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Il diritto di allerta scientifica e la tutela del “lanceur d’alerte”

CAPITOLO VIII Diritto di ricerca e rapporto di lavoro nella prospettiva comparata:

8. La diffusione dei risultati e gli obblighi di riservatezza Le “clauses de confidentialité”

8.1 Il diritto di allerta scientifica e la tutela del “lanceur d’alerte”

La necessità di un’evoluzione generale del diritto del lavoro in rapporto alla libertà di espressione del lavoratore ha condotto il legislatore francese a predisporre una serie di tutele nei confronti del lanceur d’alerte (510).

La normativa in materia di “alerte”, peraltro, è stata a lungo priva di un approccio globale: negli anni sono state disposte differenti discipline a seconda dell’oggetto della denuncia: mentre l’art. 1132-3-3 del code du travail si occupava esclusivamente della tutela in caso di denuncia di «fatti costitutivi di un delitto o di un crimine», le denunce di pericoli per la salute e l’ambiente venivano disciplinate dalla legge n° 2011-2012 del 29 dicembre 2011 contenente i principi direttivi dell’”expertise” in materia sanitaria, e dalla legge n° 2013-316 del 16 aprile 2013, «relativa all’indipendenza dell’expertise in materia di salute e ambiente e alla protezione del lanceur d’alerte».

La legge n° 2011-2012 del 29 dicembre 2011, ponendo le basi per uno statuto giuridico del “lanceur d'alerte”, introduceva all'art. L. 5312-4-2 del code de la santé publique una garanzia contro ogni forma di discriminazione, o ritorsione, diretta nei confronti della persona che avesse «comunicato o testimoniato, in buona fede, sia all’imprenditore, sia alle autorità giudiziarie o amministrative dei fatti relativi alla

(510) Sul tema : O.LECLERC, La protection du salarié lanceur d’alerte, in E.DOCKES (dir.) Au cœur des combats

juridiques Pensées et témoignages de juristes engagés, Paris, 2007, p. 287 e ss. ; C. NOIVILLE, M.-A.HERMITTE,

Quelques pistes pour un statut juridique du chercheur lanceur d'alerte, in «Natures Sciences Sociétés», 2006/3

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sicurezza dei prodotti menzionati all'articolo L. 5311-1 (511)» dei quali fosse venuta a conoscenza «nell’esercizio delle sue funzioni».

La legge n° 2013-316 del 16 aprile 2013 «relativa all’indipendenza dell’expertise in materia di salute e ambiente e alla protezione del lanceur d’alerte», sanciva, invece, un vero e proprio “diritto di allerta”, prevedendo, all’art. 1, che chiunque « ha il diritto di rendere pubblico o di diffondere un’informazione concernente un fatto, un dato o un’azione», se ritiene che la «mancata conoscenza di questo fatto, di questo dato o di questa azione», possa comportare un rischio grave per la salute pubblica o per l’ambiente (512). Anche in tal caso era previsto un divieto di ogni atto di carattere ritorsivo o discriminatorio, conseguente al fatto di aver «riferito o testimoniato, in buona fede, sia al proprio datore di lavoro, sia alle autorità giudiziarie e amministrative, sia, in ultima istanza, a un giornalista […], dei fatti relativi a un rischio grave per la salute pubblica o per l’ambiente di cui abbia avuto conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni».

Il quadro composito sin qui delineato è stato recentemente modificato dal legislatore francese, con la legge n° 2016-1691 del 9 dicembre 2016 relativa «à la transparence, à la lutte contre la corruption et à la modernisation de la vie économique». Tale legge, al fine di uniformare la disciplina del “lanceur d’alerte” ha previsto una disciplina di carattere generale e operato una serie di rinvii ed abrogazioni, a seguito delle quali sono state soppresse, nelle loro parti essenziali, le normative relative ai rischi per la salute e per l’ambiente.

La definizione di “lanceur d'alerte” viene adesso prevista, in via generale, dall’art. 6 della legge, che considera tale quella «persona fisica che rivela o segnala, in maniera disinteressata e in buona fede, un crimine o un delitto, una violazione grave e manifesta di un obbligo internazionale regolarmente ratificato o approvato dalla Francia, ovvero di un atto unilaterale di una organizzazione internazionale preso in base ad un tale obbligo, o una minaccia o un pregiudizio grave per l’interesse générale, di cui tale persona ha avuto personale conoscenza» (513).

(511) Si tratta di una lista ampia che comprende: insetticidi e antiparassitari ad uso umano; contraccettivi; sostanze stupefacenti utilizzate in medicina; biomateriali e dispositivi medici.

(512) La disposizione è stata abrogata dalla legge n° 2016-1691 del 9 dicembre 2016. Per un commento sull’efficacia del « diritto di allerta » introdotto dalla disposizione cfr. M.-H.HERMITTE, Le lanceur d’alerte,

héros des sociétés scientifiques et technique ?, in Réseau européen de recherche en droits de l’homme (dir.), Héroïsme et droit, Parigi, 2014, p. 140 e ss..

(513) La norma dispone che «i fatti, le informazioni, o i documenti, quale sia la loro forma o il loro supporto, coperti dal segreto di difesa nazionale, il segreto medico, o il segreto delle relazioni tra un avvocato e il suo cliente sono esclusi dal regime di allerta definito nel presente capitolo».

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Non vi è alcun riferimento alla denuncia di un dato o un’azione che «possa comportare un rischio grave per la salute pubblica o per l’ambiente» (514

), ma la nuova definizione di “lanceur d’alerte” potrebbe comunque comprendere l’allerta che abbia ad oggetto rischi sanitari e ambientali, nel punto in cui si riferisce, con ampia formula, alla minaccia o pregiudizio grave per l’«interesse generale». Peraltro, la dottrina ha posto in evidenza come «la soppressione del riferimento esplicito ai rischi sanitari e ambientali illustra il passaggio da una logica di denuncia dei rischi ad una logica di protezione dell’interesse generale, in cui la trasparenza della vita pubblica prende il passo sulla promozione della démocratie technique» (515). Il problema è allora se anche l’allerta disciplinata dalla nuova legge risponda in pieno ad una ratio di anticipazione dei rischi e di “precauzione”. Invero, il diritto di allertare previsto dalla legge n° 2013- 316 del 16 aprile 2013 veniva in rilievo anche di fronte ad un rischio meramente ipotetico (516), ben potendo l’allerta necessitare indagini per confermare o inficiare l’effettività del rischio che il “lanceur d’alerte” aveva ritenuto, in buona fede, sussistere (517). Non è certo che la stessa prospettiva di prevenzione sia rinvenibile nella nuova disciplina.

Sotto il profilo procedurale, la legge n° 2016-1691 prevede un sistema di segnalazione, il cui rispetto garantisce al “lanceur d’alerte” di essere tutelato in caso di eventuali atti ritorsivi.

L’art. 8 impone che la segnalazione sia, in primo luogo, portata a conoscenza «del superiore gerarchico, diretto o indiretto, dell’imprenditore o di un referente da egli designato». Solo in assenza di un comportamento diligente del destinatario dell’allerta «nel verificare, in un periodo ragionevole, la ricevibilità della segnalazione», questa può

(514) Riferimento che invece – si è visto – era espressamente contenuto all’art. 1 della legge del 13 aprile 2013, oggi abrogato.

(515) O. LECLERC, Protéger les lanceurs d’alerte. La démocratie technique à l’épreuve de la loi, Issy-les- Moulineaux (Cedex), 2017.

(516) Cfr. O.LECLERC, op. cit., «non si tratta di reagire davanti ad un pericolo accertato, ma di dare modo di approfondire le conoscenze su di un rischio che resta potenziale» (p. 46).

(517) Peraltro, il diritto di allerta riconosciuto in via generale, con il solo limite del divieto di imputazioni diffamatorie e ingiuriose, viene soggetto, nell’ambito di un rapporto di lavoro, ad una specifica procedura. La procedura è contenuta nell’articolo 8 della legge n° 2013-316 del 16 aprile 2013, che introduce nel code du

travail l’art. L. 4133-1. Tale disposizione prevede che «il lavoratore allerta immediatamente l’imprenditore se

ritiene, in buona fede, che i prodotti o i processi di fabbricazione utilizzati o messi in opera dall’impresa rappresentano un rischio grave per la salute pubblica o l’ambiente». Ai sensi dell’art. L. 4133-2 del code du

travail la denuncia può effettuarsi anche presso il rappresentante del personale al comitato d’igiene, di sicurezza

e delle condizioni di lavoro. In tal caso l’imprenditore «esamina la situazione congiuntamente con il rappresentante del personale al comitato d’igiene, di sicurezza e delle condizioni di lavoro che gli ha trasmesso la denuncia e lo informa del seguito che avrà l’informazione». È previsto, infine, che nel caso in cui insorgano contrasti con l’imprenditore sulla fondatezza dell’allerta, o in assenza di un seguito alla denuncia del lavoratore nel termine di un mese, il lavoratore o il rappresentante del personale possono «adire il rappresentante dello Stato nel dipartimento»

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essere indirizzata «all’autorità giudiziaria, all’autorità amministrativa o agli ordini professionali». In extrema ratio è inoltre previsto che, nel caso in cui trascorsi tre mesi, difetti anche da parte delle suddette autorità il trattamento della segnalazione, questa possa essere «resa pubblica». Infine, è consentito «in caso di pericolo grave ed imminente o in presenza di un rischio di danni irreversibili» che la segnalazione sia «portata direttamente a conoscenza degli organismi menzionati» e resa pubblica. Come ulteriore garanzia la legge impone alle amministrazioni dello stato e alle imprese con almeno 50 dipendenti di disporre «delle procedure appropriate di ricezione delle segnalazioni da parte dei loro dipendenti e dei collaboratori occasionali» (518).

La tutela contro le conseguenze che possono derivare a seguito della segnalazione è prevista dall’art 10, ai sensi del quale «nessuno può essere scartato da una procedura di reclutamento o dall’accesso ad uno stage o ad un periodo di formazione professionale» oppure «essere sanzionato, licenziato, o soggetto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta» per aver segnalato un’allerta nel rispetto degli articoli 6 e 8 (519).

È infine disposta un’agevolazione sul piano probatorio nel caso di controversie che seguano alla segnalazione. Invero, la legge dispone che qualora «siano stati rispettati gli articoli 6 e 8 della legge n° 2016-1691 del 9 dicembre 2016», incombe all’altra parte della controversia, alla luce degli elementi forniti, «provare che la sua decisione è giustificata da elementi oggettivi estranei alla dichiarazione o alla testimonianza dell’interessato»