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Dal momento che la lettura e l’applicazione della sharia è stata continuamente riadattata alle emergenti esigenze che i vari contesti sociali richiedevano, si riporteranno qui alcune vie attraverso il quale è avvenuto tale processo. Dapprima, è bene ricordare che l’interpretazione del messaggio religioso non è unanime all’interno delle varie scuole giuridiche musulmane. Il dibattito è presente fra due diverse prospettive di pensiero, accomunate dal fatto che entrambe rifiutano l’impostazione classica, che riduceva l’opera del giurista islamico alla mera esegesi del Corano. Per entrambe

73 Donna E. Arzt, The application of Human Rights Law in Islamic

le correnti, l’interpretazione deve avere un ruolo di mediazione tra la voce arida della norma e le esigenze presenti nella società moderna. I primi, i riformisti, sancendo una funzione creatrice del giurista, cercano di accordare il testo sacro con la modernità plasmando la società islamica mediante una nuova interpretazione evolutiva del diritto. Dal lato opposto, i conservatori, ancorando il testo sacro al passato, richiedono il restauro di una società islamica pura attraverso un’interpretazione involutiva delle disposizioni sacre. Un esponente della corrente riformista, Mohamed Talbi, propone una lettura del Corano che tenga conto del contesto storico in cui esso è stato scritto, al fine di ricostruire correttamente l’intento delle varie disposizioni. Inoltre, sarà necessario prendere in considerazione il periodo storico in cui vive l’interprete per non limitarsi e permettere tutti gli adattamenti necessari al passare del tempo 74 . Altri riformisti contestano

un’interpretazione classica, che si basa sull’analisi condotta versetto per versetto, prediligendo una visione globale del Corano nella sua interezza. In questo modo si riuscirebbe a filtrare dal testo i principi fondamentali irrinunciabili75.

Il sociologo teologo tedesco Heiner Bielefeldt riporta alcuni più recenti passi del raffronto della sharia con le richieste

74 Cfr.M.Talbi, Le vie del dialogo nell’Islam, Torino, Fondazione

Giovanni Agnelli 1999.

.

della società moderna, indirizzate verso la tutela dei diritti. Il primo di essi è stato un approccio di inerzia definito “Islamizzazione dei diritti umani”, che consisterebbe più semplicemente nel negare che ci sia un problematico conflitto tra il godimento dei diritti e gli ordinamenti. Un esempio di questo approccio lo possiamo chiaramente trovare nelle teorie del conservatore Mawdudi, teologo e politico pakistano. Egli, affermando esplicitamente il proprio rigetto per ogni forma di discriminazione basata sul colore, la razza, il linguaggio e la nazionalità, omette di inserire tra i suoi criteri di non discriminazione proprio la religione ed il genere76. Una simile radicale posizione la

sostenne anche Ayatollah Taskhiri, partecipante iraniano alla quarta conferenza tedesca-iraniana dei diritti umani che si svolse a Teheran nel 1994. Egli affermò che, secondo la

sharia, ogni uomo ha la possibilità di godere pienamente dei

diritti umani, aderendo alla fede musulmana e rispettando in concreto gli obblighi ed i vincoli che ne derivano. In questa visione dogmatica, il grado di godimento dei diritti è tanto quanto ne è la devozione rispetto alla religione. Questa tendenza di pensiero la possiamo anche ritrovare in documenti semi-ufficiali di alcune organizzazioni islamiche che sostengono che i paesi a maggioranza musulmana erano stati i primi a riconoscere i diritti fondamentali soltanto oggi

76 Mawdudi, Human rights in Islam, Lahore(Pakistan), Rana Allah Dad Khan,

incorporati nella dichiarazione universale, e già da 14 secoli vi davano tutela e garanzia.

Le linee di pensiero più conservatrici sono spesso riluttanti alla possibilità di intraprendere una riforma della struttura della sharia. Nelle stesse fonti della sharia possiamo trovare dei riferimenti a delle possibili modifiche: molti musulmani ricordano, ad esempio, lo storico caso in cui il secondo califfo Omar sospese la pena all’ amputazione degli arti per i furti durante il periodo di carestia. Si deve infatti a tal punto ricordare che anche i musulmani, sebbene non negando la validità delle dure e crudeli pene che si possono trovare nella sharia, comunque trovano difficoltà nella realizzazione concreta di queste. Il compromesso, che è stato elaborato a proposito, sta nel fatto che queste pene servirebbero solamente come ammonizione e avvertimento all’interno del Corano, e non sarebbero applicabili all’interno della maggior parte dei codici penali. Queste riforme ‘pragmatiche’, nell’esecuzione empirica della sharia, potrebbero essere un secondo modo che Bielefeldt individua per avvicinare la legge divina al godimento dei diritti fondamentali. Anderson, nel suo saggio intitolato “Law

reform in the Muslim World” ne presenta un gran numero di

esempi.

Nel 1917, attraverso l’applicazione pratica del diritto di famiglia ottomano, venne concessa la possibilità alla futura moglie di inserire una clausola all’interno del patto matrimoniale, attraverso la quale avrebbe potuto avere la

possibilità di chiedere il divorzio se il proprio marito avesse sposato un’altra moglie; questo al fine di frenare la poligamia. In questo caso anche se la teorica validità della poligamia rimase invariata, la sua pratica poteva comunque essere ristretta, e, contemporaneamente questa riforma permetteva la possibilità alla moglie di adire il tribunale per accedere al divorzio. Un’interpretazione della sharia, a partire dalle fonti primarie, si può scorgere nella teoria di Mohammed Abduh, giurista, filosofo e teologo egiziano, il quale ha affermato che la poligamia 77 sarebbe

implicitamente abolita nel Corano a causa del fatto che esso prescrive al marito di essere egualmente giusto con tutte le mogli. Allo stesso tempo afferma che non è possibile per un uomo trattare tutte le proprie mogli con imparzialità. In questo snodo, che pare mostrare la contraddizione tra due versi del Corano, potremmo quindi trovare la tanto ricercata soluzione al problematico istituto.

Bielefeldt riporta poi l’analisi di alcuni studiosi che hanno avanzato la proposta di una rivisitazione della comprensione del Corano e della Sunna, attraverso una “riconcettualizzazione critica” della Sharia. In questo modo sarebbe possibile liberare la Sharia dai retaggi della giurisprudenza classica delle scuole, valorizzando al contempo il ritorno alle fonti primarie e fondamentali quali il Corano e la Sunna, in modo da poterle adattare alla

contemporaneità. Il Corano, infatti, affermando che Dio ha nominato Adamo come suo vice, dandogli rango superiore a tutte le altre creature, pone l’accento su quella che è la dignità della persona umana. Questo è un principio che possiamo trovare anche in un hadith, secondo il quale l’uomo riuscì a ottenere la fiducia divina del cielo, delle montagne e della terra, dopo essersi mostrato coraggiosamente per chiederla a discapito della sua fragilità e vulnerabilità. La nuova interpretazione ermeneutica che si richiede, deve quindi ritrovare all’interno dei principi del Corano il significato vero, liberandola da tutti i retaggi che si sono venuti a creare a causa di circostanze storiche, come afferma il professore egiziano Abu Zaid. In questo modo si può giungere al raggiungimento dell’uguaglianza fra tutti gli esseri umani. Trattando quindi anche le donne con dignità e rispetto è necessario che anche queste abbiano una posizione giuridica eguale a quella degli uomini. Una decisa rilettura femminista del Corano è stata proposta anche da Hassan. Questa autrice femminista critica la tradizionale gerarchica tra i generi, che spesso sfocia in un’ideale quasi divino dell’autorità del marito, asserendo che la trascendenza del creatore divino mai si è amalgamata con la sua creazione. Conseguentemente questa autorità sociale, che gli uomini si sono auto attribuiti, si può accostare alla blasfemia78.

78 Bielefeldt H., ‘Western’ versus ‘Islamic’ Human rights conceptions? : A critique

of cultural essentialism in the discussion of human rights, Political theory, vol.28, no.1, 2000 pp.102-111L; HASSAN, “On Human Rights and the Qur’anic Perspective”, p. 63.

Anche l’avvocato per i diritti umani tunisino Talbi offre una propria interpretazione sulla questione che vale la pena menzionare. Egli afferma che è necessario che gli uomini rispettino ogni convinzione propria di ciascun essere umano, poiché a nessuno è dato conoscere con assoluta sicurezza quale sia la volontà di Dio rispetto ad ogni singolo individuo.79 Questa rilettura potrebbe portare ad una piena

ed effettiva manifestazione della libertà religiosa.

Un altro modo per rendere conforme la sharia ai diritti fondamentali potrebbe essere quello di procedere ad un netto “secolarismo” della legge e della politica, attraverso una scissione rispetto alla sfera religiosa. Ad ogni modo, questa non è una posizione che gode di popolarità all’interno dei paesi a maggioranza musulmana. Bisogna precisare che una sorta di secolarismo si è sempre realizzato: già nel Califfato classico infatti, diversi erano i ruoli del governatore e del dottore della legge. Anche i musulmani più liberali mostrano riluttanza all’idea di effettuare una riforma verso una netta separazione del diritto e della religione musulmana, dato che si teme la nascita di un’ideologia antireligiosa. Tuttavia sono presenti alcune eccezioni. Una di queste è rappresentata dal pensiero di Abdarraziq, professore della prestigiosa università Al-Azhar in Cairo, che nel suo famoso saggio “Islam e le basi del potere”, riteneva

79 MOHAMED TALBI, “Religious Liberty: A Muslim Perspective”. Coscience

and Liberty: International Journal of Religious Freedom 3 (Spring 1991): pp.23-31 at 31.

già nel 1925 doverosa l’abolizione del califfato. Questa era un’idea molto spinta per la rigida cultura musulmana che, conseguentemente, ne ha agitato gli animi. Questa asserzione di Abdarrziq si basava sul fatto che il Corano non conteneva nessuna dettagliata direttiva su come costruire il governo di uno Stato. Di conseguenza Abdarraziq disegnò una chiara distinzione concettuale tra le leggi etiche e quelle politiche. Nel momento in cui Maometto aveva incarnato il ruolo di autorità religiosa senza limite, questo ruolo politico fu dovuto alla combinazione di circostanze storiche della prima comunità islamica di Medina. Questa faceva parte di una missione che gli era stata data da Dio e durante la sua vita Maometto non aveva mai fatto menzione al concetto di “Stato Arabo” o “Stato Islamico”. Successivamente, secondo Abdarraziq, la pretesa dei califfi di ottenere l’autorità religiosa è assimilabile ad un gravissimo peccato, quale quello dell’idolatria. Quindi la fine del califfato avrebbe coinciso con la liberazione dei fedeli musulmani80. Secondo

questo pensiero, Ashmawy, autore della medesima corrente, afferma che la confusione tra religione e stato politico non è altro che perversione, poiché essa è distruttiva per entrambe le sfere: la politica svilisce la religione e la rende uno strumento al servizio del potere; mentre la purezza della religione viene intaccata da pensieri politici81.

80 Ali ABDARRAZIQ “The Caliphate and the Bases of Power”, in Islam in

Transition, ed. Donohue and Esposito, pp.29-37

81 ASHMAWY, l’islamisme contre l’islam, Parigi, LA DECOUVERTE, 1990,

Zakariya, un altro autore egiziano, ha invece cercato di dimostrare che la antitesi tra legge divina e legge umana è solo una costruzione ideologica. Infatti, anche coloro che invocano la legge divina per legittimare la loro posizione di potere, rimangono dei limitati esseri umani, anche se si rifiutano di riconoscerlo. La differenza sostanziale quindi non è tra legge umana o legge divina, bensì tra coloro che detengono posizioni pur ammettendo di essere “umani” e coloro che pretendono di parlare in nome di Dio. Quest’ultima posizione costituisce, evidentemente, una strumentalizzazione e mistificazione della tradizione islamica82. La politica dovrebbe basarsi sulla natura finita

dell’uomo e, posta questa premessa, sul rispetto della trascendentale natura di Dio83.

Come è stato descritto, le fonti della sharia sono antiche, di significato non univoco e di natura malleabile. Questo porta ad ampie discordanze rispetto a come viene letta la legge divina all’interno dei vari Stati. Ciò che sembra essere di fondamentale importanza è il tipo di interpretazione adottata. Proprio perché le fonti non sono puntuali e precise, un significato differente può essere determinato dal fatto che venga adottata l’una o l’altra tipologia di esegesi giuridica. Ciò detto è possibile notare come il divario fra giuristi

82 F. ZAKARIYA, Laicitè ou islamisme: les arabes à l’heure de choix (Parsi: la

dècuverte, 1989)

83 Bielefeldt H., ‘Western’ versus ‘Islamic’ Human rights conceptions? : A critique

of cultural essentialism in the discussion of human rights, Political theory, vol.28, no.1, 2000 pp. 112-120

riformisti o conservatori sia strettamente connesso all’uso che si vuole dare a questi flessibili principi per orientare i comportamenti sociali. Riprendendo le iniziali riflessioni fra universalismo e particolarismo, si può intravedere come una totale imposizione della tradizione giuridica occidentale, con la conseguente cancellazione di quella shariatica, non sia soltanto un violento trapianto giuridico, che cancellerebbe anni di storia e cultura, ma anche un atto inutile. Questo perché svariate vie per conciliare gli ordinamenti giuridici dei paesi a maggioranza musulmana con i diritti fondamentali, sono ammissibili partendo dall’ermeneutica della sharia. Alcune di esse sono state descritte all’interno di quest’ultimo paragrafo e tutte hanno come oggetto principale l’interpretazione giuridica del diritto islamico. Infatti, il ruolo di quest’ultima, indifferentemente dall’ordinamento preso in considerazione, è anche quello di riportare il diritto al passo coi tempi e adeguarlo a quelle che sono le nuove richieste provenienti dalla società. Frenare il soggetto con una mera interpretazione letterale sembra essere una scelta insensata, salvo che essa non sia necessaria a servire finalità diverse dal benessere del popolo. Questo sarà l’argomento centrale nei “case studies” che saranno analizzati successivamente. Ad ogni modo è essenziale che il diritto sia al servizio della società e non che la società sia al servizio del diritto. Ciò che possiamo concludere alla fine di questo capitolo è che, attraverso una rivisitazione del modo di concepire la sharia come viene effettuato dai paesi

maggiormente riformisti, è possibile ritrovare gli strumenti per la tutela dei diritti fondamentali così come si ritrovano all’interno dei paesi a tradizione occidentale.

Capitolo terzo: Case Studies

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