II.2 Democrazia deliberativa e democrazia partecipativa.
II.2.2 Diritto e democrazia nell’ottica dell’aspetto deliberativo.
Il fine della teoria del diritto e della democrazia elaborata da Habermas in Fatti e norme è sviluppare il tema della complicata connessione che intercorre tra diritto, politica e moralità nel quadro generale di una teoria della razionalità comunicativa e della democrazia.
Il nucleo centrale di Fatti e norme è rintracciabile tanto in una ricostruzione della funzione del diritto nella società moderna, quanto nell'argomentazione normativa intorno al rapporto tra diritto e democrazia. Partendo da questi punti focali, Habermas affronta differenti tipologie di problemi, quali la questione della legittimità del diritto, la discussione circa la natura della autonomia politica e della legittimità politica, la derivazione di un «sistema dei diritti» dalle presupposizioni della ragione comunicativa, ed una teoria normativa della democrazia all’intero della quale vengono ad intrecciarsi una ricostruzione sociologica del funzionamento delle istituzioni democratiche ed una concezione della sfera pubblica (che in questo specifico contesto ci interessa in modo particolare) che si configura come parte integrante di un approccio deliberativo ai problemi della democrazia nelle società complesse.
Prima di passare all’analisi dei nodi centrali di questa concezione, sarà opportuno, però, richiamare sinteticamente i punti “cardine” della teoria del diritto elaborata da Habermas.
100 Cfr. J.HABERMAS, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, Milano, Feltrinelli, 2002, pp. 325-
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La teoria del diritto sviluppata da Habermas gravita principalmente intorno a due tesi connesse, rispettivamente, con la genealogia del diritto moderno e con la funzione del diritto nella società contemporanea.
Per Habermas, il diritto moderno non trae più la sua vis normativa dal diritto naturale, dalla morale o da concezioni del mondo di natura teologica, ma principalmente «da una procedura legislativa basata a sua volta sul principio della sovranità
popolare»101; il diritto moderno è dunque, in primo luogo, diritto positivo e Habermas
mostra la duplice funzione che esso esplica nella società contemporanea. Infatti, se da una parte esso ha il compito di sgravare gli individui dalle costrizioni dell’agire comunicativo,102 dall'altra garantisce103 l'integrazione della società in un contesto in cui l'integrazione non può venire assicurata solamente per mezzo di valori condivisi.
Habermas paragona la funzione del «medium legale» a quella di un «trasformatore che moltiplica le pulsazioni elettriche debolmente integrative di un mondo della vita strutturato comunicativamente»104; fa riferimento, vale a dire, a una funzione moltiplicativa che è eseguita mediante la trasposizione di «strutture di riconoscimento reciproco», radicate nell’interazione face to face, sul piano delle «interazioni anonime tra estranei mediate sistemicamente»105.
È ovvio come, all’interno di una concezione di questo genere, che lo qualifica come un’istituzione che sgrava gli attori sociali dall’onere di orientarsi soggettivamente verso l’integrazione (in sostanza dall’onere di dover selezionare fini socialmente integrativi e di dover scegliere mezzi che abbiano anche essi una valenza socio- integrativa), il diritto si manifesti nella pienezza della sua natura bifronte: nel suo far parte contemporaneamente della dimensione propria dei «fatti» quanto della dimensione propria delle «norme».
Il diritto si “aggancia” alla dimensione dei fatti mediante il suo essere positivo, mentre è riconducibile alla dimensione delle norme per via della sua pretesa di accettabilità razionale. È vero che, per un verso, in ogni espressione del diritto è insito un momento intrinsecamente volontaristico: «la validità del diritto positivo si manifesta
101 J.HABERMAS,Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Milano,
Guerini & Associati, 1996, p. 110, corsivo mio.
102 Creando, così, ambiti di azione sociale all’interno dei quali è legittimo agire strategicamente. 103 Attraverso la regolazione dell'interazione tra queste sfere dell'agire sociale.
104 J.HABERMAS, ult. op. cit., p. 217.
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come pura espressione di una volontà che attribuisce “durata” a determinate norme (contro la possibilità sempre aperta di sospenderle)»;106 ma è pur vero, per l’altro, che qualora il diritto debba effettivamente rivestire un ruolo integrativo, la sua qualità posi- tiva, fattuale – specifica Habermas – «non può essere fondata sulla contingenza di decisioni arbitrarie».
Appare dunque evidente come nella teoria habermasiana la funzione integrativa del diritto nella società moderna necessiti di entrambi i momenti: richiede un’«alleanza che la positività del diritto stringe con la pretesa di legittimità»107. Nel corso della modernità, si è sviluppata una nuova concezione che trae la legittimità del diritto positivo dal suo rapporto con il diritto naturale secolarizzato. Sotto un certo punto di vista, questa linea argomentativa non perpetua null’altro che la subordinazione premoderna del diritto a un ordine morale esterno ad esso, nonostante in questo caso si tratti di un ordine razionale e secolarizzato. Inoltre, il fenomeno del pluralismo e, nel nostro secolo, la svolta linguistica hanno segnato la fine della possibilità di concepire quadri morali comprensivi in grado di porsi a fondamento della legittimità del diritto positivo nei rispetti di tutti i membri di una società moderna.
Per Habermas, l’unica soluzione possibile (per esclusione) è, allora, quella di derivare la legittimità del diritto dall’idea di autodeterminazione, ossia dall'idea che «i cittadini dovrebbero essere sempre in grado di comprendere se stessi come gli autori delle leggi a cui sono soggetti in quanto destinatari delle leggi stesse»108.
Ma anche a questo livello si ripropone la stessa alternativa di sempre. Ci si prospettano, infatti, teorie che intendono l’autodeterminazione sulla falsariga di un contratto sottoscritto in virtù di ragioni estremamente pragmatiche (Hobbes), oppure, all’esatto estremo, sulla spinta di moventi eminentemente morali (Rousseau, Kant). Anche in quest'ultimo caso «la rottura con la tradizione giusnaturalistica rimane incompleta»: ciò è accreditabile in quanto «l’argomentazione morale rimane il paradigma del discorso costituente».
All’interno del pensiero di Kant, ad esempio, «il diritto positivo resta sottordinato e orientato alla legge morale»109: tale subordinazione è indifendibile,
106 J.HABERMAS, Fatti e norme, p. 50. 107 Ibidem.
108 «Postfazione», in J.HABERMAS, Fatti e norme, p. 531. 109 Ibidem.
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essendo passibile della critica di trascurare un rilevante numero di differenze costitutive che separano la sfera del diritto da quella della moralità. Se nella sfera morale diritti e doveri si manifestano come simmetrici, «i doveri giuridici nascono soltanto come conseguenze», come diretta derivazione scaturita dall’atto di proteggere entitlements che sono concettualmente antecedenti110.
In secondo luogo, mentre l’autonomia morale si configura come la capacità dell’individuo di dare alla propria condotta una forma ispirata a principi scelti da sé, l’autonomia legale degli individui ricomprende anche una quota dell’autonomia dei cittadini esercitata in comune, la capacità di scelta razionale e la capacita di «autorealizzarsi eticamente».
In terzo luogo, se nell’alveo delle norme morali si prende in considerazione l’umanità nella sua interezza (ossia l’oggetto ed il fine di tali norme è l’uomo inteso come ente generico), le norme legali esercitano il loro effetto soltanto all’interno di una determinata comunità (dotata di quel determinato ordinamento giuridico del quale tali norme legali sono espressione).
In quarto luogo, si può sostenere che il diritto sia più complesso della legalità sulla base del fatto che, oltre a fondare e a porre i limiti della libertà individuale, esso «dà forma vincolante anche a finalità e programmi collettivi, e dunque non si esaurisce interamente nella regolamentazione di conflitti interpersonali»111.
Il modello discorsivo della legittimità elaborato da Habermas prende una strada differente, avendo elaborato una concezione in virtù della quale il diritto non risulta come subordinato, ma come complementare alla moralità, e avendo riformulato il quesito basilare del diritto naturale moderno nei termini seguenti: «quali diritti i cittadini dovranno riconoscersi a vicenda se decidono di costituirsi in una volontaria associazione di consociati giuridici, disciplinando legittimamente la loro convivenza con strumenti di diritto positivo?»112.
All’interno della formulazione di questo quesito, i diritti e la sovranità popolare vengono a essere collegati come due categorie intrecciate che si presuppongono vicendevolmente. Sulla scia di questo filo logico, Habermas continua sostenendo che
110 Cfr. «Postfazione», in J.HABERMAS, Fatti e norme, cit., p. 533. 111 Ivi, p. 140.
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come partecipanti a discorsi razionali, i consociati giuridici devono poter verificare se una norma controversa trova, o potrebbe trovare, consenzienti tutti i potenziali interessati. Di conseguenza, il richiesto nesso interno fra sovranità popolare e diritti umani consisterà nel fatto che il sistema dei diritti definisce precisamente le condizioni per cui le forme di comunicazione necessarie a una produzione giuridica legittima possono anche essere giuridicamente istituzionalizzate113.
Da ciò si evince come, sostanzialmente, il nucleo dei diritti umani risieda, per Habermas, «nelle condizioni formali necessarie a istituzionalizzare giuridicamente quel tipo di formazione discorsiva dell’opinione e della volontà in cui è la sovranità del popolo ad assumere veste giuridica».114 Da ciò deriva che i diritti positivizzati nella forma di norme costituzionali non debbano venire interpretati come una traduzione giuridica di diritti o norme morali stabiliti antecedentemente, ma semmai come un altro aspetto di un medesimo processo di differenziazione.115
Va inoltre rilevato come la funzione dei diritti non sia meramente quella di fornire una garanzia delle libertà assegnate agli individui, ma sia anche quella di rendere queste libertà compatibili reciprocamente. A questo punto, non si può che giungere alla distinzione – centrale nella teoria di Habermas – tra libertà comunicativa e libertà soggettiva.
La libertà comunicativa si qualifica come la libertà «di prendere posizione verso criticabili pretese di validità»116, mentre la libertà soggettiva è quella prerogativa che, fondata sul diritto e assicurata comunicativamente, si sostanzia nel poter «fuoriuscire dall’agire comunicativo» e nel ritirarsi in una posizione di «mutua osservazione e reciproca influenza» all’interno della quale non siamo obbligati, in alcun modo, a fornire nessuna ragione delle nostre azioni a chiunque sia.
In ultima analisi, viene in evidenza come i diritti «negativi» riscontrabili all’interno delle costituzioni elaborate nel contesto delle moderne democrazie non siano
113 Ivi, pp. 127-128. 114 Ibidem.
115 Larmore, nella fattispecie, ha contestato la concezione habermasiana del rapporto che intercorre tra
diritto e autonomia politica. A suo avviso, Habermas non riesce a produrre un’argomentazione convincente circa il perché si dovrebbe volere che il legislatore coincida con il destinatario della legge. Secondo Larmore, sotteso al principio del discorso vi è un principio implicito ancora più profondo, che non si riscontra nella teoria di Habermas: il principio dell’eguale rispetto. La derivazione habermasiana dei diritti dalle condizioni comunicative per l'esercizio dell’autonomia politica funziona soltanto perché, in maniera circolare, Habermas intende l’esercizio della autonomia politica come un qualcosa che implica un riconoscimento del principio dell’eguale rispetto e un'accettazione dei limiti che esso impone alla volontà autonoma comune dei consociati legali. Cfr. C.LARMORE, “Die Wurzeln radikaler Demokratie”,
in Deutsche Zeitschrift für Philosophie, 2, 1993.
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null’altro che norme legittimate in via comunicativa che agiscono delimitando l’ambito all’interno del quale viene garantita agli individui la libertà soggettiva (si tratterebbe cioè dell’ambito nel quale è lecito, per gli individui, agire strategicamente). In tal senso, la ragione comunicativa è una forma di ragione che si può definire a tutti gli effetti “autolimitantesi”; è possibile affermare ciò in quanto è solo essa che conferisce a se stessa i propri perimetri e che istituisce l'altro da sé.
Habermas passa quindi a specificare la modalità con cui fondare (in chiave discorsiva) il sistema dei diritti, in grado di assegnare medesima importanza all’autonomia privata e all’autonomia pubblica del cittadino.