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Gli spunti ricostruttivi offerti dalla comparazione con l'ordinamento francese

CAPITOLO VIII Diritto di ricerca e rapporto di lavoro nella prospettiva comparata:

12. Gli spunti ricostruttivi offerti dalla comparazione con l'ordinamento francese

L’indagine svolta in prospettiva comparata con l’ordinamento francese ha evidenziato, in primo luogo, come l’assenza di una espressa consacrazione

(535) Cfr. M.RICHEVAUX, Statut des chercheurs et création d’entreprise. Le juridique au service de la création

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costituzionale della libertà della ricerca non sia stata d’ostacolo per il riconoscimento dei diritti del ricercatore.

Il principio della libertà della ricerca ha infatti ottenuto valenza costituzionale a seguito di una pronuncia della Cour constitutionnelle, che ha ricondotto la libertà della ricerca nell’ambito della libertà di espressione garantita all’art. 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (536).

Inoltre, il legislatore ha previsto una serie di disposizioni volte a rispondere alle esigenze di tutela del lavoro nella ricerca tenendo conto delle specificità di tale professione. Il riconoscimento delle esigenze della ricerca è avvenuto principalmente con una disciplina che presenta un carattere derogatorio rispetto ai principi generali applicabili agli altri lavoratori, sia nel settore pubblico, sia nel settore privato (537).

Invero, i ricercatori delle università e degli organismi pubblici di ricerca sono destinatari di una serie di norme che ne fanno funzionari pubblici sui generis. Si pensi, ad esempio, alla mancata efficacia, nei confronti dei ricercatori, degli obblighi di “neutralità” e “riservatezza”, o ancora, alla deroga operata in materia di proprietà intellettuale, proprio in ragione dell’indipendenza dovuta a chi esercita attività di ricerca.

Per quanto concerne, invece, il settore privato, le esigenze del ricercatore possono valersi dell’efficacia espressamente riconosciuta alle libertà individuali dall’art. L-1121-1 del Code du travail. Il principio di proporzionalità sancito dalla norma opera, in concreto, in una duplice direzione: da un lato, impone nell’esercizio del potere gerarchico il datore di lavoro possa limitare le libertà fondamentali del lavoratore solo quando tale limitazione sia giustificata dalle mansioni affidate, e sia proporzionata allo scopo perseguito; dall’altro, garantisce che il lavoratore non possa essere sanzionato per una condotta che costituisce l’esercizio di una libertà individuale (ad es. libertà di espressione), a meno che non abbia “abusato” del suo diritto.

Di conseguenza, un comportamento posto in essere sul luogo di lavoro e in orario lavorativo, quando promana dall’esercizio di un diritto della persona o di una libertà individuale o collettiva, «non può costituire un illecito disciplinare che espone ad una sanzione, salvo che la reazione disciplinare non costituisca una restrizione legittima

(536) Cons. Constit., 29 juillet 1994, n° 94-345, in «Actualité Juridique Droit Administratif», con nota di P. WACHSMANN, Le Conseil constitutionnel et la langue française, p. 1663.

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in base ai criteri di finalità e di proporzionalità dell’art. L. 1121-1 del code du travail» (538).

In applicazione di tale principio la Cassazione, pur non menzionando espressamente la libertà della ricerca, ha chiarito che il datore di lavoro è tenuto ad esercitare il suo potere gerarchico «nel rispetto delle responsabilità e dell’indipendenza dovuta ai ricercatori», in deroga a quanto dovrebbe accadere in virtù dell’esistenza di un vincolo di subordinazione (539).

Con riferimento alla libertà di diffondere i risultati di una ricerca (nel pubblico interesse), si è posto in evidenza che il lungo dibattito sul ruolo del ricercatore in una “democrazia scientifica” ha condotto al riconoscimento di un vero e proprio “droit d’alerte”, ad opera della legge n° 2013-316 del 16 aprile 2013 «relativa all’indipendenza dell’expertise in materia di salute e ambiente e alla protezione del lanceur d’alerte». La norma – si è detto – è stata recentemente abrogata dalla nuova disciplina sul droit d’alerte, ma l’espressa definizione dell’allerta come una denuncia nell’interesse generale, consente comunque di far rientrare l’allerta del ricercatore nell’interesse della salute pubblica, o dell’ambiente, all’interno della protezione oggi offerta al “lanceur d’alerte”.

Dalla comparazione con il sistema francese è infine emerso che un corpus normativo come il Code de la recherche, contenente una serie di disposizioni “di principio” rivolte sia al lavoro di ricerca nel settore pubblico, sia al lavoro di ricerca nel settore privato, non ha escluso una regolamentazione frammentaria dei rapporti di lavoro nella ricerca: il quadro normativo è invero composito e complesso.

(538) J.PELISSIER,A.SUPIOT,A.JEMMAUD, Droit du travail, 2008, cit. p. 800. (539) Cass. soc., 11 octobre 2011, n° 98-45276.

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CONSIDERAZIONI DI SINTESI E CONCLUSIONI

1. L'indagine ha preso le mosse dal riconoscimento delle peculiarità del lavoro di ricerca, quale attività volta all'avanzamento delle conoscenze nel rispetto del metodo scientifico e dell'integrità della ricerca. Ho individuato le esigenze del ricercatore di fronte alla dinamica della ricerca nei seguenti punti cruciali: libertà di scegliere l'oggetto e il metodo delle proprie ricerche; svolgimento della ricerca con mezzi e condizioni adeguate; libertà di diffondere i risultati ottenuti. È possibile parlare di un "diritto di ricerca" nella misura in cui tali esigenze siano garantite dall’ordinamento. L’importanza di garantire una adeguata tutela alle esigenze del ricercatore trova la sua ragione nelle intrinseche caratteristiche dell’attività di ricerca e nel contesto economico-sociale nel quale oggi opera chi svolge tale attività. In merito, la Raccomandazione Unesco sulla scienza e i ricercatori scientifici (adottata il 13 novembre 2017 dalla Conferenza generale dell’Unesco) chiede espressamente agli Stati membri di porre in essere meccanismi idonei a garantire che i ricercatori possano «esprimersi liberamente e apertamente sul valore etico, umano, scientifico, sociale ed ecologico di determinati progetti, o di determinate tecnologie» ed abbiano il diritto di cessare di partecipare ad un progetto di ricerca quando «tale è la condotta che detta la loro coscienza».

2. Nell'analizzare la tutela predisposta dal nostro ordinamento ho rinvenuto una prima fondamentale garanzia nella Carta costituzionale, che all’art. 33, comma 1, sancisce la libertà della scienza. La norma è rivolta sia al momento speculativo dell’attività di ricerca, sia al momento della diffusione dei risultati, riconoscendo una serie di posizioni soggettive in capo al ricercatore: diritto di non subire ingerenze nella scelta dell’oggetto e del metodo; diritto di ottenere i mezzi necessari per svolgere le ricerche; diritto di diffondere liberamente i risultati raggiunti. Tuttavia, le posizioni soggettive attribuite in via generale a chi svolge un’attività di ricerca si riferiscono ad una situazione ideale, che può andare incontro a limiti nel bilanciamento con altri interessi tutelati dalla Costituzione. Nell’impresa, ad esempio, il rispetto delle posizioni soggettive riconducibili al “diritto di ricerca” renderebbe incompatibile lo svolgimento di tale attività con l’esercizio della libertà di impresa, ex art. 41 Cost., del committente/datore di lavoro: si pensi al diritto a non essere ostacolato nella scelta dell’oggetto delle proprie ricerche, o a quello di diffondere liberamente i risultati ottenuti.

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Al fine di individuare l’esistenza del “diritto di ricerca” nell'ambito dei differenti rapporti di lavoro, non è sembrato opportuno fermarsi al generico e complessivo riconoscimento della libertà di ricerca nella Costituzione, poiché i contesti nei quali è possibile svolgere attività di ricerca sono eterogenei, così come gli interessi in causa e l’opera di bilanciamento è in primo luogo compito del legislatore. Di conseguenza, è apparso necessario indagare la disciplina dei diversi rapporti di lavoro in cui il ricercatore si trova ad operare (ricerca accademica, enti pubblici di ricerca, settore pubblico) e delle diverse tipologie contrattuali cui è possibile ricorrere per lo svolgimento di una ricerca. Sono così emerse posizioni giuridiche connesse ad uno status (ricercatori e professori universitari di ruolo), ovvero all’appartenenza ad una particolare categoria (ricercatore operante negli enti pubblici di ricerca) e, inoltre, diritti riconosciuti in ragione dell’esistenza di un contratto di lavoro.

3. La disciplina con maggiori posizioni di garanzia è quella della ricerca accademica, dove professori e ricercatori di ruolo sono titolari del diritto di scegliere l’oggetto delle proprie ricerche (e di ottenere finanziamenti a tal fine), nonché dei diritti di sfruttamento economico dei risultati inventivi eventualmente raggiunti (il c.d. “privilegio accademico” di cui all’art. 65 del d.lgs. n. 30 del 2005). Sempre in ambito accademico, però, è diversa la posizione dei ricercatori con contratto a tempo determinato - il cui rapporto lavorativo è ormai privatizzato – che non possono vantare un diritto di scegliere autonomamente il progetto di ricerca e le modalità di esecuzione. Invero, l’art. 24 della legge n. 240 del 2010, afferma che il contratto di ricerca a tempo determinato stipulato con l’Università «stabilisce, sulla base dei regolamenti di ateneo, le modalità di svolgimento […] delle attività di ricerca». In ogni caso, nonostante la privatizzazione del rapporto di lavoro, i ricercatori a tempo determinato devono ritenersi soggetti, sotto il profilo disciplinare, alle regole vigenti per i ricercatori di ruolo e, inoltre, opera anche nei loro confronti il “privilegio accademico” posto dall’art. 65 del d.lgs. n. 30 del 2005.

Negli enti pubblici di ricerca il diritto di scelta dell’oggetto delle ricerche viene limitato dal dovere del ricercatore di svolgere la propria attività nel quadro della programmazione dell’ente: la legge dispone una serie di garanzie in favore dell’autonomia dei ricercatori. In primo luogo, viene imposto alle amministrazioni pubbliche di garantire «la libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca» (art. 7, comma 2, del d.lgs. n.

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165 del 2001). Nella stessa prospettiva viene limitata l’ingerenza della dirigenza amministrativa nell’organizzazione dell’attività di ricerca: ai sensi dell’art. 15 comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 «nelle istituzioni e negli enti di ricerca e sperimentazione, nonché negli altri istituti pubblici di cui al sesto comma dell'articolo 33 della Costituzione, le attribuzioni della dirigenza amministrativa non si estendono alla gestione della ricerca e dell'insegnamento». Inoltre, di recente, con il d.lgs. n. 218 del 2016, si è demandato agli statuti degli enti di ricerca il compito di attuare la Carte europea del ricercatore.

4. Diverso è il quadro normativo in cui si trova ad operare chi svolge attività di ricerca nel settore privato. L’attività di ricerca è oggetto di specifiche previsioni solo per quanto concerne la disciplina dei risultati inventivi, regolamentata sia nel lavoro subordinato (con il d.lgs. n. 30 del 2005), sia nel lavoro autonomo (con la legge n. 81 del 2017). Nulla è disposto, invece, in merito ai diritti spettanti al lavoratore impegnato in attività di ricerca, con riferimento alle condizioni di svolgimento dell’attività (garanzie di autonomia, o di mezzi necessari all’esecuzione) e alla diffusione dei risultati.

La stessa situazione di anomia si rinviene nell’ambito della contrattazione collettiva, salvo ipotesi isolate come quella del contratto collettivo della Fondazione Bruno Kessler (il contratto collettivo provinciale di lavoro per il personale delle Fondazioni di cui alla legge provinciale 2 agosto 2005, n. 14).

Le posizioni di garanzia sono state cercate in quelle che sono, in via generale, le tutele valide per qualsiasi altro lavoratore. Invero, al fine di individuare l’esistenza di un diritto di ricerca nell’ambito dei rapporti di lavoro, si deve tener conto del fatto che le posizioni soggettive riconosciute al singolo ricercatore dalla libertà della scienza possono coordinarsi, nel lavoro subordinato, con tutte quelle tutele poste a garanzia del coinvolgimento della persona nel rapporto di lavoro (si pensi, ad esempio, alla tutela della dignità professionale) o inerenti la tutela dei suoi interessi morali e patrimoniali sui beni immateriali (540).

(540) Sul tema del coinvolgimento nel rapporto di lavoro della persona del lavoratore confronta M.GRANDI,

Persona e contratto di lavoro. Riflessioni storico-critiche sul lavoro come oggetto del contratto di lavoro, in

«Arg. Dir. Lav.», 1999, pp. 309 e ss., nello specifico 311-315. L’A. rileva come «l’inerenza della persona del debitore al contenuto dell’obbligazione acquista, nel contratto di lavoro, una più intensa e decisiva caratterizzazione, per l’intervento di un complesso di condizioni organizzative e modali, che incidono sul coinvolgimento della persona nella sua attività di prestazione» (p. 313).

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Lo stesso discorso può farsi per il ricercatore che svolge attività di ricerca senza vincolo di subordinazione: le garanzie di chi presta la sua opera nell’ambito di una commessa di ricerca derivano, in primo luogo, da quelle riconosciute a qualsiasi altro soggetto prestatore d’opera in favore del committente.

Per quanto concerne il lavoro subordinato, sono state individuate una serie di posizioni soggettive: il diritto di rifiutare una prestazione contraria alla legge e ai principi etici, nell’esercizio dell’autotutela; il diritto di essere adibiti a mansioni compatibili con le proprie convinzioni etiche (per mezzo dell’art. 2087 c.c. norma che, secondo la Corte di Cassazione, consente l’ingresso delle libertà costituzionali nel rapporto di lavoro); il diritto di essere riconosciuto autore delle invenzioni e delle opere dell’ingegno realizzate nel corso dell’attività lavorativa; infine, si è rilevato che la natura dell’attività svolta è idonea ad incidere sul contenuto del sinallagma contrattuale e a garantire un diritto di eseguire la ricerca.

Sono apparsi, però, privi di una sufficiente tutela i seguenti ambiti: l’obiezione di coscienza, quando siano assenti nel contesto aziendale mansioni di ricerca compatibili con le convinzioni etiche del ricercatore; l’autonomia nell’esecuzione della ricerca; il diritto di divulgare i risultati delle ricerche. Per quanto concerne quest’ultimo profilo, si è sottolineato, invero, che la legge n. 179 del 30 novembre 2017, a tutela del whistleblower, non prende in considerazione l'ipotesi del ricercatore che denuncia l'esistenza di un rischio per l'ambiente, o per la salute e la sicurezza pubblica.

5. Si potrebbe trovare una soluzione al deficit di tutela nel settore privato ricorrendo agli spunti ricostruttivi offerti dalla comparazione con l’ordinamento francese.

La creazione di un corpus normativo come il code de la recherche, che sia in grado di raccogliere disposizioni rivolte ai vari ambiti e settori della ricerca, non sembra una strada risolutiva ai fini di una maggiore garanzia dei diritti del ricercatore- lavoratore, anche se presenta sicuramente una serie di pregi, tra i quali il conferimento di uno specifico valore alla ricerca. Invero, le differenze tra i differenti settori della ricerca richiedono - come visto anche nel sistema francese – discipline differenziate per i diversi rapporti di lavoro.

Di maggiore interesse potrebbe essere l’espressa codificazione di un principio di proporzionalità, che riconosca espressamente l’efficacia delle libertà costituzionali nei contratti di lavoro, senza necessità di un intervento attuativo del legislatore, o