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Le misure positive e promozionali

I NDIRIZZI DI SALUTO

4. Le misure positive e promozionali

Nella convinzione che il riequilibrio tra i generi nella composizio-ne delle liste fosse utile al ficomposizio-ne di contrastare l’esclusiocomposizio-ne delle doncomposizio-ne dalla vita politica, il Parlamento decise di intervenire attraverso una riforma costituzionale che consentisse poi la reintroduzione di una le-gislazione simile a quella dichiarata incostituzionale con sentenza n.

422 del 1995.

Quindi – dopo che in occasione della riforma del titolo V, il legi-slatore costituzionale aveva già introdotto all’art. 117, comma 7 il principio per cui «le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che im-pedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive» (e una previsione simile è contenuta per le Regioni a Statuto speciale nella legge costituzionale n. 2 del 2001), con legge costituzionale n. 1 del 2003 fu aggiunto all’art. 51, comma 1, della Costituzione un secondo periodo in base al quale, in relazione al-l’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, «[…] la Repubblica

promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».

Tale norma – secondo quanto affermato dalla Corte costituziona-le con ordinanza n. 39 del 2005 – «non si limita più a disporre che “la diversità di sesso, in sé e per sé considerata, non può essere mai ra-gione di discriminazione legislativa” e, quindi, a costituire una sorta di specificazione del principio di uguaglianza enunciato, a livello di prin-cipio fondamentale, dall’art. 3, primo comma, Cost., ma assegna ora alla Repubblica anche un compito di promozione delle pari opportu-nità tra donne e uomini».

In vero, anche prima che la modifica dell’art. 51 Cost. giungesse a compimento, la Corte costituzionale aveva già mostrato di discostarsi dall’eguaglianza intesa come “indifferenza” alle differenze in materia di rappresentanza politica, in occasione dell’impugnazione della legge valdostana per l’elezione del Consiglio regionale, la quale prevede che entrambi i sessi devono essere rappresentati nelle liste elettorali. La Corte, con sentenza n. 49 del 2003 (pronunciata nel febbraio 2003, mentre la modifica dell’art. 51 Cost. è del successivo marzo) ha di-chiarato la questione infondata, in quanto «il vincolo resta limitato al momento della formazione delle liste, e non incide in alcun modo sui diritti dei cittadini, sulla libertà di voto degli elettori e sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizio-ne elettorale, né sul carattere unitario della rappresentanza elettiva»

per cui «la misura disposta può senz’altro ritenersi una legittima espressione sul piano legislativo dell’intento di realizzare la finalità promozionale espressamente sancita dallo statuto speciale in vista del-l’obiettivo di equilibrio della rappresentanza».

Più di recente, poi, con sentenza n. 4 del 2010, la Corte costituzio-nale, investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, legge regionale della Campania n. 4 del 2009 sulla “prefe-renza di genere”, l’ha rigettata, affermando che «il quadro normativo, costituzionale e statutario, è complessivamente ispirato al principio fondamentale dell’effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello spirito dell’art. 3, secondo comma, della Costituzione, che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica del Paese». La Consulta ha poi pre-cisato che «i mezzi per attuare questo disegno di realizzazione della parità effettiva tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive pos-sono essere di diverso tipo». Tra questi, la Corte ricorda di avere esclu-so, con sentenza n. 422 del 1995, quelli che «non si propongono di

“ri-muovere” gli ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere de-terminati risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei risultati medesimi», lasciando però aperte molteplici altre opzioni.

Considerazioni conclusive

Abbiamo introdotto questo breve excursus sulla giurisprudenza costituzionale in materia di pari opportunità parlando di un lento e fa-ticoso cammino.

Se paragoniamo le ultime battute della giurisprudenza costituzio-nale al punto di partenza e alle difficoltà apparentemente insormon-tabili emerse durante i lavori dell’Assemblea del Costituente, appare evidente il grande sviluppo dell’ordinamento italiano, frutto del con-tributo di una molteplicità di istituzioni: del legislatore, del legislatore costituzionale, di tante istituzioni che non abbiamo potuto menziona-re, e anche della Corte costituzionale.

Se, però, guardiamo alle statistiche e ci paragoniamo alla situa-zione di altri paesi, si comprende che il cammino che resta da com-piere è ancora assai lungo. Da che cosa, dunque, dipende questo scol-lamento tra l’ordinamento giuridico e i dati della realtà?

Come abbiamo visto, il nostro ordinamento costituzionale non è privo di un ampio ventaglio di strumenti giuridici – dai fondamentali divieti di discriminazione, via via fino alle “quote” o alle azioni positi-ve, passando per una gamma ricca di sfumature e di misure flessibili – che possono sostenere le ragioni dell’eguaglianza tra donne e uomi-ni, in chiave sia difensiva, sia promozionale. Gli strumenti giuridici per stimolare una più consapevole cultura dell’eguaglianza non man-cano; anzi, sono ricchi e articolati.

Accanto ad un patrimonio intangibile di “conquiste” – quale la ri-mozione di normative apertamente discriminatorie – il cammino del-l’eguaglianza porta con sé la necessità di una incessante modulazione e rimodulazione di alcune forme di tutela. Ferma la necessità di pre-servare l’Ordinamento indenne da ogni forma di discriminazione, oc-corre non dimenticare che gli altri strumenti dell’eguaglianza sono, in-vece, sensibili al contesto storico, sociale e culturale. Alcuni tipi di mi-sure – come ad esempio, l’affirmative action, possono rivelarsi neces-sari e utili in determinati frangenti storici, ma superflui, sproporzio-nati o controproducenti al mutare delle circostanze, come il dibattito americano sul punto ha da tempo messo in rilievo.

L’eguaglianza è, dunque, un concetto dinamico e richiede alle au-torità giudiziarie e alle istituzioni tutte l’impegno dell’instancabile ri-cerca di un equilibrio che impedisca alla differenza di trasformarsi in discriminazione e all’eguaglianza in indifferente uniformità.

Soprattutto, l’eguaglianza effettiva è sì sostenuta e preservata da una rete di principi e norme giuridiche indispensabili, ma trova il suo principale nutrimento nel tessuto sociale e nell’atmosfera cultu-rale che si respira in una data società: di qui la centralità del fattore educativo, da cui anche i più alti principi giuridici e costituzionali dipendono, per potersi pienamente dispiegare sul piano dell’effetti-vità.

La giurisprudenza di legittimità in tema di discriminazione di genere e pari opportunità

Dott. Giovanni AMOROSO

Consigliere della Corte Suprema di Cassazione

1. Discriminazione di genere e pari opportunità: la