• Non ci sono risultati.

La prossimità al pensionamento come regime differenziato per lavoratori e lavoratrici

I NDIRIZZI DI SALUTO

5. La prossimità al pensionamento come regime differenziato per lavoratori e lavoratrici

Altra ipotesi di possibile discriminazione indiretta è quella che consegue al regime differenziato dell’età pensionabile per lavoratori e lavoratrici.

Cass. 24 aprile 2007, n. 9866, ha affermato che in materia di li-cenziamenti collettivi disciplinati dalla Legge n. 223 del 1991 e di scel-ta del personale in esubero, deve ritenersi razionalmente giustificato il ricorso al criterio della prossimità al trattamento pensionistico, senza che assuma rilievo la circostanza che non sia operata alcuna

distin-zione tra pensione di anzianità e di vecchiaia, con conseguente coin-volgimento di tutti i lavoratori, dovendosi operare il raffronto con i la-voratori più giovani; né rileva il mancato rilievo della differenza di ge-nere pur potendo le lavoratrici essere svantaggiate in considerazione dei meno elevati limiti di età richiesti per il loro pensionamento, do-vendo la posizione di queste ultime essere riguardata in relazione a quella delle altre donne e degli altri uomini che non possono accedere alla pensione. In conseguenza di ciò, si è ritenuto essere esclusa la vio-lazione del principio di non discriminazione, diretta ed indiretta, ri-chiamato dall’art. 8 d.l. 20 maggio 1993, n. 148, conv. in l. 19 luglio 1993, n. 236.

Anche Cass. 21 settembre 2006, n. 20455, ha ritenuto che il crite-rio del prepensionamento applicato in osservanza di accordi sindacali e congiuntamente con il criterio produttivo risponde a indubbi criteri di razionalità, tenuto conto delle finalità perseguite mediante l’attua-zione del procedimento regolato dagli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991. È stata quindi confermata la sentenza impugnata che aveva ri-gettato l’impugnativa del licenziamento di una lavoratrice inserito nel-l’ambito di una procedura collettiva ai sensi dell’art. 4, comma terzo, della citata legge n. 223 del 1991, fondata sulla prospettata illegittimità del ricorso al criterio, indifferenziato per uomini e donne, di raggiun-gimento dell’età pensionabile (conf. Cass. 22 marzo 2001, n. 4140).

Analogamente Cass. 30 maggio 1989, n. 2597, ha confermato una pronuncia che aveva escluso il carattere discriminatorio del licenzia-mento collettivo, rilevando che la risoluzione del rapporto del perso-nale femminile al compimento del cinquantacinquesimo anno di età obbediva solo al fine di consentire ai vari dipendenti il conseguimen-to di particolari benefici previsti (all’epoca) al raggiungimenconseguimen-to dei trentacinque anni di contribuzione o dell’età pensionabile.

Invece Cass. 13 aprile 1981, n. 204 (ord.), aveva ritenuto non ma-nifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del-l’art 16 della legge n. 1450 del 1956, in relazione aldel-l’art. 11 della legge n. 604 del 1966, sul trattamento di previdenza per gli addetti ai pub-blici servizi di telefonia in concessione che disponeva che avessero di-ritto alla pensione gli iscritti al fondo che potessero far valere almeno quindici anni d’iscrizione e che avessero compiuto l’età di anni ses-santa, se uomini, e cinquantacinque, se donne per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 37 primo comma, della Costituzione, consen-tendo il citato art. 16 un diverso trattamento per gli uomini e per le donne in contrasto con il principio della parità giuridica e salariale a parità di lavoro. Questione che la Corte costituzionale ha accolto: cfr.

sent. n. 137 del 1986 che ha dichiarato illegittima la normativa censu-rata nella parte in cui prevedeva il conseguimento della pensione di vecchiaia e, quindi, il (possibile) licenziamento della donna lavoratri-ce per tale motivo, al compimento del cinquantacinquesimo anno di età anziché al compimento del sessantesimo anno come per l’uomo.

D’altra parte è vero che la stessa Corte costituzionale (sent. n. 268 del 1994) ha ritenuto razionalmente giustificato, negli accordi sinda-cali sui criteri di scelta del personale destinatario di procedure di esu-bero, il ricorso al criterio della prossimità al trattamento pensionisti-co. Ma la giustificatezza in sé del criterio non esclude in realtà che possa esserci una discriminazione indiretta in danno delle lavoratrici che di fatto si ritrovano ad essere maggiormente esposte a procedure di mobilità e a licenziamenti collettivi di tal fatta.

C’è poi da ricordare che il divieto di discriminazione in ragione della diversa soglia di età pensionabile per lavoratori e lavoratrici si ri-trova affermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 498 del 1988) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della richiamata legge n. 903 del 1977 “nella parte in cui subordina il diritto delle lavo-ratrici, in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia, di conti-nuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali, al-l’esercizio di un’opzione in tal senso, da comunicare al datore di lavo-ro non oltre la data di maturazione dei predetti requisiti”.

Dopo tale pronuncia l’art. 4 cit. è in realtà rimasto in vigore ed ha continuato a prevedere l’onere di comunicazione, ma il diritto alla prosecuzione del rapporto non è stato più subordinato – per effetto della sent. n. 498/88 – all’adempimento di tale onere, che, depotenzia-to, è rimasto come mera obbligazione strumentale riferibile più in ge-nerale agli obblighi di correttezza e buona fede. La giurisprudenza di legittimità è stata nel senso che la tutela nei confronti dei licenzia-menti illegittimi si applicasse anche alla lavoratrice che non avesse fatto la previa comunicazione dell’intenzione di proseguire il rapporto di lavoro fino a 65 anni (v. Cass. n. 6535 del 2003).

Il codice per le pari opportunità (nell’art. 30) ha riprodotto – e non poteva che riprodurla dovendo riunire e coordinare le disposizioni vi-genti in materia – tale disposizione “ridimensionata” nella sua portata dalla sent. n. 498 del 1988. Però il legislatore delegato, violando il giu-dicato costituzionale (e la delega), ha reintrodotto il condizionamento dell’applicabilità della disciplina di tutela nei confronti dei licenzia-menti all’adempimento dell’onere della preventiva comunicazione da parte della lavoratrice.

La Corte costituzionale (sent. n. 275 del 2009) è quindi dovuta in-tervenire ulteriormente dichiarando l’illegittimità costituzionale del-l’art. 30 del codice delle pari opportunità nella parte in cui prevede, a carico della lavoratrice che intenda proseguire nel rapporto di lavoro oltre il sessantesimo anno di età, l’onere di dare tempestiva comuni-cazione della propria intenzione al datore di lavoro, da effettuarsi al-meno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia, e nella parte in cui fa dipendere da tale adem-pimento l’applicazione al rapporto di lavoro della tutela accordata dalla legge sui licenziamenti individuali.

La prossimità all’età pensionabile è stata oggetto anche di un’altra disciplina differenziata di genere. L’art. 17, n. 4 bis, d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (disposizione introdotta nel 1997 e poi abrogata del 2006) ha previsto un beneficio fiscale differenziato per lavoratori e lavora-trici al fine di incentivarne l’esodo. Ha infatti previsto che per le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori che abbiano superato l’età di 50 anni se donne e di 55 anni se uomini, di cui all’articolo 16, comma 1, lettera a), l’imposta si applica con l’aliquota pari alla metà di quella ap-plicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennità e somme indicate alla richiamata lettera a) del comma 1 del-l’articolo 16.

Questa disposizione è stata ritenuta contrastante con il principio di non discriminazione di genere a livello di normativa dell’Unione eu-ropea (Corte giustizia UE, 16 gennaio 2008, n. 128/07-131/07). La con-seguenza è la disapplicazione della normativa nazionale, fonte di tale discriminazione indiretta, con parificazione del trattamento tributario più favorevole.

6. Ulteriori ipotesi di discriminazione di genere nella casistica