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Discriminazione di genere e pari opportunità: la giurisprudenza di legittimità nel quadro della normativa di

I NDIRIZZI DI SALUTO

1. Discriminazione di genere e pari opportunità: la giurisprudenza di legittimità nel quadro della normativa di

settore

Rispetto al tema del Convegno, celebrativo dei 50 anni delle donne in magistratura, la relazione che mi è stata assegnata, in quanto aven-te ad oggetto un’analisi, pur sommaria, della giurisprudenza di legitti-mità, in un’ottica prevalentemente giuslavoristica, qual è quella evo-cata dal sintagma delle “pari opportunità” che si lega al divieto di di-scriminazione di genere, si colloca su un piano collaterale e più gene-rale avendo essa ad oggetto non la donna in magistratura, ma il più ampio tema della tutela della donna e segnatamente del lavoro della donna.

In quest’ottica settoriale la giurisprudenza di legittimità in tema di discriminazione di genere e pari opportunità, pur non cospicua in ter-mini quantitativi, ma di significativa rilevanza per la specificità della materia, si connota innanzi tutto perché si pone in linea di continuità con la giurisprudenza costituzionale.

Il dialogo tra le due Corti appare essere una costante come è leci-to attendersi perché pur essendo, in questa materia, consistente il plesso di disposizioni a livello di normazione primaria, c’è un livello superiore – quello costituzionale – che già esprime canoni che costi-tuiscono ad un tempo parametro di legittimità costituzionale e pre-cetti autoapplicativi. Vi è quindi una naturale tendenza nella giuri-sprudenza di legittimità ad attingere sia al generale principio di egua-glianza “senza distinzione di sesso”, proclamato dall’art. 3, primo comma, Cost., sia al principio di eguaglianza di settore, che è quello espresso dall’art. 37, primo comma, Cost., laddove proclama che “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse re-tribuzioni che spettano al lavoratore”. Da ciò discende un generale di-vieto di discriminazione di genere (eguaglianza formale), presidiato da tali due parametri come disposizioni di diretta applicazione da

parte del giudice comune ed arricchito da un generale obbligo di pro-tezione della “essenziale funzione familiare” e di madre della donna lavoratrice (art. 37, primo comma, Cost.).

Alla eguaglianza formale si accompagna quella sostanziale, diret-ta alla rimozione di quegli osdiret-tacoli di fatto o giuridici che in concreto limitano ancora l’eguaglianza di genere (ex art. 3, secondo comma, Cost.) e che di recente ha trovato un testuale riconoscimento nella l.

cost. 30 maggio 2003, n. 1, che ha aggiunto, nell’art. 51 Cost., la previ-sione che la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini quanto all’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza. Ma il canone delle pari opportunità era già – ed è ancora – desumibile dal secondo comma dell’art. 3 Cost..

Questa forte rete di garanzia a livello costituzionale, che si è sal-data, in epoca di poco precedente la Costituzione, con l’avvenuto rico-noscimento del diritto delle donne di elettorato attivo ha rappresenta-to subirappresenta-to una frontiera avanzata ed innovativa di tutela della donna, laddove invece la successiva legislazione ordinaria si è inizialmente mossa nel più tradizionale solco della protezione della donna lavora-trice; così la legge 26 agosto 1950, n. 860, sulla tutela fisica ed econo-mica delle lavoratrici madri, in linea di continuità con la risalente legge 26 aprile 1934, n. 653, sulla tutela del lavoro delle donne (oltre che dei fanciulli), nonché la legge 9 gennaio 1963, n. 7, modificativa di quella del 1950, che ebbe anche ad introdurre il divieto di licenzia-mento delle lavoratrici per causa di matrimonio. Legge quest’ultima quasi coeva alla l. 9 febbraio 1963, n. 66, che – cinquanta anni fa, come ricorda il tema di questo convegno – ammise la donna ai pubblici uf-fici, compresa la magistratura, ed alle professioni, rimuovendo una vi-stosa discriminazione di genere che, pur dopo la Costituzione, aveva a lungo trovato applicazione.

Ed ancora il legislatore dell’epoca, quando, nel 1970, dettò lo Sta-tuto dei lavoratori, perno della normativa di stampo sociale, con la previsione, tra l’altro, del principio di non discriminazione, pensò alla discriminazione sindacale, politica e religiosa, ma non a quella di ge-nere.

I tempi però erano maturi per una disciplina più avanzata in at-tuazione dei precetti costituzionali di eguaglianza formale e sostan-ziale. Da una parte, sul versante dell’eguaglianza di genere, la fonda-mentale legge 9 dicembre 1977, n. 903, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, che tra l’altro estese, nello Sta-tuto dei lavoratori, il principio di non discriminazione alla

discrimi-nazione di genere. D’altra parte, sul versante delle pari opportunità, la fortemente innovativa legge 10 aprile 1991, n. 125, sulle azioni positi-ve per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro. Tra queste due leggi si colloca poi quella di ratifica ed esecuzione della conven-zione sull’eliminaconven-zione di ogni forma di discriminaconven-zione nei confron-ti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979 (l. 14 marzo 1985, n. 132).

Il complessivo apparato di tutela raggiunge quindi una maggiore incisività ed un ambito più esteso, che vede oggi, a normativa vigente, una formulazione sistematica nel testo unico delle disposizioni legi-slative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità (d.lgs. n. 151 del 2001) e nel codice delle pari opportunità (d.lgs. n. 198 del 2006, da ultimo modificato dal d.lgs. n. 5 del 2010, di attuazione della direttiva 2006/54/Ce relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupa-zione e impiego).

Soprattutto quest’ultimo – il codice delle pari opportunità – si con-nota, quale statuto di eguaglianza della donna, per un’ampia e detta-gliata formulazione del divieto di discriminazione di genere (ben dieci distinte fattispecie di divieti di discriminazione nel solo capo I del ti-tolo I del libro II), che però hanno una valenza di specificazione per-ché comunque ed in ogni caso opera il principio generale di non di-scriminazione di genere di derivazione costituzionale; ed a questo pre-valentemente tende a riferirsi la giurisprudenza di legittimità che quindi, su tale versante, si trova spesso a dialogare con la giurispru-denza della Corte costituzionale sul terreno comune del principio di non discriminazione di genere e di pari opportunità.

L’altro rilievo preliminare che può farsi è che, se sotto il profilo so-stanziale la disciplina ordinaria di tutela della donna e segnatamente della donna lavoratrice si sussume in principi costituzionali di diretta applicazione – ciò che per il giudice comune costituisce anche un ele-mento di semplificazione e di più agevole applicabilità delle tutele – al contrario, sotto il profilo processuale, le vie ed i modi di accesso al giu-dice si presentano plurime e variamente modulate; ciò che può rap-presentare un fattore di complessità sul versante della concreta attua-zione delle tutele, ma anche di completamento ed integraattua-zione delle stesse. Si va dal procedimento ordinario per far valere il divieto di di-scriminazione di genere dello Statuto dei lavoratori (art. 15), al proce-dimento speciale (di natura essenzialmente cautelare) degli artt. 37 e 38 d.lgs. n. 196 del 2006 per l’attuazione della non discriminazione e delle pari opportunità nel lavoro, presidiato anche da una sanzione

pe-nale a garanzia dell’ottemperanza del provvedimento del giudice di in-terdizione del comportamento discriminatorio, al procedimento a co-gnizione sommaria di cui all’art. 28 del d.lgs. 1° settembre 2011, n.

150, per le pari opportunità in materia di accesso a beni e servizi e loro fornitura, e da ultimo al procedimento speciale di repressione del li-cenziamento discriminatorio (non solo di genere) previsto dalla legge Fornero (L. n. 92 del 2012).

Della giurisprudenza di legittimità – per i profili sostanziali, ma con un cenno anche a quelli processuali – ora si viene a dire in riferi-mento ad alcune sue più significative pronunce.

2. Sull’inversione dell’onere della prova della discriminazione