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Il modello di amministrazione del sistema portuale precedente la riforma

GESTIONALI E MODALITA’ DI FINANZIAMENTO

1. Il modello di amministrazione del sistema portuale precedente la riforma

La disciplina dell’ordinamento portuale e delle attività portuali è articolata poiché espressione di esigenze contrapposte di accentramento e di decentramento.

La pluralità e la poliedricità degli interessi pubblici coinvolti che emergono in rapporto a molteplici profili, dalla difesa nazionale alla sicurezza della navigazione, dalla tutela del mercato ai settori delle dogane, dell’industria, della pesca, del trasporto dei passeggeri, del turismo, rendono il panorama di riferimento tra i più complessi.

Il Legislatore italiano ha approcciato alla materia portuale sotto il profilo della regolazione dei beni pubblici, delle forme giuridiche, delle figure soggettive, del mercato, affidando alla competenza statale sia le funzioni di polizia che di realizzazione di opere portuali.

L’impostazione che attira allo Stato centrale la competenza in materia portuale è figlia dell’Ottocento, segnatamente, dal R.D. n. 3095/1885 e la riconduzione dei porti nell’ambito del demanio necessario di appartenenza esclusiva dello Stato è segnata dal nostro codice civile del 1948; un accentramento che impedisce agli Enti territoriali una collaborazione efficace cui vengono riconosciuti solo alcuni poteri, peraltro limitati, in tema di finanziamento e di realizzazione delle opere nei porti minori. Si tratta, peraltro, di un assetto che non viene modificato dai decreti delegati del 1972 e del 1977 che hanno meramente trasferito alle Regioni la competenza in materia di opere relative ai porti minori ai sensi dell’art. 59 del Decreto Legislativo n. 616/1977159.

Da rilevare, in proposito, che la successiva approvazione del Decreto -Legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla Legge 6 agosto 2008, n. 133 sul conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti locali attuando la Legge n. 59 del 1997 ha confermato che il riparto delle funzioni in materia di porti tra Stato, Regioni e Enti locali viene definito in modo espresso nei confronti dello Stato e in via residuale nei confronti delle seconde e dei terzi, mentre sono mantenute allo Stato gran parte delle funzioni. Spettando, dunque, allo Stato, le funzioni concernenti la classificazione dei porti e la pianificazione, la programmazione e la progettazione degli interventi aventi ad oggetto la costruzione, la gestione, la bonifica e la manutenzione dei porti e delle relative opere edilizie nei porti di rilievo nazionale e internazionale; la disciplina e la sicurezza della navigazione marittima; la pianificazione degli interventi per sostenere la trasformazione delle compagnie portuali; nonché quelle attribuite alle Autorità portuali dalla Legge del 1994 di cui si dirà; le funzioni concernenti il rilascio di concessioni di beni del demanio marittimo nell’ambito dei porti.

159 Sul tema, v. RACCOGNA G., Il nuovo equilibrio tra Stato e Regione con riguardo alle attività ed ai servizi

Sono, viceversa, di competenza delle Regioni tutte le altre funzioni, non individuate in modo esplicito, salvo le funzioni di pianificazione, programmazione, progettazione degli interventi aventi ad oggetto la costruzione, la gestione, la bonifica e la manutenzione dei porti e delle relative opere edilizie nei porti di rilievo regionale e interregionale.

In tale quadro, da aggiungere che la disciplina considera i nostri porti in relazione alle problematiche proprie della disciplina dei beni e della tutela del lavoro, mentre una minima rilevanza è attribuita alle attività economiche connesse ed al contesto territoriale di riferimento.

Ora, tradizionalmente, il modello di amministrazione del sistema portuale era costruito sulla figura dell’Ente pubblico economico dedicato alla gestione ed all’attività di intrapresa nei porti.

Fino alla riforma vigente, nota come Legge n. 84 del 1994 o Legge di riforma del sistema portuale, la disciplina italiana del sistema portuale era contenuta nelle disposizioni del Codice delle Navigazione e del Regolamento per la navigazione marittima, ma soprattutto da leggi speciali, che disciplinavano gli Enti preposti alla gestione dei principali porti160.

Con riguardo all’organizzazione, gli Enti portuali prevedevano un Presidente, il quale era a capo del Consiglio di Amministrazione, rappresentante degli interessi centrali e locali, e da un Comitato Direttivo, che esercitava funzioni deliberative, in via esclusiva o congiuntamente al Consiglio di Amministrazione. Ogni Ente portuale prevedeva, inoltre, la presenza di Revisori dei conti, che esercitavano funzioni di controllo ed in alcuni scali esistevano, invece, le c.d. Aziende dei Mezzi161 Meccanici e dei Magazzini generali a cui erano affidate la gestione e la manutenzione dei mezzi meccanici di carico e scarico delle merci, l’espletamento dei relativi servizi, nonché la gestione dei beni immobili e delle pertinenze di proprietà dello Stato, funzionalmente destinati al servizio dei traffici marittimi.

A partire dagli anni Ottanta il sistema di gestione così delineato ha iniziato a manifestare le proprie criticità.

La profonda evoluzione del trasporto marittimo e la frammentarietà della disciplina con la commistione di poteri regolamentari e imprenditoriali in capo ai suddetti enti, rendevano i nostri porti scarsamente competitivi. L’avvento poi, delle navi ro-ro e di navi porta-container, hanno costituito la spinta per un adeguamento della disciplina portuale alle mutate esigenze di mercato e per il riconoscimento di maggiori spazi di azione agli operatori privati, con conseguente rilancio degli scali italiani attraverso una più efficiente gestione delle strutture e degli impianti portuali.

160 LEFEBVRE D’OVIDIO, PESCATORE G., TULLIO L. Manuale di diritto della navigazione, Milano, 2000.

161 Istituite con Legge 9 ottobre 1967, n. 961, di “Istituzione delle Aziende dei Mezzi Meccanici e dei Magazzini generali nei porti di Ancona, Cagliari, Livorno, La Spezia,

Sul piano regolamentare si è avvertita contestualmente l’esigenza di modificare l’impostazione adottata dal Legislatore del Codice della Navigazione e nelle leggi istitutive degli Enti portuali e già nelle more della adozione della Legge di riforma portuale, in occasione del Piano Generale dei Trasporti del 1986, era stato individuato nella separazione tra il momento di amministrazione del porto e quello operativo di esercizio delle attività produttive lo strumento necessario per garantire maggiore efficienza ai porti italiani162.

La Legge di riforma del sistema portuale o Legge n. 84 del 1994, costituisce l’intervento normativo di maggior rilievo degli ultimi decenni163.

La novità di maggior rilievo introdotta con la Legge di riforma, come già accennato, è la definitiva affermazione nel settore portuale del principio di origine comunitaria che prevede la separazione tra i compiti di amministrazione del porto, che vengono affidati in via esclusiva alle Autorità portuali ed i compiti di erogazione dei servizi e delle operazioni portuali, riservati a soggetti privati ed al gioco del libero mercato164.

L’obiettivo della riforma consiste nel coordinare l’attività portuale con quanto previsto nel Piano Generale dei Trasporti e della Logistica, al fine di considerare tutte le modalità di trasporto ed i relativi nodi logistici come un sistema integrato ed il metodo utilizzato è la regolazione completa delle attività, dunque sia l’indirizzo che la gestione delle aree portuali, sia il momento “imprenditoriale” della produzione dei servizi, sia la “pianificazione territoriale”.

In sintesi, infatti, la Legge n. 84 del 1994 si propone di disciplinare in una logica di sistema rispetto alle altre modalità di trasporto – attraverso gli strumenti in essa previsti (in particolare il Piano Regolatore Portuale ed il Piano Operativo Triennale) – sia l’attività di amministrazione dei porti che quella di gestione delle attività portuali.

Nel merito, la Legge n. 84 del 1994 ha soppresso i vecchi organismi portuali (Consorzi, Provveditorati e Aziende dei Mezzi Meccanici e Magazzini) ed ha introdotto il modello denominato “landlord port

authority”, caratterizzato dalla separazione tra le funzioni di programmazione e controllo del territorio e delle infrastrutture portuali - che sono affidate al soggetto pubblico, in particolare alle Autorità

162 V., per aspetti similari, TRANQUILLI REALI T., Il piano generale di difesa del mare e delle coste, in “Diritto dei trasporti”, n. 2, 1991.

163 BERLINGIERI F. Note sulla legge 28 gennaio 1994, n. 84, sul riordino della legislazione in materia

portuale, in Il diritto marittimo, 1994.

164 La Legge n. 84 del 1994 istituì le Autorità portuali nei più importanti scali italiani, affidando ad esse il compito di promuovere lo sviluppo delle attività economiche dei porti e disciplinarne il corretto svolgimento nel rispetto delle regole di concorrenza discendenti dal Trattato di Roma (Trattato che istituisce la Comunità europea firmato a Roma il 25 marzo 1957 e ratificato dall'Italia con Legge 14 ottobre 1957, n. 1203).

portuali165 - e le funzioni di gestione del traffico e dei terminali, che sono affidate a privati, fermo restando la proprietà pubblica dei suoli e delle infrastrutture.

In tale direzione, la missione delle Autorità portuali preclude tassativamente il diretto coinvolgimento nelle operazioni e nei servizi che si svolgono sulle banchine, nonché la partecipazione azionaria a società che operino in detto campo, salvo rare eccezioni, relative, peraltro, alla temporanea partecipazione – in misura minoritaria – a società aventi ad oggetto l’erogazione di servizi di interesse generale.166

La riforma operata dalla Legge n. n. 84 del 1994 ha avuto, tra l’altro, l’effetto di ridimensionare drasticamente il ruolo sino ad allora svolto dalle Compagnie dei lavoratori portuali, delineando all’interno del porto tre tipologie di mercato che devono restare rigorosamente distinte:

- il mercato delle operazioni portuali, ossia del carico, scarico, trasbordo deposito e movimentazione in genere delle merci in ambito portuale;

- il mercato dei servizi portuali, cioè delle prestazioni specialistiche, complementari ed accessorie al ciclo produttivo delle operazioni portuali;

- il mercato della fornitura di manodopera portuale temporanea per lo svolgimento delle operazioni e dei servizi.

Operazioni e servizi nei porti sono di pertinenza di apposite imprese portuali, soggette ad autorizzazione da rilasciarsi previo esperimento di una gara ad evidenza pubblica, così come va autorizzata, sempre previa selezione mediante pubbliche procedure, l’impresa chiamata a fornire mere prestazioni di manodopera alle anzidette imprese167.

165 In particolare, secondo quanto previsto dall’art. 6 della Legge n. 84 del 1994, l’Autorità portuale esercita tre diverse tipologie di competenze: a) compiti di indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle attività economiche che si svolgono in ambito portuale (operazioni portuali, attività commerciali ed industriali); b) compiti di manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni del porto; c) affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura dei c.d. servizi di interesse generale (illuminazione, pulizia, raccolta rifiuti, servizio idrico, manutenzione e riparazioni) i quali sono elencati in due decreti del 1994 e 1996.

166 Cfr. in argomento ROMAGNOLI A., Il piano regolatore portuale, in Diritto Marittimo, 2003 ed, in generale, sul tema dell’istituzione delle Autorità portuali, ROMAGNOLI A., L’Autorità portuale: profili strutturali e

funzionali, Bologna, 2003, Libreria Bonomo Editore.

167 Da rilevare che, in attuazione delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea in materia di libera circolazione dei lavoratori in occasione della nota causa “Siderurgica Gabrielli” (Corte di Giustizia CE 10 dicembre 1991, causa C- 179/90, Siderurgica Gabrielli

c. Merci Convenzionali Porto di Genova), la Legge di riforma prevede la soppressione della riserva di lavoro portuale e la possibilità di trasformazione delle compagnie dei lavoratori portuali in società di diritto privato, abilitate all’esercizio delle operazioni portuali. In tale ambito, le Autorità portuali dovranno operare secondo gli stessi criteri ed in regime di concorrenza con le altre imprese autorizzate allo svolgimento delle operazioni portuali, ai sensi degli articoli 16 e 18 della Legge n. 84 del 1994.

Alle Autorità portuali originariamente previste nella Legge di riforma ne sono state aggiunte altre nei porti caratterizzati da un significativo volume di traffici; attualmente le Autorità portuali italiane risultano essere 25, segnatamente nei porti italiani in cui si registrava un livello di traffico superiore a 3 milioni di tonnellate annue al netto delle rinfuse liquide oppure la movimentazione di almeno 200.000 TEU. Attualmente risultano istituite le seguenti Autorità portuali: in Liguria, Genova, Savona e La Spezia; in Toscana, Marina di Carrara, Livorno e Piombino; in Lazio, Civitavecchia; in Campania, Napoli e Salerno; in Calabria, Gioia Tauro; in Sicilia, Palermo, Messina, Catania, Augusta e Trapani; in Sardegna, Cagliari e Olbia; in Puglia, Taranto, Brindisi, Manfredonia e Bari; nelle Marche, Ancona; in Emilia- Romagna, Ravenna; in Veneto, Venezia, in Friuli Venezia Giulia, Trieste. Negli altri porti, invece, le funzioni che la Legge n. 84 del 1994 attribuisce alle Autorità portuali restano affidate, come, in passato, alle Autorità marittime, organi periferici del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti168.

Le Autorità portuali sono quindi enti aventi personalità giuridica, che, secondo l’impianto della Legge suddetta, conservano unicamente poteri di programmazione, indirizzo e controllo.

Deve, tuttavia, rilevarsi, che l’esercizio di attività ulteriori rispetto a quelle di pianificazione e programmazione non è precluso, fermo restando che è vietato alle Autorità svolgere direttamente, o per il tramite di partecipazioni azionarie, attività dirette all’erogazione di operazioni e servizi portuali oppure attività strettamente connesse alle prime, l’art. 6.6 della Legge n. 84/94, perdendo, invece, la possibilità di partecipare direttamente o indirettamente alla gestione delle operazioni portuali o di altre attività ad esse connesse.

Queste ultime attività, infatti, possono essere svolte soltanto da imprese private, in virtù di apposite autorizzazioni rilasciate dall’Autorità portuale (ex art. 16)169, sulla base di valutazioni relative ai loro requisiti organizzativi e tecnici, alla loro capacità finanziaria ed alla loro professionalità.

Come precisato, l’apertura concorrenziale realizzata non ha coinvolto alcuni servizi, tra i quali, ad esempio, i c.d. servizi tecnico-nautici, ossia i servizi ancillari alla navigazione, resi nell’interesse delle navi in occasione del loro arrivo nel porto o della loro partenza, in quanto finalizzati al conseguimento di interessi pubblici ed in particolare al mantenimento della sicurezza negli spazi marittimi portuali.

In tale direzione la Legge di riforma ha codificato la giurisprudenza italiana e comunitaria, che espressamente definisce i servizi tecnico-nautici in virtù dell’accennato specifico ruolo loro assegnato nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale, quali servizi di interesse generale ed ammette che siano erogati secondo un modello organizzativo tale da escluderli da un regime concorrenziale.

168 ACEN-ANCE (2004), Infrastrutture di trasporto: un programma di sviluppo per la Campania, Electa.

169 Ai sensi dell’art. 16 della Legge n. n. 84 del 1994 dispone, infatti, che l’esercizio delle operazioni portuali sia subordinato ad autorizzazione. Ai fini del rilascio di suddetta autorizzazione, l’Autorità portuale determina: a) i requisiti che gli operatori devono possedere; b) i criteri, le modalità e i termini del rilascio; c) i parametri per determinare il quantum della cauzione richiesta all’operatore per il concreto avvio dell’attività autorizzata; d) i criteri per il rilascio di eventuali autorizzazioni speciali

Deve essere osservato, in proposito, che spesso l’autorizzazione alle operazioni portuali è unita al diritto di disporre di aree e banchine situate nell’area portuale, per lo svolgimento delle operazioni portuali e di quelle ad esse accessorie (ex art. 18).

Conseguentemente, le imprese autorizzate o quelle che sono titolari di una concessione svolgono in via esclusiva le attività di carico, scarico, trasbordo, deposito, movimentazione delle merci, oppure parte delle medesime e sono legittimata a stabilire anche le tariffe portuali, fatto salvo dall’art. 8 bis del D.L. n. 457 del 1997, prevede che: “…le Autorità portuali possono costituire ovvero partecipare a

società esercenti attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati alle (…)

medesime, anche ai fini della promozione e dello sviluppo dell’intermodalità, della logistica e delle

reti trasportistiche”.

L’impresa autorizzata all’esercizio di attività di carico, scarico etc..è chiaramente nominata concessionaria demaniale, per mezzo di un provvedimento che le conferisce il diritto di utilizzo esclusivo di una determinata banchina od area del porto per l’espletamento delle operazioni portuali, ed assume le vesti dell’operatore terminalista, o più comunemente, terminal operator.