1585-B, vale a dire il 59 del testo costituzionale, il dibattito in seno alla Costituente che condusse alla formulazione della versione definitiva, si colloca e si fonde con il più articolato dibattito sulla natura della seconda Camera appena esposto.
130 Cfr: F. CUOCOLO, Bicamerale atto primo: il progetto di revisione costituzionale, Milano Giuffrè, 1997, p. 27.
93 Appurato che la seconda Camera funga da freno alla prima all’interno del procedimento legislativo, nel senso di dar vita ad un atto legislativo ponderato e ragionato, si registra un sentimento comune a più forze politiche, vale a dire c’è convergenza nel ritenere auspicabile la nomina di un numero ristretto di Senatori da parte del Presidente della Repubblica in virtù dei loro meriti.
Il numero deve essere ristretto, poiché non si ha intenzione di sottrarre la seconda Camera alla dinamica del suffragio universale; quest’ultima, al pari della prima, dovrà vivere grazie il meccanismo del suffragio.
Tra i sostenitori di una parte ben ristretta di Senatori di nomina presidenziale, è possibile collocare Luigi Einaudi 132, il quale oltre a ritenere necessario un numero molto basso e fisso di onorevoli nominati con queste modalità, propose che si dovesse delimitare il perimetro entro il quale far ricadere la nomina fissando delle categorie ben precise all’interno delle quali, essa potesse avvenire, evitando così anche il pericolo di «infornate». Il numero ideale venne fissato in dieci in un primissimo momento.
Un gruppo parlamentare entusiasta della configurazione di questo gruppo di senatori nominati direttamente dal Capo dello Stato fu quello della Democrazia Cristiana. Gaspare Ambrosini, ad esempio, ritenne insensato privarsi di personalità di valore e meritevoli solo perché al di fuori del circuito politico ed elettorale a causa del loro ufficio.
Gaspare Bulloni (Dc) giustificò la nomina tramite queste modalità con il fatto che il Presidente della Repubblica non potesse avere un mero ruolo decorativo, ma che se l’intenzione fosse stata quella di avere Esecutivi stabili, non si sarebbe potuto prescindere dal dotare il Capo dello Stato di poteri di questi tipo.
132 Atti Ass.Cost, Comm. per la Cost., II sottocomm, resoc. somm, 24 settembre
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Fu ritenuta essenziale e necessaria una visione non politica all’interno della compagine senatoriale, espressa da questa piccola aliquota di Senatori. Ai fini dei un’attività legislativa il più completa possibile, parve imprescindibile l’apporto di personaggi illustri, preparati e con grande esperienza, per lo più fuori dagli schemi politici e partitici133. Non si ritenne quindi la nomina presidenziale lesiva del principio democratico.
Interessante l’opinione espressa dal liberale Alfonso Rubilli nel suo intervento nella seduta del 12 settembre 1947. Egli si professò contrario ad un Senato totalmente elettivo, ritenendo giusto che una componente, seppur minima, fosse sottratta dai giochi elettorali e partitici. Parte quindi la digressione sul ruolo del partito, che domina la scena italiana da sempre, la società però non si esaurisce tutta quanta nell’appartenenza ad una forza politica piuttosto che ad un’altra. C’è un mondo di personalità che non militano all’interno dei partiti e non è giusto che non abbiano voce in capitolo solo perché al di fuori dei «capricci elettorali». Vi è proprio un richiamo al criterio di giustizia, il quale sembra imporre di tenere in considerazione anche soggetti che possono rendersi utili e preziosi per la Nazione indipendentemente dal loro attivismo in campo politico e partitico.
Non mancarono voci contrarie alla nomina presidenziale di una parte ristretta di Senatori, provenienti per lo più dalle fila del gruppo parlamentare comunista.
Si ritenne che una nomina dall’alto sarebbe stata lesiva della volontà popolare e soprattutto avrebbe ricollocato la nuova Repubblica democratica all’interno dell’impianto monarchico, dove il Senato era integralmente di nomina regia 134.
133 Si veda l’intervento di Alfonso Rubilli del gruppo liberale in Atti Ass.Cost, resoc.
somm, 6 marzo 1947, pp. 1792-1793.
134 Si veda l’intervento di Vincenzo La Rocca in Atti Ass.Cost, Comm. per la Cost.,
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Ci sono altre ragioni135 a sostegno della contrarietà alla nomina presidenziale o a quella per cooptazione. Si rievocherebbe quanto accadeva nel Senato prefascista quando i candidati ministeriali caduti alle elezioni, venivano nominati Senatori. In questo modo verrebbero chiamati a far parte della seconda Camera personalità che il suffragio universale non avrebbe eletto o non sarebbero neanche state designate. Per queste motivazioni nel nuovo ordinamento repubblicano non fu ritenuto ammissibile un tale meccanismo di nomina.
La nomina presidenziale venne concepita dal Presidente Terracini come una elezione di terzo grado e quindi un problema di principio. Parlare di volontà e scelta popolare di fronte ad una siffatta nomina fu ritenuto un artifizio e soprattutto una esasperazione «annichilitrice del sistema». Questi i motivi che portarono Terracini ad osteggiare un meccanismo di questo tipo; inoltre espresse la sua contrarietà anche nei confronti della riserva per le alte cariche dello stato -come fu proposto- di ingresso di diritto nel Senato, anzi ritenne opportuno la previsione di incompatibilità tra le funzioni di tali cariche e l’appartenenza all’organo legislativo.
Francesco Saverio Nitti fu portavoce di quella corrente secondo la quale -fermo restando la contrarietà nei confronti della nomina presidenziale- determinate personalità, come gli ex Presidenti della Repubblica e del Consiglio dovessero far parte di diritto del nuovo Senato sulla base di una continuità con l’esperienza del passato e ciò fu concepito come una cosa ben lontana dall’arrecare un vulnus al principio del suffragio universale.
Si registra un’ulteriore proposta136, cioè quella per la quale, all’interno
di un Senato per lo più elettivo, tra i membri designati dal Capo dello Stato devono essere annoverati non solo gli ex Presidenti della
135 Si veda l’intervento di Riccardo Ravagnan in Atti Ass.Cost, Comm. per la Cost.,
II sottocomm, resoc. somm, 7 settembre 1946, pp.147-148.
136 Si veda l’intervento di Attilio Piccioni (Dc) in Atti Ass.Cost, Comm. per la Cost.,
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Repubblica e quelli del Consiglio, ma anche i più alti magistrati, i quali concorrerebbero alla formazione delle leggi con un notevole contributo. Questa possibilità scatenò reazioni indignate137, secondo le quali un Senato composto da alte e rappresentative figure dello Stato, tra cui i magistrati, poteva veicolare l’idea di una seconda Camera più importante ed in una posizione di preminenza rispetto alla prima, scenario non concepibile data la scelta per un bicameralismo perfetto e paritario.
Infine, c’è chi138 propose che la nomina di personalità illustri e
meritevoli spettasse non al Capo dello Stato, ma alle singole Assemblee regionali, con il risultato che ad ogni Regione spettasse l‘individuazione di un cittadino eminente, che avrebbe sicuramente rappresentato una ricchezza ed un surplus di saggezza all’interno della neo-seconda Camera.
Appurato il largo favore per la nomina presidenziale, restava da comprendere di più circa la durata della nomina. Tra le due alternative, nomina temporanea o a vita, la seconda la spuntò, peraltro sostenuta da Costantino Mortati (Dc), ma non mancò chi ritenne meritevoli di sedere nel Senato a vita solo gli ex Capi dello Stato.
Al momento delle votazioni la maggioranza votò per considerare gli ex Presidenti della Repubblica senatori di diritto a vita, salvo rinuncia, mentre invece non fu approvato l’emendamento secondo il quale dovessero essere considerati tali anche gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative della Repubblica. Infine, rimaneva da sciogliere il nodo circa il numero di Senatori di nomina presidenziale, specificando che a questi non sarebbe spettata la qualifica di senatori di diritto, ma da di figure insigni nei campi più
137 Si veda l’intervento di Emilio Lussu (Gruppo Autonomista) in Atti Ass.Cost,
Comm. per la Cost., II sottocomm, resoc. somm, 26 settembre 1946, p.290.
138 Si veda l’intervento di Gennaro Patricolo (Gruppo Misto) in Atti Ass.Cost,
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disparati, da quello sociale a quello letterario e scientifico, scelte a vita dal Presidente della Repubblica in carica.
C’erano state svariate proposte riguardo la quota di Senatori nominabili dal Capo dello Stato, tutte concordi per un numero basso ai fini di non tradire il suffragio universale.
Alla fine, si optò per il ristrettissimo numero di cinque Senatori che potevano essere nominati a vita dal Quirinale, sulla base dell’assunto secondo il quale il Senato non poteva diventare un’Accademia 139
Da qui ha origine la querelle decennale circa l’interpretazione del numero cinque, esposta nelle sezioni precedenti, e risolta soltanto con la Riforma A.C 1585-B, il cui testo è in attesa della conferma tramite la consultazione referendaria.
7. Nuovo scenario, riforme antiche? I tentativi passati di