Possiamo ricordare l’esperienza turca, in cui vi furono violente rivolte nel 1867, 1908 e 1922, le quali portarono all’abolizione del regime Ottomano e all’adozione di un sistema repubblicano. Fu creata poi una costituzione sul calco di quella francese post-rivoluzionaria, che abolì qualsiasi privilegio legato alle classi e garantì i diritti fondamentali come l’eguaglianza, la libertà di espressione e di stampa.

2.Opinioni differenti sulla tutela dei diritti

fondamentali

Vorrei ora riportare un diversificato quadro di quelle che sono le opinioni riguardanti la tutela dei diritti fondamentali all’interno di alcuni paesi a maggioranza musulmana di autori ‘locali’, ovvero nati, cresciuti e formatisi, in questi determinati paesi. Il gruppo puritano egiziano “Manar”, affermando che il vero Islam riconosceva e ammetteva già tutti i moderni diritti umani intrinseci ai precetti del Corano

e della Sunna, sostiene che i paesi a maggioranza musulmana vantino una tradizione dei diritti molto anteriore all’Europa. Questa idea viene sostenuta anche dallo studioso indiano Sir Sayio Ameer Ali, il quale denuncia gli “Ulema” come manipolatori della legge per fini politici, nonché per il mantenimento di una società patriarcale e dello status quo57. Nel 1980 al Seminario sui diritti umani

nell’Islam, organizzato dalla commissione internazionale dei giuristi, dall’università del Kuwait e dall’unione degli avvocati arabi, è stato affermato che bisogna rifiutare l’idea che i diritti umani siano un concetto riferibile solo alla cultura occidentale. Quelli che solo recentemente erano stati incorporati nelle dichiarazioni universali, l’Islam li aveva già riconosciuti da molto tempo. Inoltre, il fatto che i diritti umani possano essere definiti come ‘God- given’, ovvero attribuiti da Dio in accordo con la fede islamica, fa sì che a questi diritti fondamentali sia conferita venerazione, prestigio e santità e che essi vengano protetti dalle incursioni delle autorità politiche. Inoltre, questa loro caratteristica intrinseca richiama qualità di universalità e completezza, rendendoli inalienabili ed irrevocabili. Le codificazioni islamiche, sancendo i diritti economici, sociali, culturali, civili e politici, offrono una protezione sostanziale di questi diritti da potenziali violazioni. Gli stati hanno infatti

57 M. KHADDURI, Human Rights in Inslam, The Annals of the American

Accademy of Political and Social Science Vol. 243, Essential Human Rights ( Gen.,1946) , pp. 77-81, Published by : Sage Publications.

l’obbligo di renderli effettivi e garantiti. In uno dei suoi discorsi inaugurali, il sovrano Emir del Kuwait ha affermato che l’esercizio dei diritti umani, da aspirazione e speranza, è finalmente diventato realtà. Esordendo con l’affermazione “abbiamo costruito la progenie di Adamo”, il sovrano ha reclamato che per preservare questa discendenza è necessario che la società garantisca beni primari, educazione, lavoro, libertà di espressione e di partecipazione alla vita politica. Al- Midani, segretario generale dell’Unione Araba dei giuristi, ha richiesto di poter ritornare a quei puri e basici principi della fede islamica nel Corano e nella sunna, poiché la lotta per i diritti umani nel terzo mondo non è altro che un conflitto tra le ideologie capitaliste e socialiste. Lo studioso pakistano Rashid

Jullundhri ha sostenuto che la società islamica si dovrebbe

fondare sui valori del senso della morale e della responsabilità per preservare la dignità umana, ma questo obbiettivo, senza il riconoscimento dei diritti umani, è impossibile da raggiungere e lo scopo degli Stati è quello di proteggerli 58 . Infatti, vi è anche una corrispondenza

sintattica nella traduzione araba della parola “diritti umani” e la parola ‘Huqūq’, che significa ‘reale’. Dunque, un uomo non può esser considerato religioso se non garantisce i diritti del prossimo e la misura della sua fede non dipende da

58 Rashid Ahmad Jullundhri, “Human Rights in Islam”, in Understanding

Human Rights: An Interdisciplinary and Interfaith Study, ed. Alan D. Falconer (Dublin: Irish School of Ecumenics, 1980), 34.

quanto questo preghi, ma da come questo ‘tratti’ gli altri uomini. Abdul Aziz, trentaduesimo sultano dell’impero ottomano, nel suo saggio “Human Rights in Islamic

Perspectives” ha affermato che la ricerca dei diritti umani è

universale, ma la forma di questa ricerca è diversa fra le culture. Nel sistema occidentale sono stati ricercati comuni denominatori nella tradizione giudaico-cristiana, escludendo le diverse realtà culturali, mentre negli stati islamici, poiché la sovranità è di Dio, lo Stato esiste per proteggere i suoi cittadini e raggiungere la giustizia sociale. Nell’Islam la libertà può essere considerata “di diventare” e non “di agire”, l’obbiettivo è la creatività, intesa nel senso di partecipare con la comunità alla creazione culturale59.

Secondo il professore Iraniano Seyyed Hossein Nasr la libertà pura appartiene solo a Dio e la libertà degli uomini deve essere intesa come libertà di fare ciò che è giusto. I diritti umani sono una conseguenza delle obbligazioni verso Dio, la natura e gli altri essere umani; non degli ‘antecedenti’ rispetto a questi. Infatti, la democrazia nella tradizione giuridica musulmana è diversa che nella cultura in occidente. In essa tutti gli uomini sono responsabili davanti a Dio e condividono egualmente l’autorità delegata allo Stato. Nell’Islam l’unico che può esser considerato sovrano

59 Abdul Aziz Said, “Human Rights in Islamic Perspective”, in Human Rights:

Cultural and Ideological Perspectives, eds. Adamantia Pollis and Peter Schwab (New York: Preager Publishers, 1979, pp.86-87.

è Dio, mentre i califfi sono solo suoi rappresentanti60. Anche

nel suo pensiero ritorna l’idea di diritti fondamentali come di ‘gift of god’, poiché nessuna autorità può degradarli. I non musulmani hanno quindi diritto alle pratiche religiose e cerimoniali e a beneficiare come gli altri dei pubblici ricavi e dell’assistenza dello Stato. Pur tuttavia queste garanzie variano nei tempi e da paese a paese. Ad esempio, se si lascia la religione musulmana in alcuni paesi si rischia di incorrere nel reato di apostasia, punibile con la morte; mentre, in altri, i diritti sono garantiti solo ad ebrei e cristiani in quanto credono in scritture che la religione musulmana afferma essere sacre. La teologa e femminista pakistana-americana

Riffat Hassan ha affermato che una appropriata lettura del

Corano possa portare a diverse conclusioni rispetto al trattamento diseguale a cui le donne sono sottoposte rispetto agli uomini; ed è causa del crescente fanatismo e tradizionalismo che mistificano la tradizione se in molte aree del mondo Islamico stanno avvenendo gravi violazioni dei diritti di donne e delle minoranze in generale. A proposito di questo tema anche Mawdūdī, teologo e politico pakistano, ha affermato, riprendendo i passi del Corano, che dal momento che Adamo è stato creato da Dio con l’argilla e siamo tutti suoi figli, non ci deve essere nessun pregiudizio o concetto di superiorità tra bianchi e neri, arabi e non arabi,

60 Abdul Aziz Said e Jamil Nasser, “The Use and Abuse of Democracy

nell’Islam”, in International Human Rights: Contemporary Issues, eds. Jack L. Nelson and Vera M. Green (Stanfordville, New York: Human Rights Publishing Group, Earl M. Coleman, 1980), 76-77.

e così via. Il sultano iraniano Tabandeh ha affermato poi che la dichiarazione dei diritti dell’uomo non ha promulgato nulla di sconosciuto a una migliore e più perfetta forma di Islam61.

Come si può notare, ciò che spicca in questo quadro di opinioni è il disaccordo fra chi ritiene che i diritti fondamentali siano garantiti in determinati paesi a maggioranza musulmana e chi, al contrario, nega che avvenga questa effettiva tutela. Ovviamente, per un’analisi più approfondita e corretta, sarebbe necessario studiare caso per caso ogni singolo paese. Ciò che invece sembra essere chiaro in ciascuna opinione riportata è la stretta vicinanza che lega i diritti fondamentali a Dio. Come già specificato relativamente alle fonti, è possibile notare come la religione e il diritto siano intimamente collegati, sì che l’analisi dell’uno non possa prescindere dallo studio degli elementi dell’altro.

61Opinioni riportate da R. TRAER, Human Rights in Islam, Islamic Studies

Vol.28, No. 2 ( Summer 1989) , pag. 117- 129, pubblicato da Islamic Research Institite

3.Una prospettiva Islamica sui diritti fondamentali

Per delineare in maniera più generale la concezione dei diritti fondamentali da un punto di vista islamico, si impiegherà la ricostruzione esposta da Anis Ahmad, sociologo e professore pakistano62. Egli afferma che in

occidente i diritti siano nati come diritti legati agli individui, focalizzandosi sulla libertà politica. Dal punto di vista di Ahmad, questo approccio individualista ha contribuito a creare quello che oggi è il sistema capitalistico. Così, nei paesi occidentali, la religione si ridusse ad una questione personale, mentre l’etica al relativismo culturale. Secondo Amhad i risultati di questo processo sono ben visibili in alcuni istituti in decadenza nei sistemi occidentali, quali quello della famiglia, che fu ampliato fino all’ammissione dei matrimoni dello stesso sesso.

Spostando il punto di vista, preme sottolineare il cambiamento di paradigma attraverso il quale i diritti vennero concepiti. Infatti, da una visione individualistica si è passati ad una visione comunitarista. Grazie ad essa, i diritti e le obbligazioni non hanno il solo scopo di giovare al singolo, bensì quello di rafforzare il senso e l’impegno alla responsabilità sociale in un’ottica solidaristica. Così l’individuo diventa parte del tutto, e i suoi diritti si

62 Anis Ahmad, Human Rights: An Islamic Prospective, Policy Perspectives, Vol.3,

esprimono in un più generale benessere collettivo rispetto a quello del singolo, dando beneficio all’intera comunità di credenti, la ‘Umma’. I diritti, in base al Corano, non sono determinati dallo status sociale e non possono essere negati per qualità specifiche della persona quali ad esempio la razza o il genere. Infatti, nel Corano, si rinviene l’assunto che tutti gli esseri umani siano la medesima progenie di Adamo, quindi da considerare tutti uguali.

A questa generale eguaglianza di base, sono associate sette regole universali, su cui si fondano poi i diritti fondamentali dell’intera umanità. Partendo dalla considerazione generale che i diritti dell’individuo aiutano la costruzione sociale di un paese, questo deve essere basato su principi di giustizia. Il primo di questi principi è quello dell’unità della vita. Secondo tale principio, criteri cardine della vita umana devono essere la coerenza e l’ordine, i quali si possono raggiungere attraverso una conciliazione tra l’interesse individuale e il bene collettivo. Se invece la vita si basasse sugli opposti principi di contraddizione e conflitto, si giungerebbe a un’inevitabile violazione dei diritti umani. Questo primo principio si basa sul legame intrinseco presente tra l’unità del cosmo e della società63. Attraverso il

perseguimento di tali obiettivi, si può giungere alla creazione di una società con dignità, onore ed equità.

Il secondo principio è espresso dal vocabolo ‘Adl, ed è proprio il valore dell’equità e della giustizia. Questa va osservata verso i parenti, ma anche verso i vicini e chiunque sia bisognoso di aiuto. Potremmo definire questo principio con un duplice connotato. Infatti, non solo permette la richiesta di certi beni, ma impone anche determinati doveri e obblighi di assistenza e solidarietà, essendo un valore positivo e sostanziale. Lo scopo che deve essere perseguito dall’individuo nella vita sociale, economica, familiare, politica e culturale è quello di eliminare l’ingiustizia, la ribellione e gli eccessi dalla vita individuale e sociale, osservando il rispetto dei diritti umani anche verso coloro che non si amano e verso chi non è musulmano. Solo questo può portare alla creazione di una comunità onesta, imparziale ed aperta; mentre nel caso contrario, si scatenerà il malcontento di Dio.

La terza regola è quella della protezione della vita, intesa come sua preservazione e promozione. La santità della vita non è connessa a nessun particolare credo religioso, tradizione culturale o gruppo etnico, ma è un assunto valido per tutte le persone in quanto esseri umani. Il Corano, in uno dei tanti passi che si riferiscono a questo tema, afferma che chiunque uccida un/un altro/a intenzionalmente, è come se avesse ucciso tutto il genere umano.

Il quarto principio consiste nel valore della libertà religiosa, della tolleranza e del pluralismo. In occidente, secondo Ahmad, la religione altro non è che una credenza

prescientifica, che si estrinseca in dogmi, rituali e cerimonie. Ogni religione, diversa da quella musulmana, necessita di riconoscimento e accettazione. Inoltre, ai fedeli musulmani è riconosciuto il diritto di applicare la sunna e il Corano in tutti i giorni della loro vita e in ogni luogo. Questo implica però anche la necessità di riconoscere la libertà dei non musulmani di osservare la propria religione.

La quinta regola ha poi a che fare con il ruolo dinamico e il valore dell’intelletto, denominato col vocabolo ‘Aql. Esso ha un significato sostanzialmente riconducibile alla condotta razionale e responsabile. L’Islam è molto chiaro su quelli che sono i limiti della coscienza umana. L’intelletto e la ragione possono così liberare le persone dall’agnosticismo e dallo scetticismo, e promuovere il dialogo, la comprensione e la coesistenza. Questo implica il rispetto per le diverse opinioni, contribuendo a creare una società improntata sulla giustizia sociale.

Il sesto principio riguarda l’onore, la dignità e l’identità di tutti i membri della società. Questa è una regola che può trovare esempio di concreta applicazione nelle norme sulla filiazione. Inoltre, è possibile consumare rapporti sessuali solo in costanza di matrimonio, che conferisce sacralità all’unione di due individui. Il primo matrimonio, di Adamo ed Eva, costituì la prima famiglia formatasi sulla terra. Infine, ultimo principio è quello della proprietà: a nessuno può esser permesso di privare gli altri dell’indipendenza economica.

Questi 7 valori possono essere considerati le basi dei diritti fondamentali. La natura religiosa e filosofica di essi è stata tradotta in più puntuali e precise regole di condotta. Tra i diritti fondamentali sono ricompresi: il diritto ai beni necessari, il diritto alla riservatezza, il diritto di protesta, il diritto di promuovere la pace, il diritto all’astensione cosciente, il diritto di partecipare agli affari pubblici, il diritto di combattere per l’ordine sociale, il diritto di associazione e il diritto alla sicurezza personale.

Bisogna aggiungere, infine, che al pari dei diritti, sono ricomprese anche le obbligazioni verso Dio e gli uomini. In caso di inadempimento non si commette solo uno sbaglio etico, ma anche una illegittimità, da un punto di vista giuridico. In alcuni paesi a maggioranza musulmana, un peccato religioso è punibile come reato, sempre per il fatto che la legge non è separata dall’etica e dalla morale64.

4.Dal periodo classico a quello moderno

Nell’articolo “The application of International Human Rights

Law in Islamic States”, pubblicato dall’Università di Johns

Hopkins, Donna E. Arzt propone una ricostruzione della prospettiva musulmana di tutela dei diritti fondamentali nel periodo classico. Esordisce citando Maajid Khadduri, accademico iracheno naturalizzato statunitense, che ha

64 Anis Ahmad, Human Rights: An Islamic Prospective, Policy Perspectives,

delineato 5 principi nella sharia: la dignità, la fratellanza, l’eguaglianza tra i membri della comunità senza distinzione di sesso, razza o classe, il rispetto per l’onore familiare e la reputazione di ogni individuo, la previsione di innocenza e la libertà individuale65. Come specificato nel precedente

paragrafo, diversamente dalla cultura occidentale, tutti i diritti nella religione islamica sono dei corrispettivi di obblighi che l’individuo deve adempiere verso Dio e gli altri individui. Chiunque non rispetti tali obblighi non è degno di possedere i correlativi diritti. Questa concezione riflette il rigetto dell’individualismo a favore del comunitarismo. Difatti, la visione Islamica della società può essere definita olistica, così come il benessere dell’organismo è più importante di quello di un singolo componente dell’organismo stesso, anche il bene collettivo della comunità è più importante di quello dell’individuo. Dunque, i diritti fondamentali, nella visione musulmana, sono creati per favorire le relazioni umane ed il dialogo tra gli appartenenti alla comunità.

In passato, nel “modello” islamico classico, grande potere era detenuto dai giuresperiti. Secondo N.J.Colson, il fatto che la teoria politica islamica non si basasse sul sistema della separazione dei poteri, comportava che la giurisprudenza e il potere esecutivo fossero controllati dal sovrano66. Il ‘Qadi’,

65 M.KHADDURI, The Islamic Concept of Justice, Baltimore, The Johns

Hopkins University Press, (1984)

66 N.J. COULSON, The State and the Individual in Islamic Law, 6 Int’I & Comp.

ovvero il giudice, era il segretario legale del califfo o della autorità politica, ed aveva una così ampia discrezione in certi paesi che poteva, ad esempio, mettere mano individualmente alle fattispecie dei reati e alle loro sanzioni o concedere giurisdizioni extralegali ai politici. In questo contesto la specifica applicazione dei diritti individuali era la seguente67.

I diritti civili e politici nel periodo classico erano inizialmente goduti pienamente soltanto da uomini maturi, non schiavi, e musulmani con piena capacità legale. I leader della comunità potevano consigliare il califfo, ma non lo potevano eleggere né costringere a rispettare i loro consigli. Il diritto alla libertà d’espressione poteva esser esercitato solo per la giustizia ed il bene comune.

Per quanto riguarda il diritto alla proprietà privata è bene ricordare che l’Islam riconosceva solo un diritto all’uso, questo perché la proprietà di ogni cosa è di Dio.

Lo Stato, secondo il diritto islamico classico, deteneva

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