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La violenza di genere nella società attuale

I NDIRIZZI DI SALUTO

Laura BOLDRINI

Presidente della Camera dei Deputati

Mi spiace che altri concomitanti impegni mi impediscano di esse-re con voi, ma ci tengo ugualmente ad esprimeesse-re il mio appesse-rezzamen- apprezzamen-to per l’iniziativa che ricorda una svolta davvero epocale nella società italiana di 50 anni fa. Se oggi ho l’onore di rivolgermi a voi da Presi-dente della Camera è anche grazie alla determinazione delle donne che in quel tempo lontano seppero far fare al Paese un fondamentale passo in avanti.

Le ricorrenze aiutano a misurare la molta strada fatta e quella non meno lunga ancora da compiere, i diritti che abbiamo conquistato noi e quelli che ancora devono essere riconosciuti alle donne in troppe altre parti del mondo. Sappiamo che nessuna vera parità potrà mai es-sere celebrata se non sradicheremo un fenomeno drammatico come la violenza che con tanta diffusa brutalità ancora oggi colpisce le donne.

Parlare di emergenza è furviante, il problema è profondo, strutturale, culturale, richiede perciò risposte non episodiche ben oltre lo sdegno per i singoli casi.

È per questa ragione che il nostro Parlamento ha messo tra i primi provvedimenti della nuova legislatura la ratifica della Convenzione di Istanbul avvenuta con voto unanime il mese scorso alla Camera e al Senato, un segnale importante ma soltanto un primo segnale. Ora è necessario varare una legge di attuazione della Convenzione che abbia la copertura finanziaria necessaria a permettere concreti interventi di sostegno: i soldi per rifinanziare case-rifugio e centri antiviolenza de-vono essere trovati.

Al tempo stesso è importante capire come possano funzionare meglio le norme presenti nella nostra legislazione. È fondamentale che le donne che denunciano abbiano la certezza di avere giustizia e di averla in tempi ragionevoli; al momento ciò non avviene, sia per un quadro giuridico frammentato sia per le sanzioni spesso poco effica-ci comminate agli aggressori, ed è essenziale, questo chiedono molte associazioni, che negli uffici giudiziari si organizzino strutture dedi-cate che si potranno certamente avvalere di un particolare contribu-to di competenza e sensibilità delle donne che operano nella magi-stratura.

Non meno fondamentale, infine, è il lavoro culturale da compiere insieme per arginare l’utilizzo del corpo della donna nella pubblicità e nella comunicazione. Continuerò ad insistere su questo tema, perché sono convinta che sia più breve il passo che porta alla violenza se ri-mane dominante il messaggio che riduce la donna ad oggetto utile solo a vendere altri oggetti.

Vi ringrazio dell’attenzione e spero di avere presto un nuova occa-sione di confronto anche sulle proposte che emergeranno dall’incon-tro di oggi.

Emma BONINO

Ministro degli Affari Esteri

Mi scuserete se sarò breve. Come forse sapete è un periodo impe-gnativo e la mia giornata è molto complessa, sia per la situazione egi-ziana che richiede tutta la nostra attenzione, sia per la visita della de-legazione libica in Italia che per un’audizione in Parlamento fissata più tardi.

Mi fa piacere vedere questa sala e mi fa quindi piacere esserci. Vo-levo in realtà dirvi tre cose: abbiamo ratificato la Convenzione di Istanbul ma sappiamo bene che è solo l’inizio; siamo stati anche i primi, per esempio, a ratificare la Corte penale internazionale, ma ab-biamo impiegato più di dieci anni per recepirla nel diritto interno, quindi ritengo necessario mantenere alta l’attenzione. In realtà, oltre che i cinquant’anni delle donne in magistratura che si stanno cele-brando, a me piacerebbe celebrare, spero tra poco, i cinquant’anni delle donne nella diplomazia. Anche quello è stato un altro passaggio importante e tra le mie priorità c’è quella di promuovere il patrimonio al femminile. In diplomazia le donne sono entrate tardi, ed anche se ora sono molto numerose sono però all’inizio della carriera per cui, per esempio, dovendo effettuare un passaggio diplomatico di amba-sciatori sono riuscita a trovarne non molte che avessero maturato l’e-sperienza richiesta per poter essere nominate ambasciatori per cui soltanto due sono state nominate. Questo solo per dire come veniamo da lontano ma abbiamo ancora moltissimo da fare, e in particolare nella nuova veste di Ministro degli Esteri cerco di considerare la que-stione femminile in tutti i dossier che mi trovo ad affrontare, l’ho ri-badito stamattina al Primo Ministro Ali Zidan perché sono assoluta-mente convinta che il velo non costituisce differenza; una mia amica egiziana mi dice sempre che avere il capo coperto non vuol dire avere il cervello atrofizzato e che dovremmo rispettare il perché lo indossa e anche il perché lo toglie. Ho un’altra assistente egiziana che invece ha una montagna di capelli, fierissima, insomma dovremmo accettare anche noi, credo, le differenze e rispettarle anche nel loro percorso di emancipazione e di affermazione.

Un’altra cosa importantissima di cui sono veramente contenta è che si sia iniziata ad affrontare anche in Italia la questione della vio-lenza sulle donne. Qualcuno ha detto che in un teatro di guerra è più

pericoloso essere donna che essere soldato e in effetti è vero ne sono testimonianza le cifre di quante sono le donne, in particolare nei tea-tri di conflitto, violentate, stuprate eccetera. In realtà la stessa percen-tuale è superiore ai soldati che vengono uccisi. Così come in Italia sul

“femminicidio” al di là che a qualcuno piaccia o non piaccia – spero che non perderemo tempo a polemizzare sul vocabolo, ma saremo tutte sufficientemente adulte per capire che cosa esso sottintende – sa-premo andare avanti su di una polemica che non ci porta da nessuna parte, affrontando quello che è un vero e proprio tabù anche sociale che è quello della violenza domestica ed è vero che molto spesso si ha come un pudore di denunciare la violenza domestica, un po’ perché abbiamo la sindrome dell’io ti salverò, un po’ per “Ma mi vuole tanto bene”. Non è così; credo che questo sia un alibi che dobbiamo davve-ro superare e pensare, sapere innanzitutto noi, dentdavve-ro di noi, con grande forza che la violenza non è giustificabile per nessun pretesto – non per nessun motivo ma per nessun pretesto – senza pretendere però altrettanto dall’altra parte che tutte immediatamente abbiano il co-raggio di denunciare pubblicamente. Questo come sapete è un antico dibattito che va avanti nel mondo femminile e cioè se tutte immedia-tamente e indistinimmedia-tamente debbano avere la forza e il coraggio di de-nunciare subito pubblicamente. Credo che dobbiamo sostenere e aiu-tare le donne che ne hanno bisogno ma anche rispetaiu-tare in qualche modo le loro fragilità, il tempo di crescita, di maturazione di ciascu-na, i tempi anche del contesto sociale dove vivono, senza ergerci a giu-dici, cosa che trovo particolarmente sgradevole. Ci sono delle fragilità al femminile che vanno aiutate e supportate senza pretendere che ognuno si comporti nel modo identico in cui si comporta quell’altra.

Infine non voglio predicare a un pubblico che è già convinto di suo, ma io credo che qualunque posto al mondo si valuti – come tutti i Ministri studio tutti i dossier: quanto è il prodotto interno lordo, quanto esportano, quanto guadagnano – c’è un indicatore che ti dice subito di che Paese si tratti che è l’indicatore della presenza femmini-le, ed è una bussola che non tradisce mai. Ci sono indicatori come il prodotto interno lordo o la distribuzione del reddito che non sono si-gnificativi quanto altri criteri che non tradiscono mai quale la presen-za al femminile nel mondo del lavoro, nelle libertà individuali, nel di-ritto all’eredità, nel didi-ritto alla proprietà. Sono veramente criteri di base, rivelano esattamente lo stato di democrazia e di sviluppo umano di un paese. Come pure il carcere, che è davvero una cartina di torna-sole sulla democraticità di un paese, sul rispetto delle regole e quindi dei cittadini e delle cittadine in questo caso.

L’impegno rivolto al mondo al femminile non può essere conside-rato un impegno settoriale, un impegno di categoria; sono convinta che occuparsi invece di valorizzazione del patrimonio femminile sia un tema nazionale, non ci si occupa di una categoria ancorché di mag-gioranza, ci si occupa esattamente del paese che si ha di fronte.

Infine solo una raccomandazione, non crediate sia facile occupa-re posti di “poteoccupa-re”. “Poteoccupa-re non è una cosa di per sé negativa, sia esso nel giornalismo, in politica dipende da come lo si usa. In tutti i con-vegni mi sentirete dire: sono abbastanza senior, credo di essere la zia di tutte voi; mi diranno: “Ma che bello, ma che magnificenza, ma certo, senza di voi come faremmo”, eccetera. Il problema sorge quan-do dalla lista bisogna fare delle nomine di rilievo: ad esempio chi di-venta Presidente della Repubblica, chi va al CSM, a quel punto è pure peggio perché non ci sono candidate. Vi dico solamente che se volete un posto qualunque di potere è certo che è già occupato e normal-mente è occupato da un maschietto. Se si desidera arrivare ad occu-parlo bisogna accompagnare un maschietto, in modo più o meno de-licato, lasciarlo libero e questo dipenderà francamente solo da noi;

non crediate che qualcuno ve lo ceda gratis, non è così, o decidiamo di strapparli questi posti oppure davvero non ve li cederà nessuno.

Infine per chi è assunto ed ha ruoli di vario tipo, non dimentica-tevi delle altre donne giovani e meno giovani che esistono in questo paese e nel mondo. Ho visto troppe amiche che sono arrivate ed im-provvisamente hanno girato pagina. Le rispetto ma, per favore, non lo fate.

Paolo AURIEMMA

Presidente pro tempore del Comitato per le pari opportunità in magi-stratura

Con grande entusiasmo e cordialità porto il saluto del Comitato Pari Opportunità in Magistratura, che ho attualmente l’onore di pre-siedere.

Prendo parte, davvero con vivo interesse, ai lavori di questo im-portante Convegno, che, dopo la prima sessione dedicata al tema della donna in magistratura, si indirizza adesso all’analisi del delicato pro-blema della violenza di genere.

L’allarmante diffusione di questo fenomeno, in tutto il complesso tessuto sociale ed all’interno dei più svariati contesti ambientali, solle-cita innanzi tutto un approccio conoscitivo attento a cogliere gli aspet-ti purtroppo di ordinarietà delle dinamiche di violenza sulle donne, non confinabili al solo perimetro della devianza o della psicopatologia.

Ad uno sguardo d’insieme, ben si comprende che l’oltraggio alla femminilità, variamente perpetrato, trova origine in una distorsione culturale, radicata nella coscienza comune, e quindi particolarmente insidiosa e difficile da estirpare.

Infatti, questo tipo di brutalità non è una delle tante forme comu-ni di violenza; la violenza sessuale è quella inflitta da un genere con-tro un alcon-tro, proprio come conseguenza dell’appartenenza al genus, peraltro in modo sempre unidirezionale, cioè tendenzialmente solo dagli uomini contro le donne.

Per usare le icastiche parole della Dichiarazione delle nazioni unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993, “La violenza contro le donne è una manifestazione delle relazioni di potere storicamente disuguali tra uomini e donne, che ha portato alla domina-zione e alla discriminadomina-zione contro le donne da parte degli uomini e ha impedito il pieno avanzamento delle donne, e […] è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posi-zione subordinata rispetto agli uomini.”

Dunque, la violenza di genere come frutto della disuguaglianza e, a propria volta, come strumento per perpetuare una situazione di di-sparità.

Proprio per la connotazione specifica di questo fenomeno, che ri-sale, nel profondo, ad uno squilibrio tra le persone e ad una

disfun-zione della società, oggi non è più rinviabile l’avvio di un percorso serio e profondo di rigenerazione.

La spinta al rinnovamento deve necessariamente involgere tutto il sistema, nei diversi possibili livelli d’intervento, non esclusi quello sco-lastico e quello istituzionale, e deve sapersi esprimere in misure con-crete di rifondazione di un sano, equilibrato e pacifico rapporto tra i sessi.

Ma una qualsiasi forma di pacificazione tra i sessi, per risultare una conquista reale, cioè strutturale e durevole, impone, in via preli-minare, la ridefinizione radicale delle identità di genere, secondo pa-rametri adeguatamente bilanciati ed in aderenza alle rispettive speci-ficità.

Ciò che si richiede è, dunque, un itinerario di revisione dello statu-to identitario femminile e, simmetricamente, di quello maschile, nei tanti momenti salienti della vita della persona: dall’assunzione delle re-sponsabilità genitoriali, alla distribuzione dei diversi poteri; dal rias-setto dei ruoli famigliari al riconoscimento delle autorità; dal concorso nei doveri di assistenza alla pari partecipazione ai processi decisionali.

Le coscienze devono essere richiamate continuamente all’idea, ben corrispondente alla realtà, che la differenza non vada mai neutra-lizzata, mai negata. La diversità non è un disvalore, ma una risorsa preziosa per la realizzazione di un ordine culturale, sociale, professio-nale ed economico più ricco e solido.

Se raggiunta, questa catarsi culturale e sociale della relazione uomo-donna, può davvero essere il miglior puntello di sostegno per ogni ulteriore strategia di prevenzione della violenza.

Il Comitato Pari Opportunità in Magistratura, nel perimetro delle sue competenze, sta portando avanti da tempo una serie di iniziative proprio indirizzate a raggiungere gli obiettivi culturali ed organizzati-vi che ho sopra sinteticamente richiamato, con un’attenzione inces-sante al rilevamento diretto, dalla base, dei reali fabbisogni di vita.

Questo prezioso Organismo certamente continuerà, nell’ambito dei suoi scopi istituzionali, ad assolvere, con fermezza e convinzione, al proprio impegno, assicurando ogni migliore contributo di sostegno alla cultura di genere.

Credo che i singoli contributi offerti quotidianamente dalle singo-le Istituzioni e dal Paese, nella direzione della pacificazione identita-ria, possono sinergicamente conseguire decisivi passi avanti nell’affer-mazione della cultura delle pari opportunità, in una visione della fa-miglia e della società dove il genere sia valorizzato quale ricchezza della diversità.