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Strutture e articolazioni della democrazia deliberativa (o discorsiva).

II.2 Democrazia deliberativa e democrazia partecipativa.

II.2.3 Strutture e articolazioni della democrazia deliberativa (o discorsiva).

La democrazia deliberativa viene concepita da Habermas come il prodotto compiuto della cooriginaria complementarità tra autonomia pubblica e autonomia privata, che traggono la loro strutturazione da un sistema dei diritti all’interno del quale vengono ad assumere importanza primaria tutti e due gli aspetti della libertà, tanto quello positivo che quello negativo. Tale sistema dei diritti costituisce la soluzione al quesito che si interroga su quali siano i diritti che i cittadini non possono reciprocamente prescindere dal riconoscersi qualora vogliano «regolare legittimamente la loro convivenza, con strumenti di diritto positivo»117.

Fornire una soluzione a tale quesito, nella prospettiva habermasiana, assume il senso di mettere bene in luce una serie di classi di diritti, ma nulla più di questo: colui che si trova ad elaborare una teoria politica, infatti, non può assolutamente arrogare a sé la possibilità di prendere il posto che spetta ai cittadini costituenti, i quali, attraverso l’esercizio della propria autonomia politica, hanno il compito di dotare se stessi dei propri diritti. Ma lo scienziato politico conserva il diritto di poter indicare quali categorie di diritti non possono essere deficitarie o assenti del tutto, qualora si voglia costituire una convivenza giuridica degna di essere definita legittima.

Nella teoria di Habermas, i diritti sono l’oggetto di una classificazione molto precisa, che consta di cinque classi: nella prima vengono ricompresi i diritti posti a protezione delle pari libertà individuali; nella seconda quelli che definiscono lo status di

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“membro associato” (ovvero indicano sulla base di quale titolo sorge l’appartenenza a una data comunità legale); alla terza classe appartengono quei diritti che consentono di agire in giudizio al fine di tutelare le proprie prerogative; nella quarta troviamo, invece, i diritti che tutelano la possibilità di prendere parte ai processi discorsivi di creazione del diritto118; troviamo, infine (nella quinta classe), i diritti di ripartizione sociale, vale a dire quel tipo di diritti che mettono tutti i consociati in una posizione di pari opportunità nel disporre dei diritti contenuti nelle quattro classi sopra elencate119.

A questo punto va messo in luce come, nella democrazia, il discorso si istituzionalizzi per mezzo di un sistema di diritti, pur dovendo evidenziare anche come, con ciò, si origini anche quella che costituisce la più tipica ambiguità, o tensione interna, del processo democratico in quanto discorso giuridicamente istituzionalizzato.

Poiché basa la sua legittimità su procedure discorsive (ripartite su due differenti livelli: quello – informale – dell’opinione pubblica e quello – formalizzato – dei Parlamenti), la comunità democratica dei cittadini assume in toto la presunzione in virtù della quale tutti coloro che partecipano al discorso si impegnano nella ricerca cooperativa delle soluzioni migliori e che i migliori argomenti si trovano sempre a prevalere120.

D’altro canto, in qualità di discorso istituzionalizzato con l’aiuto del medium giuridico, il processo democratico consente che i cittadini diano luogo ad un uso puramente strategico, e quindi non comunicativo, dei propri diritti comunicativi: un uso, dunque, non rivolto all’intesa.

Habermas rileva come il codice giuridico non lasci altra scelta: anche i diritti comunicativi e partecipativi, in quanto diritti, sono soggetti alla possibilità di non venire usati o a quella che se ne faccia un uso puramente strategico: infatti, «A differenza della morale, il diritto non può mai obbligare quelli che esercitano i diritti individuali ad orientarsi all'intesa, sebbene i diritti politici dei cittadini invitino proprio a un uso pubblico di questo tipo»121.

118 Ossia ad esercitare l’autonomia politica. 119 J.HABERMAS, Fatti e norme, cit., pp. 148-49. 120 Ivi, p. 359.

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Giacché utilizza il codice giuridico122, la democrazia, così come la concepisce Habermas, è quindi strutturalmente aperta verso due possibili esiti notevolmente differenti; nel primo caso, i titolari di determinati diritti possono cimentarsi nell’attività che li porta a misurarsi con gli altri sul terreno del discorso e dunque a ricercare, tramite un confronto, gli argomenti migliori;123 nella seconda ipotesi, invece, tali titolari di diritti possono decidere di impiegare i loro diritti comunicativi solamente come semplice strumento finalizzato al perseguimento strategico di loro interessi predefiniti. La democrazia deliberativa, in buona sostanza, verrà determinata da ciò che i cittadini intenderanno e saranno in grado di ottenere da essa.

Dopo aver delineato questo orientamento teorico di fondo, Habermas affronta anche in maniera più specifica gli aspetti di alcune questioni inerenti la struttura istituzionale di una società democratica. Tanto per cominciare, il fatto di aver assunto come punto di partenza il «sistema dei diritti» ci induce necessariamente a dover prendere in considerazione ciò che una effettiva mis en œvre di questo sistema presuppone inevitabilmente: l’esistenza e l’efficacia del potere (saldamente costituito) dello Stato.

Quei diritti ai quali abbiamo fatto riferimento, che cittadini liberi ed eguali hanno il dovere di riconoscersi in modo reciproco, essendo posti su un ideale piano orizzontale, non possono considerarsi quali enti realmente stabili e durevoli «se prima non abbiamo istituito e fatto funzionare bene il potere dello Stato»; il diritto presuppone, perciò, ab origine, il potere politico costituito,124 in quanto organizzazione dotata di potere sanzionatorio e capace di indurre al rispetto delle «norme con gli strumenti d'un legittimo impiego della forza. Questo primo aspetto dello Stato concerne il poter disporre d'una violenza acquartierata nelle caserme a copertura, diciamo così, del suo potere di comando».125

Dopo aver ulteriormente precisato gli altri vari dettagli in relazione ai quali il diritto necessita del potere politico costituito per poter avere efficacia, e, dall’altro verso, il potere costituito necessita del diritto per legittimare se stesso, Habermas fissa nel seguente passaggio il succo della questione: «lo Stato come potere di sanzione,

122 Poiché, come detto sopra, si tratta (la democrazia) di una istituzionalizzazione di discorsi attraverso il medium del diritto.

123 In tale maniera, la sostanza discorsiva della democrazia prende corpo e si sviluppa. 124 J.HABERMAS, Fatti e norme, cit., p. 159.

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organizzazione ed esecuzione diventa necessario in quanto: a) i diritti hanno bisogno d’essere attuati anche con la forza; b) la comunità giuridica ha bisogno sia d'una forza stabilizzante l’identità, sia d'un apparato giurisdizionale, c) la formazione politica della volontà sfocia in programmi che devono poi essere implementati»126.

Ma, qualora fosse vero che il diritto necessita del potere politico, in base alle ragioni appena valutate, ci si dovrebbe interrogare su come dovrebbe venire concepito il rapporto tra questi due poli. Andrebbe allora ribadito come il potere politico conferisca stabilità al diritto e lo faccia rispettare attraverso l’elemento della coercizione, mentre il diritto conferisce legittimità al potere politico, in modo tanto più significativo quanto quest’ultimo, nel corso del suo divenire storico, si vada evolvendo sempre in minor misura quale potere arbitrario e dispotico, ma sempre più come un potere sub lege, ossia soggetto, esso medesimo, al diritto127.

Nonostante ciò, la tesi sostenuta da Habermas asserisce che la forma giuridica non è sufficiente a conferire legittimità alla sfera del potere, infatti «il diritto conserva forza legittimante solo finché può funzionare come una risorsa di giustizia»128; questo aspetto, però, non può venire garantito dalla mera forma giuridica, ma è necessario che il diritto scaturisca da ciò che Hannah Arendt ha definito «potere comunicativo» dei cittadini. Le conclusioni di Habermas sul punto sono le seguenti: «Propongo perciò di considerare il diritto come il medium attraverso cui il potere comunicativo si converte

in potere amministrativo».129

È necessario, pertanto, ripartire proprio dal potere comunicativo per poter tracciare le linee dell’organizzazione dello Stato democratico di diritto. La Stato democratico ha come suo fondamento il principio della sovranità popolare, il quale, trasponendone il senso in termini discorsivi, afferma appunto che «ogni potere politico nasce dal potere comunicativo dei cittadini». Quest’ultima affermazione comporta la necessità di istituzionalizzare forme di deliberazione e di discussione all’interno delle quali la sovranità dei cittadini abbia la possibilità di venire adeguatamente esercitata. Qualora i cittadini non abbiano modo di potersi riunire al fine di esercitare in maniera

126 Ivi, p. 161.

127 Tale concetto è riconducibile, in sostanza, al processo di razionalizzazione giuridica, di cui parla

Matteucci, da intendere come trasformazione della forza i potere legittimo, del «potere di fatto in potere di diritto». Cfr. N.MATTEUCCI, Lo Stato moderno. Lessico e percorsi, Bologna, il Mulino, 1996, p. 81.

128 J.HABERMAS, Fatti e norme, cit., p. 173. 129 Ivi, p. 180.

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diretta il potere legislativo che appartiene loro, diviene legittima l'istituzione di una rappresentanza parlamentare, la quale eserciti questo potere su espresso mandato dei cittadini stessi.

Ma in merito a questo livello parlamentare, Habermas si mostra molto fermo nel sostenere come ciò non possa assolutamente esaurire il processo di discussione e di formazione della volontà pubblica. Nella concezione habermasiana, infatti, il Parlamento si configura come un ente che va, a sua volta, continuamente sottoposto a un costante controllo, nel corso dello svolgimento delle sue funzioni, da parte di un’opinione pubblica informata e posta nella condizione di far sentire la propria voce, nel generale contesto di uno spazio pubblico all’interno del quale sia vigente il principio del pluralismo politico e all’interno del quale possano, di conseguenza, trovare spazio associazioni e partiti organizzati.

La sovranità popolare necessita, per mantenere la sua funzione e non calcificarsi, di entrambi i due momenti sopra menzionati: da una parte, la deliberazione formale in sedi istituzionalizzate e, dall’altra, il dibattito diffuso e informale, vivo nell’opinione pubblica; infatti «solo il principio dell’assicurazione di sfere pubbliche autonome, nonché il principio della concorrenza tra partiti diversi esauriscono, insieme al principio parlamentare, il contenuto del principio di sovranità popolare»130.

Articolata nel modo esposto poco sopra, la sovranità popolare ha come fine soprattutto quello di dotarsi di una legislazione, «sia perché il sistema dei diritti che i cittadini si riconoscono a vicenda è anzitutto interpretabile e sviluppabile solo attraverso le leggi, sia perché il potere organizzato dello Stato, che deve agire come parte per il tutto, può essere programmato e diretto - anch’esso - solo attraverso leggi»131.

Ed è proprio sulle leggi che si trovano ad essere fondate le pretese giuridiche degli individui: pretese che esigono che le leggi siano applicate, allorché si originino controversie, nei confronti dei casi singoli. Partendo da quest’ultima ipotesi, approdiamo ora al terreno, ben più pratico rispetto alle questioni puramente teoriche fin qui esposte, dell’applicazione della legge nell’esercizio della funzzione giurisdizionale.

130 Ivi, pp. 203-204.

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In merito a questo aspetto, Habermas sottolinea come anche nell’ambito della sua prospettiva teorica, in linea di piena continuità col pensiero politico moderno132 (che trova, circa l’aspetto della separazione dei poteri, il suo modello di riferimento più rappresentativo in Montesquieu), emergano più che validi motivi per sostenere la preferibilità di una separazione del potere giurisdizionale da quello legislativo133 (affinché chi si trova ad applicare le leggi non ne sia l’autore e chi ne è l'autore non si trovi nella posizione di applicarle).

Habermas procede nella sua argomentazione nel modo seguente: la «fondazione e la applicazione delle norme sottostanno a logiche argomentative diverse»134, le quali rendono necessarie modalità differenti di istituzionalizzazione giuridica dei rispettivi discorsi; altra cosa è il domandarsi quale norma dobbiamo darci, altra cosa ancora sotto quale norma rientri una determinata fattispecie.

Il potere giudiziario, al fine di essere pienamente in grado di imporre le sue decisioni, dispone in modo diretto della forza coercitiva propria dello Stato (il quale ne dispone, weberianamente, in modo monopolistico)135, ed è proprio per questa ragione che, secondo Habermas, gli «deve essere impedito di autoprogrammarsi», in modo che resti limitato alla sua naturale funzione di ente applicatore del diritto vigente.

Questa osservazione è altrettanto valida per ciò che Habermas ha definito «potere amministrativo», nel senso che la legalità dell’amministrazione deve essere garantita attraverso la solidità di un vincolo che leghi «l’esercizio del potere amministrativo a un diritto democraticamente statuito, in maniera tale che il potere amministrativo si rigeneri solo a partire dal potere comunicativo collettivamente

prodotto dai cittadini».136

In sostanza, dunque, l’amministrazione non può e non deve assolutamente avere accesso alle premesse sulle quali si fondano le sue decisioni, mentre deve venire assicurata, con certezza, ai cittadini la possibilità di poter far valere i propri diritti,

132 Relativamente al tema della separazione dei poteri nell’ambito del pensiero politico moderno, si veda

N.MATTEUCCI, Lo Stato moderno, cit., pp.147-157.

133 In merito alle funzioni del potere legislativo, e agli aspetti di applicazione ed esecuzione che ad esso

concernono, si veda J.HABERMAS, Fatti e norme, pp. 228-229.

134 Ivi, p. 205.

135 Weber si è espresso, in tema di coercizione, in tale maniera: «Lo Stato è quella comunità di uomini

che, all’interno di un determinato territorio, pretende per sé (con successo) il monopolio dell’uso legittimo della forza fisica» (M.WEBER, La politica come professione, Torino, Edizioni di comunità, 2000, p. 44).

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attraverso appropriati strumenti, anche nei confronti delle decisioni dell' apparato statale. Lo Stato democratico di diritto, nella concezione habermasiana, deve dunque mantenere fermamente l’adesione al principio, moderno e liberale, della separazione tra Stato e società137 (oltre a quello, già visto, della separazione dei poteri), del quale dobbiamo, però, rilevare come Habermas fornisca un’interpretazione molto diversa da quella liberale tradizionale.

La modalità habermasiana di formulare il principio della separazione tra Stato e società ha soprattutto il fine di evitare che «il “potere sociale”, distribuito in modo ineguale, possa influenzare i processi di formazione della volontà politica e limitare così la formazione del potere comunicativo»138. Sulla scia degli elementi fino ad ora riportati, emerge chiaramente come il sistema dei diritti venga ad evolversi in un vero e proprio sistema costituzionale. In tal senso, non possono venire tralasciate le considerazioni dedicate da Habermas al possibile ruolo che la Corte costituzionale dovrebbe assumere nell’ambito dello Stato democratico di diritto.

Giacché Habermas non interpreta i diritti individuali (da notare come sia decisa, in questo aspetto, la sua presa di distanza dal liberalismo tradizionale) come dei limiti che vanno posti rispetto all’attività del legislatore democratico (in quanto i diritti umani e la sovranità popolare sono, all’interno del sistema teorico da lui elaborato, elementi non solo non posti in antagonismo, ma addirittura complementari), il ruolo spettante alla Corte costituzionale non può essere certamente quello di custode dei diritti inalienabili individuali che il legislatore democratico rischierebbe di violare. Invece, alla Corte spetterebbe una funzione ben diversa, quale quella, in primo luogo, di sottoporre ad esame le norme controverse «avendo soprattutto riguardo ai presupposti comunicativi e alle condizioni procedurali della legislazione democratica»139.

In tale prospettiva, alla Corte non sarà richiesto di entrare nel merito dei contenuti, che restano appunto appannaggio esclusivo della volontà democratica, ma dovrà, invece,soffermarsi sulle procedure, ovvero dovrà fare in modo «che restino aperti i “canali” necessari all'inclusivo processo di formazione dell' opinione e della

137 Riguardo alla tematica della separazione tra Stato e società civile, si veda N. MATTEUCCI, Lo Stato moderno, op. cit., pp. 37-47.

138 A. FERRARA, “Democrazia e giustizia nelle società complesse: per una lettura di Habermas”, in Filosofia e questioni pubbliche, 1996, p. 97.

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volontà attraverso cui una democratica comunità giuridica organizza se stessa»140. Nel porre in essere questo compito, la Corte dovrà, innanzitutto, avere cura che non venga messa in pericolo la sussistenza di quei «diritti comunicativi e diritti sociali di ripartizione che sono costitutivi della formazione democratica della volontà».141

Va rilevato come pure nel modo di concepire il ruolo della Corte Costituzionale Habermas si confermi quale teorico di una concezione democratica che – nonostante ammetta la cooriginarietà che intercorre tra autonomia privata e autonomia pubblica – resta nettamente separata dalle visioni tipicamente liberali. Habermas propone, in Fatti e norme, la sua teoria politica come “terza via” tra liberalismo e repubblicanismo, confermando ulteriormente la netta caratterizzazione democratica della sua prospettiva. In tale sede, egli fornisce un’interpretazione del repubblicanismo come forma deviata (in chiave comunitarista) della democrazia, all’interno della quale il momento etico142 assume un valore decisamente eccessivo rispetto all’universalismo dei diritti.

A dire la verità, a un’analisi oggettiva della prospettiva habermasiana non può che fare seguito la presa di coscienza di come tale posizione sia difficilmente definibile come «terza» tra liberalismo e repubblicanesimo, almeno nel caso in cui per «terza» si voglia intendere “equidistante” da entrambe: è piuttosto lampante, infatti, che il suo procedere argomentativo conduce verso una posizione nettamente più vicina e solidale con quella repubblicana che con quella liberale.

Ciò che più di tutto segna una netta distanza tra Habermas e le posizioni proprie del liberalismo tradizionale è il fatto che, nella sua teoria, la democrazia (ed il processo che di essa è espressione) non ha un senso e una funzione meramente finalizzati e limitati ad assicurare un banale compromesso tra gli interessi in campo, o a garantire il procedere delle attività economiche private nell’ottica del raggiungimento di un «bene comune sostanzialmente inteso come non politico».143

Ma Habermas non è neanche convinto, in linea con repubblicanesimo e comunitarismo, che l’attività di formazione della volontà generale implichi necessariamente l’esistenza e la collaborazione di un consenso etico che coinvolga gli aspetti valoriali comunemente diffusi. Per Habermas, la convivenza politica dei cittadini

140 Ivi, p. 314.

141 Ibidem.

142 Nel senso specifico che Habermas conferisce a tale espressione in Fatti e norme. 143 J.HABERMAS, Fatti e norme, p. 314.

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non va assolutamente subordinata a una comune identità culturale o, ancor meno, etnica, ma va legata saldamente a quei principi discorsivi che pretendono una validità universale144 e che consentono una risoluzione ragionevole delle controversie,145 che normalmente oltrepassa il semplice compromesso tra gli interessi; anche se va rilevato come questo aspetto del compromesso tra i vari interessi esistenti permanga, pure nella concezione habermasiana, quale componente di rilievo ai fini dello svolgersi della vita democratica.

Per comprendere davvero la notevole complessità del modello di democrazia proposto da Habermas, si può prendere in esame la critica che egli ha rivolto al modello democratico di Norberto Bobbio, accusato di minimalismo. Per Habermas, il modello bobbiano, caratterizzato dall’elenco di una serie di requisiti minimali, non sarebbe in grado di afferrare e riproporre «la sostanza di una concezione genuinamente proceduralista della democrazia».

Habermas sostiene, assieme con Dewey, che «la regola di maggioranza, considerata esclusivamente come regola di maggioranza, è sciocca proprio come i suoi detrattori l’accusano di essere. […] La cosa più importante sono i mezzi attraverso cui una maggioranza riesce infine a essere maggioranza […]»146.

La posizione di Dewey viene superata da Habermas nel momento in cui egli sostiene che l’aspetto decisamente fondamentale non sta nella mera decisione a maggio- ranza, ma nel processo discorsivo che ha portato ad essa, e che «può svolgere funzioni d'integrazione sociale solo grazie all’aspettativa d'una qualità ragionevole dei suoi risultati»147. Ciò è possibile, però, solamente qualora la sovranità popolare venga organizzata strutturalmente ed esercitata in maniera che possa mantenersi conforme alla sua natura di potere comunicativo: «A stretto rigore questo potere comunicativo nasce dall'interazione che si crea tra una formazione della volontà istituzionalizzata come Stato di diritto, da un lato, e sfere pubbliche culturalmente mobilitate, dall’altro; queste ultime, a loro volta, poggiano sulle associazioni di una società civile egualmente separata sia dallo Stato che dall’economia».

144 A differenza di quanto sostenuto dai comunitaristi. 145 Diversamente da quello che invece pensano i liberali.

146 J.HABERMAS, Fatti e norme, pp. 359-360. Per quel che riguarda i richiami al pensiero deweyiano,

Habermas fa riferimento alle pp. 207 sgg. del testo di Dewey, The Public and its Problems, Chicago, 1954 (trad. it. di P. Vittorelli e P. Paduano, Comunità e potere, La Nuova Italia, Firenze, 1971).

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Ciò che preme maggiormente ad Habermas è mettere in luce come le visioni realistico-ciniche della realtà politica democratica sono carenti proprio di capacità descrittiva (e dunque rivelino un deficit descrittivo delle situazioni di fatto); a ciò va aggiunto anche che egli ha sovente completato la constatazione appena riportata esprimendo la sincera convinzione che la vis dei buoni argomenti (e anche dei processi

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