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I diritti dei ricercatori universitari assunti con contratti di lavoro subordinato a tempo

La posizione di professori e ricercatori universitari di ruolo presenta caratteristiche peculiari in ragione della loro sistematica esclusione dalla privatizzazione che ha riguardato l’impiego pubblico (183). Un indirizzo della giurisprudenza di legittimità e amministrativa riconosce carattere pubblicistico anche al rapporto di impiego dei docenti delle università private. Si è affermato, a riguardo, che «libertà di ricerca scientifica e libertà di insegnamento sono parte integrante dell’ufficio pubblico del docente universitario, che devono potersi esplicare allo stesso modo nell’ambito di qualsiasi istituzione accademica e indipendentemente dal regime del rapporto di lavoro» e che proprio «in questa prospettiva si colloca il riconoscimento del medesimo stato giuridico a tutti i professori e ricercatori di ruolo (art. 6 della l. 240/2010), cui corrisponde per le università telematiche l’obbligo di assicurare al proprio personale docente lo stesso stato giuridico, trattamento economico e di quiescenza previsti per le università statali (184).

Non è certo che alla base dell’esclusione di docenti e ricercatori vi sia stata effettivamente la preoccupazione che una privatizzazione dell’impiego avrebbe condotto ad una debole efficacia dei principi di libertà scaturenti all’art. 33 Cost (185

).

(183) Il d.lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993 rinviava ad un momento successivo in ragione della necessità di attendere il varo di una riforma in materia di autonomia universitaria alla quale la disciplina del rapporto di lavoro di professori e ricercatori universitari si sarebbe poi armonizzata con apposita regolamentazione. Ai sensi della versione originaria dell’art. 72 comma 4 del d.lgs. n. 29 del 1993, solo nel caso in cui entro il 1-6-1994 non fosse stata adottata una «specifica disciplina che […] regolasse, in modo organico, il rapporto d’impiego in conformità ai principi dell’autonomia universitaria» avrebbero potuto trovare applicazione le norme dettate per il lavoro pubblico privatizzato. Sul punto cfr. A.TROJSI,op. cit., parla di un «rinvio sine die».

(184) F.SCIARRETTA, Le università telematiche tra dimensione costituzionale, diritto pubblico e diritto privato, Bologna, 2015, cit. p. 105-106, peraltro l’A. prosegue «l’indipendenza del docente appare debole in quelle università telematiche i cui organi di governo possono condizionarne in vario modo l’attività, sminuendone lo status. In diversi atenei telematici, soprattutto, è prassi invalsa quella di attribuire ai docenti (per la maggiore parte ricercatori di prima nomina a tempo determinato per i quali la ricerca scientifica dovrebbe costituire l’occupazione primaria) compiti didattici assorbenti, che mortificano l’attività di ricerca e sviliscono l’insegnamento. Realtà nelle quali la ricerca non è favorita mediante la conformazione del rapporto di lavoro secondo modalità compatibili con il suo svolgimento, né tanto meno è supportata sotto il profilo finanziario» (p. 107). Cfr. sul punto anche A.SANDULLI, Le università non statali: regime e tipi, in E.CHITI,G.GARDINI,A. SANDULLI (a cura di), Unità e pluralismo culturale (Vol. VI), in L.FERRARA,D.SORACE (a cura di) Studi a 150

dall’unificazione amministrativa italiana, Firenze, 2016, p. 119 e ss., «significative anche due ordinanze del

Consiglio di Stato secondo cui lo stato giuridico ed economico dei professori e dei ricercatori universitari delle telematiche non può essere diverso da quello delle università statali e non statali (pertanto, i docenti delle telematiche non possono essere prigionieri e fungere da call center in seno a un ateneo telematico), perché verrebbe leso il principio costituzionale della libertà della scienza. Qui l’unica eccezione per le università non statali può riguardare semmai quelle di tendenza (si rinvia ai celebri casi Cordero e Lombardi Vallauri)» (p. 129).

(185) In ogni caso, la ratio dovrebbe ritenersi duplice, perché vi è anche quella di garantire il valore legale dei titoli di studio e di una attività formativa e scientifica dell’Università ugualmente efficiente su tutto il territorio

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Secondo parte della dottrina «lo strumento negoziale, oltre che non incompatibile con la libertà, l’indipendenza e le guarentigie dei docenti, potrebbe […] apparire più coerente con l’autonomia universitaria e con i suoi fini, garantendo – meglio di quanto non faccia la regolamentazione rigida e monolitica dello stato giuridico di stampo pubblicistico – una duttile risposta alle esigenze sia dell’offerta didattica (sempre più articolata) sia della ricerca scientifica (sempre più specialistica nella società della conoscenza)» (186).

Inoltre, si è affermato che proprio in ragione della coesistenza nell’attività dei professori e ricercatori universitari dei principi di “libera scienza” e di “libero insegnamento”, dovrebbe essere impedito un esercizio dei poteri direttivi e sanzionatori tipici della subordinazione giuridica: il datore di lavoro pubblico potrebbe esercitare il proprio potere «in relazione non ai contenuti ed al metodo dell’insegnamento (e della ricerca), ma agli aspetti estrinseci della prestazione» (187). Secondo tale orientamento doveva ritenersi infondato il timore che una eventuale contrattualizzazione dei docenti potesse comportare un attentato alla libertà didattico-scientifica, perché «la curvatura del dritto privato» avrebbe interessato l’esercizio dei poteri datoriali a tutela delle garanzie di libertà di ricerca e insegnamento (188).

La contrattualizzazione del rapporto di lavoro del ricercatore è oggi prevista dalla legge n. 240 del 2010 che, per rispondere alla necessità di un sistema più flessibile e attento alle esigenze di economicità, ha eliminato il ruolo del ricercatore a tempo indeterminato (che diviene a scadenza) e al suo posto disposto che «nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, le università possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato» (189).

Tali contratti possono essere di due tipologie: contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto del Ministro; contratti triennali «rinnovabili non oltre il 31 dicembre 2016, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti del primo tipo, ovvero, per almeno

(186) M. MAGNANI, Stati giuridici, in Diritto del lavoro e riforme universitarie. Stati giuridici, carriere dei docenti ed ordinamenti didattici, «Arg. dir. lav.», 2007, n.7, p. 7 e ss.

(187) Cfr.M.T.CARINCI, L’ambito di applicazione della privatizzazione: docenti e ricercatori universitari, in F. CARINCI, L.ZOPPOLI (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, cit.p. 47

(188) S.MAINARDI, La trasformazione delle Università in Fondazioni. Profili di diritto del lavoro, in «Giorn dir. amm.», 2008, n. 11, p. 1169 e ss., cit. p. 1179.

(189) In merito all'accesso al profilo di ricercatore universitario a tempo determinato: M.ASARO,L.BUSICO, Le

procedure di chiamata dei ricercatori a tempo determinato – il commento, in «Giorn. dir. amm.», 2016, n. 1, p.

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tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, o di borse post- dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri. Mentre la prima tipologia di contratti può prevedere il regime di tempo pieno o di tempo definito, i secondi sono stipulati esclusivamente con regime di tempo pieno.

Per quanto concerne la disciplina del rapporto di lavoro, la legge si limita a prevedere che le modalità di svolgimento dell’attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti nonché delle attività di ricerca sono definite dal contratto, nel rispetto delle previsioni dei regolamenti di ateneo. L’autonomia affidata alle Università nella definizione delle regole del rapporto lavorativo è pertanto molto ampia. Il solo limite espressamente previsto dalla legge è quello orario dell’impegno annuo complessivo da dedicare allo svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti: 350 ore per il regime di tempo pieno e 200 ore per il regime di tempo definito (190). Non viene indicato, invece, se ed entro quali limiti debba applicarsi la disciplina dell’impiego pubblico privatizzato.

Il rapporto di lavoro tra Università e ricercatori universitari a tempo determinato è costituito contrattualmente con un negozio privatistico che, però, «resta adespota», poiché tali contratti «non hanno un riferimento negoziale generale né nel Contratto collettivo nazionale del comparto Università, né nel CCNL dell'Area dirigenziale VII» (191).

Ciò premesso, possono sollevarsi dubbi sul fatto che la libertà della ricerca sia la stessa dei ricercatori a tempo indeterminato.

In primo luogo, la scelta dell’oggetto delle ricerche non è oggetto di un vero e proprio diritto in tal senso, poiché i bandi spesso prevedono quale sia l’attività di ricerca

(190) Cfr. a tal proposito M.BORZAGA, Reclutamento e rapporto di lavoro del personale docente e ricercatore

nelle più recenti riforme dell’Università italiana: verso una reale ed efficace valorizzazione del merito?, in G.

PIPERATA (a cura di), L'Università e la sua organizzazione. Questioni ricorrenti e profili evolutivi, Napoli, 2014, p. 139 e ss., l’a. sottolinea le «illogiche discrasie e disparità di trattamento tra ricercatori di ruolo e ricercatori a tempo determinato: mentre infatti ai primi, come si è già avuto modo di dire, possono essere affidati corsi e moduli curriculari solo ove essi esprimano il proprio consenso, i secondi sono invece tenuti a svolgere l’attività didattica che l’Ateneo datore di lavoro decide di attribuire loro» (p. 175). Secondo A.BELLAVISTA, I ricercatori

a tempo determinato nella legge n. 240/2010, in M. BROLLO, R.DE LUCA TAMAJO (a cura di), La riforma

dell’Università tra legge e Statuti. Analisi interdisciplinare della legge n. 240/2010, Milano, 2011, p. 165 e ss.,

«si può porre un profilo di illegittimità costituzionale, per violazione del principio di eguaglianza, in quanto ai ricercatori di ruolo non è stato attribuito espressamente il compito di svolgere attività didattica (se non integrativa); cosa che invece è esplicitamente prevista per i ricercatori a tempo determinato» (p. 175).

(191) M. ASARO, L. BUSICO, op. cit., cit. nota (3), l’A. sottolinea, inoltre, «che, diversamente dall'ambito universitario, i ricercatori a tempo determinato degli Enti pubblici di Ricerca hanno la medesima fonte e disciplina contrattuale di quelli a tempo indeterminato nel CCNL del comparto Istituzioni di ricerca e sperimentazione - personale non dirigente».

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richiesta. Inoltre, il fatto che possa essere reso esplicito, nel contratto, l’indirizzo della ricerca da coprire e le ore per portarla a termine, rischia di escludere per il ricercatore la possibilità di utilizzare il proprio tempo per altre ricerche, partecipando a progetti nazionali ed internazionali (192).

Per quanto concerne l’autonomia nell’esecuzione delle ricerche, il potere direttivo non è quello proprio di un datore di lavoro privato. Tuttavia, l’analisi della regolamentazione posta in essere da alcuni atenei fa sollevare alcuni dubbi Si consideri che, mentre non vi è dubbio che gli obblighi del codice etico siano vincolanti per tutta la comunità universitaria, «potrebbe essere più difficile applicare ai ricercatori a termine le norme del testo unico dell’istruzione superiore del 1933 (R. D. 31 agosto 1933, n. 1592), che per la parte relativa alle sanzioni disciplinari sono ancora in vigore, poiché sussiste l’espresso riferimento ai professori di ruolo (art. 87 del citato regio decreto)». La disciplina sanzionatoria potrebbe derogare a quanto previsto per i ricercatori di ruolo sotto il profilo degli illeciti. È quanto avviene nel caso del “Regolamento per la disciplina delle modalità di selezione e dello svolgimento delle attività dei ricercatori con contratto a tempo determinato ex 24 legge n. 240 del 2010” dell’Università di Tor Vergata (d.r. n. 1762 del 2 febbraio 2016). Il predetto regolamento, dopo aver disposto che quello dei ricercatori a tempo determinato è un rapporto «di natura subordinata a tempo determinato, per lo svolgimento di attività di ricerca, didattica, didattica integrativa e servizi agli studenti» che viene «regolato dalle disposizioni vigenti in materia» (anche per quanto attiene al trattamento fiscale, assistenziale e previdenziale previsto per i redditi da lavoro dipendente), inserisce tra i motivi di risoluzione del contratto il «recesso per giusta causa di una delle parti». L’evidente richiamo all’art. 2119 c.c. suggerisce che la disciplina sostanziale degli illeciti sia diversa da quella del ricercatore a tempo indeterminato.

Non è escluso che il giudizio nel merito del lavoro svolto e delle modalità utilizzate possa essere previsto come causa di giusto recesso. Si pensi a quanto previsto dal regolamento dell’Università di Perugia: «l’attività di ricerca sarà oggetto di specifica

(192) Cfr. quanto sostenuto dall’associazione ArteD, Il paradosso dei ricercatori a tempo determinato, su http://www.uniarted.it/il-paradosso-dei-ricercatori-a-tempo-determinato/ : «in alcuni casi viene di fatto impedito al ricercatore di avere dei fondi personali, limitando pesantemente la ricerca dell’RTD e equiparandolo da questo punto di vista ad un assegnista. Accanto alla evidente limitazione nell’accesso ad “altri” progetti che non siano quelli previsti dal contratto, questa condizione è incongruente con le condizioni poste dalle abilitazioni nazionali, che invece richiedono che il ricercatore dimostri una comprovata capacità di coordinare o dirigere un gruppo di ricerca, la capacità di attrarre finanziamenti competitivi almeno in qualità di responsabile locale e la capacità di promuovere attività di trasferimento tecnologico (rif. DM 76 del 7 giugno 2012, Art. 5, Comma 5). In aggiunta un profilo scientifico ad ampio spettro, quindi su una molteplicità di ricerche, è sicuramente di maggior valore rispetto ad una produttività legata ad un solo progetto».

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relazione tecnico-scientifica da sottoporre, annualmente, all’approvazione della Struttura di ricerca di appartenenza. La mancata approvazione della relazione tecnico- scientifica […] può costituire giusta causa di recesso» (193

).

Ulteriore aspetto critico è rappresentato dai criteri per la valutazione ai fini della proroga. Il Decreto ministeriale n. 242 del 24 maggio 2011 è intervenuto a specificare il testo legale prevedendo, ai sensi dell’art. 2, che «l'attività didattica e di ricerca svolta dal ricercatore nell'ambito del contratto per cui è proposta la proroga è valutata da una apposita commissione, nominata dal rettore e disciplinata con regolamento di ateneo, sulla base di una relazione predisposta dal predetto dipartimento». Per quanto attiene al merito della valutazione lo stesso articolo prevede che abbia come oggetto «l'adeguatezza dell'attività di ricerca e didattica svolta in relazione a quanto stabilito nel contratto che si intende prorogare» (194). I margini discrezionali sono evidentemente ampi, ma dovrebbero essere efficaci i principi della libertà di ricerca.

Anche il procedimento disciplinare potrebbe non essere lo stesso per i ricercatori a tempo determinato. Il fatto che la legge preveda che collegio di disciplina sia composto solo da professori e ricercatori a tempo indeterminato e a tempo pieno, potrebbe far ritenere che il nuovo regime in materia di procedimento disciplinare non sia applicabile ai ricercatori a tempo determinato. Una simile conclusione appare problematica sul piano sistematico: «la mancata applicazione di questo procedimento determinerebbe un vuoto di garanzie procedurali a svantaggio dei ricercatori a termine che non potrebbe essere colmato con la pregressa regolamentazione che affidava al Consiglio Nazionale Universitario queste prerogative (art. 3, l. 16 gennaio 2006, n. 18), poiché ormai abrogata (art. 10, co. 6, l. 240/10)» (195). Diversi regolamenti, comunque, operano un rinvio all’art. 10 della legge n. 240 del 2010.

L’esigenza di evitare discriminazioni di trattamento avrebbe richiesto una minore disparità tra le regole proprie di questo tipo di contratti con le regole previste per il ricercatore di ruolo. Si consideri, infine, che sulla libertà di ricerca incide la

(193) Cfr. art. 11 del Regolamento dell’Università di Perugia per l’assunzione di ricercatori con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato D.R. 829 dell’8 maggio 2016.

(194) Cfr. il regolamento dell’Università della Tuscia per il reclutamento di Ricercatori a Tempo Determinato (D.R. n. 283/12 del 12.04.2012) secondo cui «l'attività di ricerca e di didattica svolta dal titolare nell'ambito del contratto per cui è proposta la proroga è valutata dal Consiglio di Dipartimento interessato sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto ministeriale» (art.10). Successivamente si dispone che In caso di esito positivo, è previsto che la proposta di proroga sia comunque sottoposta all'approvazione del Consiglio di Amministrazione per la verifica della coerenza della proposta medesima con la programmazione triennale e nei limiti delle risorse disponibili.

(195) MD.FERRARA, La ricerca a termine: problemi e prospettive del reclutamento dei ricercatori universitari, in «Diritti, lavori, mercati», 2017, n. 1, p. 61 e ss., cit. p. 77.

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condizione di precarietà, poiché in un sistema di «tenure track» non è garantito un sicuro accesso al ruolo(196).