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Il diritto comunitario in tema di infrastrutture di trasporto: diritto primario e diritto secondario

3. Il regime giuridico

3.1 Il diritto comunitario in tema di infrastrutture di trasporto: diritto primario e diritto secondario

3.1 Il diritto comunitario in tema di infrastrutture di trasporto: diritto primario e diritto secondario

L’esposizione sull’influenza del diritto comunitario sul tema della realizzazione delle infrastrutture di trasporto si svolge a partire dalla riforma dei Trattati operata con le politiche comunitarie di sviluppo delle reti transeuropee47.

Dall’Atto Unico Europeo del 1986, la Comunità ha costantemente sottolineato il legame tra buon funzionamento del mercato unico e l’obiettivo di coesione economica, sociale e territoriale da raggiungersi anche per mezzo dell’interconnessione delle reti nazionali infrastrutturali48.

A tal fine, nel 1992, il Trattato di Maastricht ha incluso fra le politiche comunitarie quella volta alla costituzione e allo sviluppo di reti transeuropee nei settori delle infrastrutture di trasporto, telecomunicazioni ed energia. Nel testo vigente del Trattato CE49 si prevede che, per concorrere alla costituzione ed allo sviluppo delle reti, la Comunità stabilisce gli orientamenti che includano obiettivi

47 MARI A., Le infrastrutture, in CASSESE S. (a cura di), “Trattato di diritto amministrativo, Diritto

amministrativo speciale, Tomo II”, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 1861 e ss..

48 ANITA (2008), Prospettive dell’autotrasporto e della logistica in Italia e in Europa. Indagine previsionale

2008-2010, Roma

49 Da rilevare che il Trattato di Lisbona (noto anche come Trattato di riforma), firmato il 13 dicembre 2007 ha modificato sia il Trattato sull’Unione europea, sia il Trattato CE, trasformandolo in Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue). Rispetto al precedente Trattato, quello di Amsterdam, esso abolisce i "pilastri", provvede al riparto di competenze tra Unione e Stati membri, e rafforza il principio democratico e la tutela dei diritti fondamentali, anche attraverso l'attribuzione alla Carta di Nizza del medesimo valore giuridico dei trattati. È entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009.

e priorità di azioni sostenute anche dal fondo di coesione, finanziando progetti specifici negli Stati membri nel settore delle infrastrutture di trasporto.

A tal proposito, già nel dicembre 1994 il Consiglio europeo di Essen aveva preannunciato la creazione presso la Banca europea per gli investimenti (B.E.I.) di uno speciale sportello per finanziare infrastrutture di interesse comunitario ed individuato quattordici progetti prioritari, inseriti poi nel 1996 nella prima decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti comunitari per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (Rte – T, Ten-T nell’acronimo inglese)50. Si tratta di una decisione comunitaria che formula in primis le priorità, poi gli obiettivi, poi i progetti prioritari di interesse comune che dal 2004 sono stati aumentati fino al numero di trenta dato il progressivo ingresso degli Stati membri. Qualificare un progetto come prioritario a livello comunitario produce effetti anche sulla fase di programmazione nazionale e da un verso, gli Stati membri quando è presentato il quadro del fondo di coesione e del bilancio riservato alle reti transeuropee devono attribuire priorità ai progetti dichiarati di interesse europeo, dall’altro, la medesima Commissione europea stimola gli Stati membri a valutare tali progetti quando si programma per i fondi strutturali. Nel momento in cui la Commissione formula le previsioni delle proprie uscite deve valutare dove convogliarle, deve stabilire delle priorità.

Riguardo alla tipologia di infrastrutture, le decisioni assunte a Bruxelles influenzano decisamente le nostre decisioni quando dipendono da finanziamenti comunitari. La preferenza accordata da Bruxelles va proprio alle infrastrutture di trasporto “eco-compatibili” e, segnatamente, alle infrastrutture di trasporto, tanto che ben 18 progetti nei trenta elencati sono di navigazione interna e marittima51. Con riguardo alle fonti di finanziamento, per le reti Rte-T l’Unione europea utilizza tre strumenti finanziari: una dotazione di bilancio ad hoc, il fondo di coesione, il fondo europeo di sviluppo regionale oltre ai finanziamenti della B.E.I.52 La presenza di vari canali di finanziamento ha posto problemi di coordinamento fra le diverse fonti per evitare la concentrazione o cumulo di aiuti premendo per una responsabilizzazione degli Stati membri a selezionare lo strumento migliore53. La modifica dei Trattati operata, da ultimo, con Lisbona, offre occasione per rilevare come nel tempo la distribuzione delle funzioni tra Stati membri ed Unione europea sia sempre più nel segno di una

50 Decisione 1692/96/CE, GUCE 228 del 9 settembre 1996.

51 Cfr., Comunicazione della Commissione COM (2007) 135.

52 Si veda in proposito, l’accordo di cooperazione siglato in data 11 gennaio 2008 tra Commissione europea e della B.E.I. che istituisce lo strumento di garanzia dei prestiti per i progetti della Rte-T (Loan Guarantee

Instrument for trans-European transport network project – LGTT) che prevede 1 miliardi di euro a carico delle due Istituzioni per sostenere investimenti privati per oltre 20 miliardi di euro.

53 COMMISSIONE EUROPEA (2009), TEN-T: a policy review-towards a better integrated trans-European transport network at the service of the common transport policy, 4 february 2009; COMMISSIONE EUROPEA (2003) DG TREN, Energy e Transport in figures, Bruxelles.

attribuzione di competenze. Si pensi all’art. 3 (ex art. 2) del TUE nella versione consolidata54 che annovera tra gli obiettivi dell’Unione quello della coesione non soltanto economica e sociale, ma territoriale; rilevante anche il titolo I che ribadisce in relazione alle competenze rispettivamente attribuite all’Unione ed agli Stati membri, il principio di prevalenza dell’Unione valido anche per le infrastrutture di trasporto. La distribuzione delle competenze tra Unione e Stati membri è garantito dai principi di attribuzione, di sussidiarietà e di proporzionalità (art. 5 TUE, ex art. TCE) che nella riformulazione anche di Lisbona evidenziano l’assetto multilivello dell’Unione.

Spostando l’attenzione dal piano della distribuzione della competenze tra Unione europea e Stati membri, al piano della disciplina vigente nel settore dell’attività amministrativa relativa alle infrastrutture di trasporto, e più esattamente al mercato degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, possono svolgersi ulteriori considerazioni.

Accanto al Piano Generale dei Trasporti del 2001 ed alla Legge Obiettivo (di cui si dirà in seguito) che dettano l’agenda delle priorità politiche del nostro Paese sulle infrastrutture di trasporto vige il sistema normativo sugli appalti pubblici imperniato sui principi comunitari ed in particolare sul principio di libertà di circolazione, mutuo riconoscimento e concorrenza comunitari.

Obiettivo del legislatore comunitario, infatti, è sempre stato garantire una real competition tra le imprese nella logica della reciprocità per il miglior servizio alla cittadinanza.

Nonostante gli sforzi compiuti dal diritto comunitario, ad un anno dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona1, il mercato degli appalti pubblici in Europa non risulta ancora sufficientemente aperto e competitivo.

Da un lato, infatti, persiste l’incapacità a recepire completamente e integralmente le indicazioni a favore della concorrenza tra imprese, dall’altro, l’impatto economico di un mercato interno ancora troppo debole1.

La Comunità europea, consapevole della necessità di predisporre le condizioni di concorrenza necessarie per aggiudicazioni senza discriminazioni, in un mercato accessibile, con partner europei competitivi, ha orientato in tal senso sia la normativa di diritto primario, dunque i suoi Trattati, sia la normativa di diritto secondario, dunque gli atti adottati ai sensi dell’art. 249 TCE (art. 288 TFUE). Sul tema del rapporto tra diritto comunitario ed appalti pubblici, è doverosa una premessa.

La materia dei contratti pubblici è naturalmente intrecciata con materie attinenti alla crescita economica, al progresso sociale, al rispetto dell’ambiente, materie che nel nostro ordinamento sono componenti di un modello di sviluppo costante e sostenibile55.

54 La versione consolidata del Trattato è stata pubblicata sulla GUCE del 9 maggio 2008 C-115/1 ed è disponibile sul sito http://eur-lex.europa.eu/it/treaties/index-htm.

55 V. LUNGHI L., I contratti pubblici ed il diritto comunitario, in Riv. Amministrazione e Contabilità, n. 3-4 2006

Come l’assetto complessivo dell’ordinamento giuridico italiano, anche la normativa pubblicistica sui contratti, in quanto attività amministrativa, è attraversata dai principi e dalle norme comunitarie. La Corte di Giustizia ha più volte affermato nel corso della giurisprudenza comunitaria che principi dell’ordinamento comunitario determinano le modalità di esercizio dell’attività amministrativa ed incidono sull’attività amministrativa degli organi ed uffici dell’Unione europea, oltre che nazionali, quando agiscono in applicazione di normative comunitarie. D’altra parte, proprio il “diritto ad una buona amministrazione” sancito dalla Carta dei diritti dell’Unione Europea all’art. 41, attiene l’attività delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione. Ne consegue che, ad oggi, la vicenda dei contratti delle amministrazioni pubbliche costituisce uno dei più interessanti corpi normativi di diritto comunitario.

Nel settore del diritto primario, un primo riferimento si trova già a partire dalla prima versione del Trattato CE; nell’intenzione del legislatore costituente era la costruzione di una Comunità dotata di un tessuto giuridico europeo autonomo da quello dei singoli Stati membri possibile soltanto attraverso l’instaurazione di un regime di libertà56. Il regime di libertà – espresso dai diritti/divieti fondamentali dello stabilimento (art. 43 TCE ss.), delle restrizioni alle importazioni e misure ad effetto equivalente (art. 28 TCE ss.), e delle misure restrittive della concorrenza (art. 86 TCE ss.) – ha condizionato profondamente le prime scelte legislative comunitarie ed ha guidato il passaggio dall’integrazione “negativa” – per diritti/divieti – all’integrazione “positiva” – per soli diritti. Un secondo riferimento è nell’art. 163 TCE in particolare il rafforzamento delle basi scientifiche e tecnologiche dell’industria della Comunità, lo sviluppo della sua competitività internazionale tramite, anche, “l’apertura degli appalti pubblici nazionali, la definizione di norme comuni e l’eliminazione degli ostacoli giuridici e fiscali a detta cooperazione”.

Nel settore del diritto secondario (o “derivato”), un primo riferimento è alle direttive degli anni Settanta e 80 sugli appalti di lavori n. 93/37/CE, di forniture n. 93/36/CE e di servizi n. 92/50/CE. Un secondo riferimento sono le direttive sugli appalti pubblici del 30 aprile 2004 composto dalla dir. n. 18/2004/CE che unifica la disciplina degli appalti e concessioni di lavori, servizi, forniture nei “settori ordinari” e dalla dir. n. 17/2004/CE che disciplina gli appalti e concessioni di lavori, servii, forniture nei settori c.d. “esclusi” e che si possono definire “settori speciali” (gas, energia termica, elettricità, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica).

Tali direttive, costituiscono il c.d. “pacchetto legislativo” relativo agli appalti pubblici creato per unificare, razionalizzare, semplificare le procedure introducendo nuovi istituti di derivazione

56 Confermano tale impostazione i principi ispiratori del Trattato di Roma, in particolare l’introduzione con Maastricht del mercato interno definito come “uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera

comunitaria1 e recepito in Italia con il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture approvato con il Decreto Legislativo 12 aprile 2006 n. 16357.

Il settore del public procurement si conferma essere un’ottima palestra per testare l’ingresso del diritto comunitario nel mondo del diritto amministrativo italiano ed il Codice dei contratti pubblici è proprio lo strumento con cui l’Italia ha recepito i principi comunitari a governo del settore per cui “L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture (…) deve garantire la

qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità (…)”58 e parità di trattamento che “impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo la

differenza di trattamento sia obiettivamente giustificata (…)”59.

La necessità di recepire le direttive facenti parte il pacchetto legislativo sugli appalti pubblici ha rappresentato proprio l’espediente per partire nella riforma nel segno di un ulteriore superamento del limite insito nell’integrazione giuridica “negativa” avviata con i divieti degli anni Ottanta.