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Il rapporto tra pluralismo e democrazia deliberativa.

II.2 Democrazia deliberativa e democrazia partecipativa.

II.2.4 Il rapporto tra pluralismo e democrazia deliberativa.

Secondo Rawls, il banco di prova decisivo per comprendere se un sistema di democrazia deliberativa funziona davvero (o meno) è costituito dalle modalità con cui tale sistema gestisce il «fatto del pluralismo» (cruciale, come sottolineato nel Cap. I, ai fini della qualificazione democratica del costituzionalismo contemporaneo, oltre che della forma di Stato di democrazia pluralista). La proposta habermasiana si è sostanziata nell’auspicare un «modello comunicativo» che concepisce in maniera strutturalistica l’agganciarsi della formazione istituzionalizzata della volontà con quella informale dell’opinione che si realizza entro sfere pubbliche culturalmente mobilitate.

Questo aggancio non dipende né dalla omogeneità del popolo, o dall’identità della volontà popolare, né dall’identità di una ragione cui competa soltanto la capacità di rintracciare a posteriori un sottostante interesse generale. Rispetto alle concezioni classiche, il modello della teoria discorsiva si colloca in senso trasversale. Se la sovranità comunicativamente fluidificata dei cittadini si insedia nel potere di discorsi pubblici (che per un verso scaturiscono dalle sfere pubbliche autonome, ma per l'altro verso prendono forma concreta nelle deliberazioni di corpi legislativi che procedono democraticamente e hanno responsabilità politica), allora il pluralismo delle credenze e degli interessi, lungi dall’essere represso, verrà svincolato e apertamente riconosciuto sia attraverso decisioni di maggioranza suscettibili di revisione sia attraverso compromessi. L’unità di una ragione interamente proceduralizzata si ritira così nella struttura discorsiva delle comunicazioni pubbliche.

A nessun tipo di consenso essa concede spontaneità e dunque vera forza legittimante, se non a quello che prende piede sotto una riserva fallibilistica, e in base a libertà comunicative anarchicamente svincolate; «Nella vertigine di questa libertà non

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abbiamo altro punto di riferimento se non lo stesso procedimento democratico: il cui senso risulta per altro già interamente deciso nel sistema dei diritti»154.

Il nodo centrale di questo passo, fondamentale per afferrare il senso dell’argomentazione di Habermas, è la sua dichiarazione secondo cui i compromessi e le decisioni prese a maggioranza assumono piena forza legittimante, e la legittimità politica non può, nel contesto di una società complessa, venire misurata solamente mediante il principio del discorso.

Sembra opportuno, a questo punto, soffermarsi brevemente sugli aspetti della prospettiva di Rawls maggiormente inerenti al problema del pluralismo, al fine di metterne in luce alcune significative analogie e differenze rispetto alla concezione habermasiana (tale operazione sarà utile anche per comprendere la sostanza della polemica tra Habermas, i liberali ed i comunitaristi).

Habermas e Rawls presuppongono che il fatto del pluralismo costituisca il punto di partenza delle loro teorie della giustizia e della democrazia, confidando nell’esistenza di una certa «ragione pubblica», anche se per quest’ultima va inteso qualcosa di ben più modesto rispetto alla Ragione concepita da certe teorie metafisiche; certamente, il punto di maggior differenza fra i due si può identificare nella maniera in cui immaginano il funzionamento della ragione pubblica.

Mentre nel sistema elaborato da Rawls, il luogo della ragione pubblica è dato dalle istituzioni principali della società politica (in particolar modo dalla Corte Suprema), in quella di Habermas, invece, la ragione pubblica risiede, sostanzialmente, nella sfera pubblica.155 In Rawls la ragione pubblica agisce in base a una limitazione volontaria dei temi ai quali viene applicata; non solo, infatti, essa si può invocare qualora siano in ballo questioni di natura pubblica riconosciute come tali, ma presuppone che coloro che partecipano ai processi deliberativi difendano le loro opinioni, e le argomentazioni a supporto di esse, solamente mediante l’utilizzo di «valori politici» e «ragioni» ragionevolmente condivisi da ciascuno.

Un possibile esito di simile analisi è quello di eliminare dal tavolo della deliberazione tutti quegli argomenti e quelle tematiche che possono essere definiti

154 J.HABERMAS, Fatti e norme, pp. 200-221.

155 Circa il rapporto tra le teorie di Habermas e di Rawls, cfr. D.RASMUSSEN, Leggere Habermas, Napoli,

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«controversi», e che risultino, dunque, conducendo il ragionamento fino alle estreme conseguenze, scomodi.

A questo punto della sua argomentazione, Rawls – generalizzando il caso esemplare della progressiva eliminazione dei temi religiosi dall'agenda pubblica (fatto che, nel contesto dell'età moderna, concorse alla possibilità di ridurre le guerre di religione) – elabora una definizione di ragione pubblica che la rappresenta come un’istanza che reitera, in maniera continua, quelle condizioni che hanno permesso a concezioni religiose rivali di coesistere fianco a fianco. In sostanza, la ragione pubblica eliminerebbe dall’agire politico tutto quello che, potenzialmente, potrebbe concorrere all’insorgenza di conflitti.

L’ottica di Habermas in fatto di pluralismo nelle società complesse, invece, si fonda su una visione decisamente più ottimistica della ragione pubblica o dialogica. Per Habermas non ha fondamento l’ipotesi che esista qualcosa di intrattabile. Qualsiasi questione (compresi i valori, i requisiti delle identità e le interpretazioni dei bisogni) può – anzi, dovrebbe – essere oggetto di una discussione pubblica, e deve poter trovare spazio nel foro pubblico se qualcuno mostra l’esigenza di affrontarla («non solo nella formazione informale ma anche in quella istituzionale e procedurale dell’opinione e della volontà possono essere discusse questioni eticamente rilevanti della vita buona, dell’identità collettiva e dell’interpretazione dei bisogni»)156.

In Habermas, qualsiasi limitazione venga posta agli argomenti accettabili come oggetto di deliberazione pubblica ha notevoli probabilità di condurre a esiti negativi. Infatti, qualora le questioni inerenti al bene venissero eliminate dal foro pubblico e affidate all’elaborazione prodotta dalle concezioni comprensive, il discorso politico si ritroverebbe svuotato della «forza necessaria a trasformare razionalmente atteggiamenti pre-politici, interpretazioni di bisogni e orientamenti di valore»157. Inoltre, si darebbe per scontato quel confine che ha il compito di dividere le faccende di pubblica rilevanza da quelle di interesse esclusivamente privato, con il risultato che una distribuzione meramente contingente di aree di consenso e dissenso si ritroverebbe a essere permanentemente sclerotizzata in una sorta di partizione ontologica. La conseguenza di ciò è che l’agenda pubblica si troverebbe a essere sfavorita, a tutto

156 J.HABERMAS, Fatti e norme, p. 372. 157 Ivi, p. 366.

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vantaggio dell’interpretazione tradizionale di ciò che si intende essere “pubblico” e di ciò che si ritiene essere “privato”158.

Si può inoltre rilevare come una concezione della ragione pubblica del tipo prospettato da Rawls collida con il fatto che, di frequente, la linea che separa le attività pubbliche da quelle private è essa medesima oggetto di diatriba. Rispetto a quest’ultima considerazione, basti pensare alle dispute multiculturaliste che si sono manifestate in tempi non lontani, come nel caso del dibattito relativo alla possibilità o meno, per le ragazze musulmane, di indossare il velo nelle scuole in Francia o quello, che avuto luogo in Canada, inerente all’uso del turbante per gli impiegati nelle forze armate di etnia sikh.

McCarthy ha rilevato come, in Habermas, la prospettiva riguardante la relazione tra pluralismo e democrazia deliberativa implichi una dotazione di virtù democratiche ben distinta da quella richiesta dalla concezione rawlsiana, in quanto

Un ideale di mutuo rispetto che bilancia l’impegno con l’apertura non è meno in grado di confrontarsi con il pluralismo ragionevole e il disaccordo ragionevole di quanto non lo sia l’ideale rawlsiano della cittadinanza, con il suo dovere di comportamento civile. E rispetto a questo ha il vantaggio di evitare la netta divisione tra ragione pubblica e privata che invece percorre tutta la costruzione rawlsiana. Piuttosto che obbligare i cittadini a trattare pubblicamente come ragionevoli delle concezioni che essi privatamente, o nella cultura di sfondo, considerano come “semplicemente irragionevoli o false”, questo approccio incoraggia i cittadini a proporre e difendere pubblicamente qualsiasi concezione che essi ritengano ragionevole e rilevante ai fini delle questioni pubbliche159.

158 Una analoga ipotesi è stata avanzata da Nancy Fraser nel 1992 (in J. HABERMAS, Fatti e norme, cit.,

pp. 367-8).

159 McCARTHY, Kantian Constructivism and Reconstructivism: Rawls and Habermas in Dialogue, in

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PARTE II. PARTECIPAZIONE E QUALITÀ DELLE NORME E DELLE POLITICHE

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