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L’implementazione degli strumenti partecipativi nell’esercizio del potere costituente e di modifica delle Costituzioni: le esperienze dei nuovi ‘process

I.2 La democrazia partecipativa “nelle” Costituzioni e la partecipazione “alle” Costituzioni.

I.2.2 L’implementazione degli strumenti partecipativi nell’esercizio del potere costituente e di modifica delle Costituzioni: le esperienze dei nuovi ‘process

costituenti partecipati’.

Se finora sono stati ricostruiti alcuni contenuti costituzionali volti a prevedere la partecipazione nei procedimenti di produzione delle norme di grado sub-costituzionale e delle politiche pubbliche, è rilevante mettere ora in luce una tendenza che – seppur non meno rara delle disposizioni costituzionali di cui sopra – si è concretizzata in alcune esperienze caratterizzate dalla centralità che la natura deliberativa del procedimento e il

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ricorso a strumenti partecipativi hanno assunto all’interno dei processi costituenti interessati (in particolare spiccano i casi di Islanda, Ecuador e Bolivia).

È in virtù della centralità di tali caratteristiche che autorevole dottrina (Umberto Allegretti) ha definito le Costituzioni emerse da tali processi «partecipate»53. Si tratta di fenomeni interpretabili come tentativi di “start attuativo” – di rango non solo costituzionale, ma addirittura costituente – di quella frontiera che è stata individuata54 nella democratizzazione tanto del costituzionalismo quanto della democrazia in sé (secondo note definizioni55); tentativi, peraltro, marcatamente innovativi per il costituzionalismo democratico, giacché «Until recet times, democratic constitutions were generally the product of a ‘constituent assembly’»56.

Ma, negli ultimi anni, qualcosa sembra significativamente mutato in quanto

this mode of functioning of the constituent power has been challenged by new forms of its exercise on the basis of ‘participatory democracy’ schemes whereby ordinary citizens are encouraged to take part, within the ‘public space’, in the taking of public decisions. This kind of procedure, which first emerged mainly in the legislative and administrative sphere, is now increasingly frequent also in the creation of new constitutions, or in case of amendaments which bring major change to the original text. Recent experiences show that there may be a close complementarity between the classic notion of ‘constituent assembly’ and a new concept of the ‘participatory consituent process’ which could accompany it57.

Tra le esperienze più significative di recenti ‘processi costituenti partecipati’ è significativo il caso dell’Islanda, dove il processo partecipato si è innestato nel bisogno – sentito ormai da tempo – di un nuovo processo costituente: un bisogno maturato in primo luogo sulla base di alcune criticità della Costituzione del 1944, non sempre adeguata ai tempi a causa di contenuti datati, specie «in relazione ad alcune esigenze rivelate dalle condizioni del paese, che nonostante il relativo isolamento, il carattere elevatamente pacifico e la scarsa demografia è risultato tutt’altro che immune da gravi

53 L’espressione è utilizzata da Umberto Allegretti in “Recenti costituzioni «partecipate»: Islanda,

Ecuador, Bolivia”, in Quaderni costituzionali, a. XXXIII, n. 3, settembre 2013.

54 Nel primo paragrafo del capitolo.

55 È già stato ricordato, in tal senso, U. ALLEGRETTI, Democrazia partecipativa: un contributo alla democratizzazione della democrazia, in U. ALLEGRETTI (a cura di), Democrazia partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa, Firenze, University Press, 2010.

56 U.ALLEGRETTI,C.CORSI,G.ALLEGRETTI, “Constitutional Process and Constitutional Assembly: the

making of Constitutions through participatory process”, in Quaderni costituzionali, luglio 2016, http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2016/06/allegretti_corsi.pdf, p. 1.

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problemi di abusi, ineguaglianza crescente e anche, come si dovrebbe dire, corruzione»58.

A ciò va ad aggiungersi il fatto che a tale necessità di un’innovazione complessiva il Parlamento non fosse mai riuscito a dare risposta attraverso un intervento incisivo, ma solo attraverso modifiche circoscritte e di fatto poco risolutive. Ciò nonostante la percezione, da parte degli islandesi, della propria Costituzione come “provvisoria” (non da ultimo per le vicende relative alla sua approvazione, maturata a seguito dell’occupazione alleata e significativa nel definire il suo rapporto di lungo corso con la Danimarca).

Ad agire da catalizzatore verso un nuovo processo costituente fu la crisi economica del 2008 che – «gravissima e anticipata rispetto ad altri paesi europei» – era stata determinata dal collasso delle banche più rilevanti nel paese (privatizzate dal governo conservatore del decennio precedente), ormai rovinosamente esposte verso l’estero a causa di «rischiosi investimenti in subprime»59 intrapresi soprattutto da olandesi e inglesi.

Il malcontento nei confronti dei decisori pubblici non tardò a farsi sentire: ne sono prova il cambiamento della maggioranza elettorale e il ricorso allo strumento del referendum «per rifiutare di pagare il debito bancario verso l’estero», e forse ancor di più l’emersione di un «movimento popolare a favore di una nuova costituzione»60. Fu proprio in occasione di un brainstorming organizzato da tale movimento nel 2009 (nella forma di un’Assemblea nazionale composta da 1500 cittadini61) che prese l’avvio il percorso che ha «innescato una presa di responsabilità delle istituzioni e indotto il parlamento a votare un atto che mettesse in piedi il processo costituente con connotati

partecipativi, nel quale si sono potuti incontrare base sociale e lavoro istituzionale»62.

Il processo costituzionale che si delineò da tali premesse assunse tre caratteristiche principali, di seguito riportate come “A”,“B”, e “C”.

58 U. ALLEGRETTI, “Recenti costituzioni «partecipate»: Islanda, Ecuador, Bolivia”, in Quaderni costituzionali, a. XXXIII, n. 3, settembre 2013, p. 693.

59 Ibidem. 60 Ibidem.

61 Per lo più estratti a sorte, mentre una parte venne nominata da formazioni sociali organizzate

(associazioni) e istituzioni.

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A) La prima di queste caratteristiche risiedeva nell’istituzione del “Forum Nazionale”: un processo consultivo fondato su un campione di circa 950 persone che, al fine di una piena rappresentatività della popolazione, venne selezionato in maniera casuale. I componenti del Forum stabilirono, nel corso di una riunione giornaliera, i valori e i principi che si sarebbe dovuto trasporre nel nuovo testo costituzionale, tra i quali emersero: trasparenza, democrazia, accesso a istruzione e prestazioni sanitarie e assistenziali, e – sulla spinta dei fatti recentemente avvenuti – azioni di regolamentazione più attenta e vigile nei riguardi del sistema finanziario e della gestione pubblica delle risorse naturali.

B) La seconda caratteristica consiste nell’individuazione di un’Assemblea per la stesura della Costituzione (Stjórnlagaráð) composta da esponenti della società civile. I 25 componenti di questa vennero scelti, mediante voto63, da un gruppo di 522 cittadini64, dai quali vennero esclusi i politici di professione (una delle categorie che l’opinione pubblica riteneva più direttamente responsabili della crisi finanziaria), e tenendo presente l’esigenza del rispetto di alcuni parametri pluralistici: parità di genere (la composizione era ripartita tra 10 donne e 15 uomini), varietà di estrazione professionale (oltre a professionisti del diritto quali avvocati vi erano compresi, ad esempio, un pastore, un agricoltore, uno studente, una regista, un presentatore radiofonico, la direttrice di un museo d’arte), rappresentanza dell’associazionismo organizzato (la portavoce di un gruppo per i diritti dei consumatori e il presidente di un sindacato), rappresentanza di persone in condizioni di malattia o disabilità (tra i componenti vi era una donna affetta da osteogenesi imperfetta, Freyja Haraldsdóttir, peraltro anche attivista per i diritti umani).

C) La terza caratteristica si rinviene nel ricorso a una strategia di “crowdsourcing” nello svolgimento del processo costituente. Si tratta di una modalità ben sintetizzata nella composizione del termine (da crowd, folla, e sourcing, da “outsourcing”, con riferimento alla c.d. “esternalizzazione aziendale”), consistente nella possibilità (coinvolgendo, appunto, numeri anche particolarmente elevati di

63 L’elezione si svolse il 27 novembre 2010.

64 Si trattava di cittadini che si erano autoproposti: chiunque fosse in possesso dei requisiti richiesti (età

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partecipanti, come la generalità della popolazione di un dato territorio) di sviluppare collettivamente un progetto da sedi esterne rispetto al soggetto/sede centrale del processo in atto (in questo caso l’Assemblea dei 25, ma in genere può trattarsi del creatore del progetto, del responsabile, etc.). Si tratta di una strategia basata sul supporto materiale offerto dalla rete internet e dalle sue potenzialità nella gestione dei contributi provenienti da persone che scelgono volontariamente di accettare un invito a collaborare (e quindi di partecipare). L’Assemblea aprì, in tal maniera, alla popolazione nel suo complesso la fase della progettazione del testo costituzionale, consentendo a chiunque fosse stato interessato di esprimere la propria posizione attraverso i più diffusi social networks (Facebook e Twitter) o mediante posta (elettronica o tradizionale): tecniche che consentirono la raccolta, al termine della fase di consultazione, di oltre 3.600 commenti e di circa 370 proposte concrete65.

Alle tre caratteristiche sopra ricordate va aggiunto anche lo sforzo effettuato nella direzione della garanzia di livelli apprezzabili di trasparenza; uno sforzo concretizzatosi in iniziative quali la trasmissione in streaming della riunione del Forum Nazionale. Tale sforzo venne esteso, inoltre, anche ai passaggi più “chiusi” del lavoro di stesura della bozza: per comunicarne gli aspetti fondamentali ai cittadini si organizzarono riunioni aperte al pubblico, i resoconti delle quali venivano resi pubblici (in versione Pdf) nello spazio dedicato del sito web dell’Assemblea.

Si pervenne così alla bozza che avrebbe dovuto fungere da base per la nuova Costituzione, che venne approvata, mediante referendum, dai due terzi dei votanti nell’ottobre 2012. Nonostante il coinvolgimento della popolazione si fosse rivelato proficuo, creando un dibattito pubblico vivo, e soprattutto nonostante il risultato del referendum, però, l’iter della bozza verso l’approvazione definitiva si interruppe, bloccato la primavera seguente dal Parlamento.

Una sconfitta, dunque, del processo costituente partecipato? Certamente il processo non è giunto al suo compimento ottimale, che avrebbe dovuto culminare con l’approvazione di una Costituzione che, sia pur non scritta dai cittadini (ipotesi di per sé illogica, irrealistica, e utopica), avrebbe dovuto essere plasmata tenendo conto delle loro necessità, dei loro punti di vista, dei loro bisogni (razionalizzati secondo il filtro

65 Tra le quali, ad esempio, quella inerente la costituzionalizzazione del diritto di accesso a Internet, che

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dell’ordinamento giuridico). La partecipazione, pertanto, avrebbe dovuto essere deliberativa manifestandosi non come «decisione finale – quest’ultima è sempre riservata agli organi rappresentativi – ma [come] influenza diretta e reale su di essa attraverso il coprotagonismo entro il processo deliberativo, che in Islanda è stato presente ed efficace»66.

Pur non avendo raggiunto lo scopo primario (l’influenza concreta sull’adozione di un nuovo testo costituzionale), il processo ha però senza dubbio funzionato da attivatore per un dialogo strutturato e trasparente tra governati e governanti, in un contesto in cui le istituzioni venivano guardate attraverso il filtro della crisi economico- finanziaria e, non di meno, della crisi della fiducia che ad essa era conseguita. L’Assemblea costituente ha adottato una linea di azione capace di tenere conto dei commenti e delle proposte pervenute. Su queste basi è possibile dire che il processo partecipato in quanto tale non ha mostrato mancanze, ma – come osserveremo anche nei capitoli successivi in relazione ad altri casi analizzati – ciò non è bastato a renderlo efficace sul piano dei risultati, giacché ciò che lo ha ostacolato non è da ricercarsi in una sua disfunzione interna, ma in aspetti disfunzionali (non dovuti al processo partecipato, ma alle istituzioni preesistenti!) della sua interazione con strumenti, istituti e dinamiche propri della democrazia rappresentativa (e in parte di quella diretta, specie con riferimento alle norme procedurali del referendum, di per sé non vincolante, e quindi scarsamente inattaccabile, nonostante il consenso e la legittimazione che ha dimostrato, da parte dei cittadini, verso il processo in atto).

Pur avendo svolto il suo compito dialogico, in buona sostanza, la consultazione (e quindi la partecipazione) è stata rigettata non dai cittadini (mostratisi disponibili a collaborare) ma dai rappresentanti eletti e dalle élites a questi direttamente o indirettamente collegate.

In relazione alle dinamiche proprie della rappresentanza, spicca come – superata la prova del referendum popolare (che non avrebbe comunque vincolato il Parlamento) – la bozza avrebbe dovuto superare un duplice ordine di approvazione: sia da parte del vecchio Parlamento che da parte di quello neoeletto. Un aggravamento procedurale chiaramente pesante, che non incoraggiava l’accoglimento dell’innovazione proposta, e che si sommava (come causa impediente) al fatto che il progetto sembrasse aver subito

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«l’influenza di molti interventi»67, soprattutto laddove «tra i partiti parlamentari si è manifestata una forte contrarietà al processo popolare di costruzione della costituzione, e così da parte di molti intellettuali, specialmente i giuristi (!)»68, cosa che spiegherebbe anche la lentezza (probabilmente ostruzionistica) sopravvenuta nella fase successiva alla chiusura dei lavori dell’Assemblea (agosto 2011).

È possibile che la natura dell’Assemblea e dei suoi membri, tipicamente esterni all’establishment di governo, e la portata partecipativa del progetto (altrettanto esterna a tradizioni e consuetudini, e perciò sia alla Costituzione formale che a quella materiale) siano state esageratamente percepite come elementi “antisistemici”, suscitando una reazione di rifiuto tacitamente sviluppato – in modo trasversale – da parte di tutte le forze politiche partitiche e, più in generale, dalle istituzioni. Basti pensare alla varietà del fronte dei detrattori e oppositori del processo costituente partecipato: la Corte Suprema (concentratasi, riguardo alla prima bozza del 2011, su alcune irregolarità elettorali minori), il partito liberale (secondo il quale il processo in atto era illegittimo), i media (refrattari a diffonderlo), e i già ricordati intellettuali (soprattutto di estrazione accademica).

È interessante come l’opposizione all’implementazione di questo processo di democrazia partecipativa si sia servita, anche in forma congiunta, di espedienti procedurali che coinvolgono sia gli istituti della democrazia rappresentativa che di quella diretta. In particolare, il passaggio più evidente di questa reazione alla partecipazione (una reazione espletata piegando e rimodellando le norme costituzionali esistenti) ha avuto luogo utilizzando dinamiche rappresentative con il fine di modificare le norme di funzionamento del più tipico degli istituti di democrazia diretta, vale a dire del referendum.

Vista l’impossibilità di approvare il nuovo testo prima delle elezioni previste per il 27 aprile 2013, il Parlamento adottò una mozione che modificava (aggravandolo notevolmente) l’iter di approvazione: oltre alla previsione di elezioni a fine aprile e al fatto che il neo-eletto Parlamento avrebbe dovuto approvare il testo con maggioranza dei 2/3, il referendum popolare avrebbe dovuto produrre il voto favorevole di almeno il 40% degli aventi diritto al voto (rendendo necessaria un’affluenza dell’80%, ben lontana dai valori raggiunti dalle affluenze precedenti). Con le elezioni del 27 aprile il

67 Ibidem. 68 Ibidem.

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percorso partecipato verso una nuova Costituzione di fatto si concluse, data la vincita del centrodestra69, avversario della bozza emersa dalla consultazione sin dal primo momento.

Oltre al caso dell’Islanda, sembra utile segnalare anche i casi di Ecuador e Bolivia (altrettanto «partecipati», nella ricostruzione operata da U. Allegretti), che «per quanto anche tra loro differenziati, presentano fondamentali somiglianze»70. Due punti in comune tra le due esperienze vanno riscontrati:

1) in un minor tasso di formalizzazione del processo costituente partecipato rispetto al caso islandese;

2) in una forte interazione «tra movimenti di base e istituzioni rappresentative»71.

In questo senso va ricordata l’importanza del Pacto de Unidad in Bolivia, al quale si deve riconoscere il merito di aver attivato concretamente, nel corso dei lavori della Costituente, «un aspetto della partecipazione che raramente si realizza negli stessi più avanzati strumenti di democrazia partecipativa, soprattutto in Europa e in Nordamerica (dove essi sono in concreto espressione sostanziale del ceto medio)», e che si è tradotto nella valorizzazione (oltre che nel riconoscimento) del peso che le componenti indigena e rurale possono assumere nei processi decisionali, non da ultimo con il fine di riuscire «a trarle dall’emarginazione post-coloniale e a riconoscere un ruolo attivo a una vasta parte della popolazione»72.

I tre casi di Islanda, Ecuador e Bolivia presentano rilevanti specificità e differenze, da considerare

del tutto naturali dato che ogni processo costituente e ogni costituzione, rappresentando il coagulo della vita di una società e di un paese e il progetto del suo cammino futuro (come ci insegna tra gli altri Haeberle), scaturiscono e incorporano non solo la particolare razionalità ma anche le condizioni materiali, gli impulsi vitali, i sentimenti della specifica società a cui si riferiscono e nascono da un contesto differente da ogni

69 Il Partito Indipendente e il Partito Progressista – oppositori della maggioranza di centrosinistra

(Alleanza Social-democratica e Movimento Verde), costituitasi nel 2009 – ottennero 38 seggi su 63 totali.

70 U.ALLEGRETTI, op. cit., 2013, p. 694. 71 Ivi, p. 695.

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altro, pur apparentandosi con altri nella vivace circolazione di idee che sempre, e oggi tanto maggiormente, ha interessato la nascita e l’operare delle costituzioni73.

Si tratta di una considerazione fondamentale, che accompagna i processi partecipativi a tutti i livelli della gerarchia delle fonti e a tutti i livelli di governo, nessuno dei quali può dirsi immune dai condizionamenti imposti dai contesti.

Nella seconda parte del presente lavoro ciò emergerà in modo ben evidente dallo studio dell’implementazione dello strumento della consultazione – in seno all’analisi di impatto della regolazione – in due contesti molto diversi (Regno Unito, Cap. III; Umbria. Cap. IV), in particolare dall’osservazione di come gli esiti dei processi partecipativi possano essere decisamente discordanti, a partire dalla constatazione del fatto che le scelte istituzionali e di politica del diritto sono precipuamente epifenomeniche rispetto al tipo di cultura giuridica e politica (congiuntamente ad altri fattori socio-economici) dominante nei rispettivi contesti di riferimento (e agente sul comportamento normativo sia dei governanti sia dei governati).

73 Ivi, p. 689.

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CAP. II: DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA, DIRETTA E

PARTECIPATIVA

SOMMARIO: II.1 Democrazia rappresentativa e democrazia diretta - II.2 Democrazia deliberativa e democrazia partecipativa - II.2.1 Introduzione al concetto di democrazia deliberativa in Habermas - II.2.2 Diritto e democrazia nell’ottica dell’aspetto deliberativo - II.2.3 Strutture e articolazioni della democrazia deliberativa (o discorsiva) - II.2.4 Il rapporto tra pluralismo e democrazia deliberativa.

Nella ricostruzione sin qui intrapresa del nesso che lega partecipazione e costituzionalismo si è fatto ricorso, introducendone occasionalmente alcuni tratti distintivi, a concetti composti dal sostantivo “democrazia” accompagnato, variabilmente, da quattro aggettivi fondamentali. Il risultato è l’emersione di quattro nozioni, che accompagneranno l’argomentazione dell’intero presente lavoro: democrazia rappresentativa, democrazia diretta, democrazia partecipativa e democrazia deliberativa.

Si tratta di nozioni che, nonostante talvolta frutto di prospettive originariamente contrapposte (si pensi a democrazia rappresentativa e democrazia diretta), non vanno concepite come una sorta di “monadi isolate”, autonome o addirittura in conflitto. Ciò perché, dal punto di vista di chi scrive, si tratta di nozioni tutte necessarie ai fini di un’indagine accurata su quali strumenti (e su quali metodi) possano concretamente concorrere alla “democratizzazione della democrazia” più volte ricordata, soprattutto (dal punto di vista adottato in questo lavoro) all’interno dei processi decisionali pubblici volti alla produzione di norme e politiche pubbliche, a tutti i livelli di governo. Sembra pertanto ragionevole, assumendo un approccio volto all’analisi degli strumenti in vista del miglioramento della loro efficacia (sia in senso tecnico-giuridico che democratico), considerare gli strumenti di ciascuna nozione come potenzialmente sinergici e integrativi rispetto a quelli delle altre.

È facile comprendere come una politica legislativa, o un semplice procedimento legislativo, siano il prodotto della presenza o dell’assenza di elementi ascrivibili (di volta in volta o congiuntamente) alla rappresentanza, all’esercizio dei diritti politici mediante istituti diretti (referendum, petizione, etc.), o alla consultazione deliberativo/partecipativa: pianificare una fase del procedimento legislativo (tipica espressione della rappresentanza) di una Regione che contempli dei focus groups con gli stakeholders interessati (strumento deliberativo/partecipativo), ad esempio, è cosa

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ben diversa dal progettare l’iter di formazione di una legge costituzionale che può, eventualmente (secondo le norme date), comportare una consultazione referendaria (istituto di democrazia diretta).

Sono, questi, due esempi concreti che dimostrano come il costituzionalista e il giuspubblicista non possano fare a meno (sia analizzando descrittivamente che progettando prescrittivamente) di ricondurre il momento genetico e quello attuativo delle norme a categorie e concetti che ineriscono i fini, le prospettive e gli strumenti sottesi alle quattro nozioni di democrazia ricordate, di cui si offrirà una ricostruzione nei prossimi paragrafi.

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