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Le disposizioni del codice penale che dettano la disciplina dei reati connessi al gioco d’azzardo, si ritrovano nella Sezione I del Capo II c.p. intitolato “Delle contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi” e fanno riferimento a quelle contravvenzioni che riguardano il buon costume.

Per la dottrina coeva il gioco d’azzardo è quindi punito dal legislatore in quanto “fatto profondamente antisociale perché fomenta la cupidigia

87 Sent. C. Giust. UE, sez. IV, 16 febbraio 2012, Procedimenti penali c. Marcello

Costa e Ugo Cifone, cause riunite C-72/10 e C-77/10 punto 62.

88 Battaglia A., Il quadro normativo nazionale, in Battaglia A.- Mattarella B.G. (a

cura di), Le regole dei giochi. La disciplina pubblicistica dei giochi e delle scommesse in Italia, Napoli, Editoriale Scientifica, 2014, p. 16

di denaro, diffonde l’avversione al risparmio e deprime la dignità della persona”89.

Secondo Notaro90 la legittimazione dell’intervento penale in questo settore, sembra molto discutibile: innanzitutto, va considerato come il gioco nella misura in cui rappresenta uno svago, ha un’utilità sociale; in secondo luogo, la considerazione del gioco d’azzardo come una pratica di scarso valore etico sembra ormai soprassata dallo Stato stesso che, organizzando le lotterie e i giochi, autorizza un’attività che corrisponde in tutto e per tutto a quella vietata, ed altresì che un fatto non può assumere valori differenti a seconda dei suoi autori, pena la violazione dell’art. 3 Cost. Essendo quindi cambiato l’approccio alla materia del Legislatore va esclusa ogni valutazione di immoralità aprioristica del gioco d’azzardo91.

Ecco che secondo questa ricostruzione, non sembra quindi essere la funzione di “prevenzione generale positiva” l’elemento in grado di giustificare la punibilità del gioco d’azzardo.

All’art 721, comma 1 c.p., si definisce la nozione di giochi d’azzardo92 “come quelli nei quali ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita è interamente o quasi interamente aleatoria”.

Il gioco d’azzardo, così come espresso dal codice penale, si compone di due elementi fondamentali, il fine di lucro e l’alea.

Per quanto riguarda il fine di lucro, che corrisponde alla volontà di realizzare un guadagno, la Cassazione ha evidenziato come esso debba essere valutato “in relazione al giocatore e non all’organizzazione o gestore del gioco”93 e va considerata anche “l’entità della posta, la

89 Antolisei F., Manuale di diritto penale. Parte speciale I, Milano, Giuffrè, 2008, p.

600 e Manzini V., Trattato di diritto penale italiano, X, Torino, UTET, 1981, 959

90 Notaro G., Giochi d'azzardo e diritto penale: brevi riflessioni di politica criminale,

2000, reperibile su www.diritto.it

91 Mazza L., Giochi d’azzardo e proibiti nel diritto penale, in Dig. Disc. Pen., 414 92 Nel momento in cui il Legislatore deroga al divieto generale, riconosce che il

gioco possa essere organizzato anche da un soggetto privato, facendo così nascere il gioco legale.

durata delle partite, la possibilità di ripetizione di queste e il tipo di premi erogabili, in denaro o natura”94.

La prima affermazione soprattutto si fonda sulla considerazione di quanto le attività di gioco e scommesse siano pericolose per alcuni soggetti, meritevoli di tutela: i soggetti da salvaguardare sono i giocatori e tra questi maggiormente quelli che partono in posizione di svantaggio, i meno abbienti, desiderosi di uscire dalla propria

condizione con la falsa speranza di un facile guadagno.

La durata delle partite, la loro ripetizione, l’entità della posta in gioco, sono altri parametri che la Giurisprudenza ha evidenziato, in funzione protettiva dei soggetti da tutelare.

La stessa sentenza della Cassazione95, esaminata più nel dettaglio, ci dice quindi cosa si intenda per giochi leciti.

Infatti: se è illecito il gioco che si realizza quando è il giocatore che ha il fine del lucro e non l’organizzatore, altresì sarà lecito quel gioco gestito da un soggetto che persegue tali scopi.

Il fine di lucro quindi deve essere analizzato in riferimento alla situazione concreta.

Per quel che riguarda l’alea, non bisogna confondere il fine di lucro con l’aleatorietà della vincita di gioco. Poiché il fine di lucro consiste nella volontà di ottenere un guadagno, non è detto che questo possa desumersi in maniera semplice dal carattere del gioco96, né l’alea si può desumere dal fine di lucro di chi partecipa al gioco.

Un gioco si può considerare aleatorio in ragione del suo esito. La vincita può essere assolutamente o relativamente dipendente dal caso e per valutare la legittimità o meno del gioco bisogna mettere a confronto il caso e l’abilità del giocatore: se si ha una prevalenza dell’alea rispetto all’abilità, allora il gioco è illecito97.

94 Cass. Pen., sez. III, sentenza del 19 dicembre 2011, n. 3096 95 Cass. Pen., sez. III, sentenza del 18 ottobre 2007, n. 42374 96 Cfr. Cass. Pen., sez. III, sentenza del 23 novembre 2003, n. 41621 97 Cass. Pen., sez. III, sentenza del 30 settembre 2002, n. 38054

L’aleatorietà del gioco è oggettivamente valutabile (a differenza del fine di lucro): è intesa come il caso fortuito e deve essere calcolata sulla natura e sulle regole del gioco. Inoltre essa non dipende dalla capacità di chi prende parte al gioco98. Un gioco quindi rimane aleatorio perché il suo esito dipende dal caso, anche se il giocatore dimostra grande abilità.

Il gioco d’azzardo è punito all’art. 718 c.p. dove, non solo si prende in considerazione colui che in prima persona ne assume l’esercizio, in luogo pubblico o in un circolo privato, ma anche chi ne agevoli l’attività.

Altresì ai sensi del 720 c.p. è punito chiunque partecipi a tali giochi “sia chi sia sorpreso mentre giuoca, sia chi immediatamente dopo il giuoco è inseguito o sorpreso con cose o tracce del reato”.

Al 723 c.p. infine si ritrovano tutti i giochi che pur non essendo d’azzardo sono vietati dall’Autorità.

Il codice civile dedica un intero Capo, seppur breve, all’interno del Titolo III “Dei singoli contratti” al giuoco e alla scommessa. La normativa civilistica è sostanzialmente neutra nei confronti del settore dei giochi e si pone in una situazione di compromesso dei rapporti fra giocatori.

Tale normativa appare generale e le disposizioni tendono a disciplinare il rapporto tra due o più persone in caso di debiti di gioco.

Ai fini civilistici possiamo individuare tre categorie di giochi:

- i giochi tutelati: quelli che possono essere esercitati e meritano di tutela.

- i giochi non proibiti: fanno parte di una categoria residuale nella quale vi rientrano quei giochi che non sono tutelati, ma nemmeno vietati, perché non ritenuti pericolosi;

- i giochi proibiti: sono quelli vietati dalle leggi penali;

98 Antolisei F., Manuale di diritto penale. Parte speciale I, Milano, Giuffrè, 2008, p.

Bisogna capire se questi divieti penali siano o meno rilevanti ai fini civilistici e quindi se, ai giochi d’azzardo puniti dal codice civile, sia applicabile l’art. 1933 c.c. (Mancanza di azione.)

Secondo la dottrina prevalente99 ai giochi d’azzardo deve essere applicata la disposizione civilistica che non prevede l’azione per i debiti connessi. Questo deriva dalla conclusione per cui l’art. 1933 c.c. inibisce l’azione per il pagamento dei debiti di gioco anche se tali attività non sono proibite, facendo intendere che la norma si applica già per i giochi e le scommesse proibiti.

Secondo altra parte della dottrina alla categoria dei giochi d’azzardo si applica pienamente l’art. 1933 c.c., in virtù non solo di quanto

enunciato nella disposizione civilistica, ma anche per il fatto che il diritto penale non punisce per le caratteristiche intrinseche ma per le circostanze in cui si svolge100.

Per quanto attiene i giochi non proibiti, l’art. 1933 c.c. vi si applica a pieno.

L’art. 1933 prevede l’assenza di un’azione giurisdizionale e anche la soluti redentio per i debiti di gioco101.

L’obbligazione che nasce dal gioco corrisponde a un’obbligazione naturale (2034 c.c.), a detta della dottrina maggioritaria102, per la quale ciò che è oggetto del debito lo è per doveri morali o sociali.

Nonostante che l’obbligo sia morale e non giuridico il creditore può avvalersi della ‘soluti redentio’ per la quale si nega a chi ha adempiuto il rimedio della ‘condictio indebiti’ con il quale chi ha pagato può ottenere la restituzione.

99 Buttaro L., Del giuoco e della scommessa, in Commentario del codice, Scialoja A.

e Branca G. (a cura di), Bologna, Zanichelli, 1959.

100 Ferri G.B., La neutralità del gioco, in Riv. di dir. comm., vol. XIX, Milano,

Giuffrè, 1975

101 Ex art. 1933 c.p., cit.: “Non compete azione per il pagamento di un debito di

giuoco o di scommessa, anche se si tratta di giuoco o di scommessa non proibiti. Il perdente tuttavia non può ripetere quanto abbia spontaneamente pagato dopo l'esito di un giuoco o di una scommessa in cui non vi sia stata alcuna frode. La ripetizione è ammessa in ogni caso se il perdente è un incapace”.

102 Di Giandomenico G.- Riccio D., I contratti speciali: I contratti aleatori, Torino,

Affinché non si realizzi l’irripetibilità del pagamento sono necessarie quattro condizioni103: il gioco non si è svolto con frode, ci sia stato l’adempimento spontaneo del pagamento, il solvens sia giuridicamente capace all’atto di pagamento, il pagamento avvenga a gioco concluso. Gli artt. 1934 e 1935 c.c. prevedono che l’azione giuridica possa essere applicata ai giochi contenuti nel primo dei due articoli e alle lotterie, ma solo nel caso in cui esse siano state legalmente autorizzate.