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L’elezione dei Giudici costituzionali e l’elezione dei membri del

Oltre che nel momento di elezione del Presidente della Repubblica, il Parlamento costituisce un collegio elettorale in almeno altre due occasioni. La prima è quella nella quale si ritrova ad eleggere 1/3 dei giudici della Corte costituzionale ex art 135 Cost. Poi questa sua funzione torna di nuovo all’art 104 Cost., ai sensi del quale il Parlamento in seduta comune è chiamato ad eleggere 1/3 dei membri del Consiglio superiore della magistratura. I quorum richiesti da queste due disposizioni costituzionali sono calcolati unicamente sul totale dei parlamentari, escludendo una delegazione come quella vista all’art 83 Cost.

159 Possiamo immediatamente anticipare che un Parlamento ridotto di 1/3 non genera effetti problematici sui meccanismi di elezione che andremo a vedere; infatti cambieranno solo le maggioranze richieste, ma senza alterare gli equilibri come nel caso dei delegati regionali. Si verificherà che, diminuendo i componenti del collegio, si ridurrà in modo proporzionale anche il numero dei deputati e senatori necessari per il raggiungimento dei quorum richiesti e questo non suscita particolari preoccupazioni.

Andando più nello specifico, l’art 135 Cost. prevede una composizione mista per i 15 giudici della Corte costituzionale, vale a dire 5 nominati dal Capo dello Stato, 5 nominati dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa e 5 dal Parlamento in seduta comune. La composizione mista, il divieto di rieleggibilità, il lungo mandato di 9 anni228, e la mancata prorogatio (vale a dire che un giudice scade dal proprio mandato al nono anno preciso e non con la nomina del successore) sono state congeniate, già nella mente dei costituenti, per garantire alla Corte una totale indipendenza e terzietà rispetto agli organi che hanno designato i suoi componenti229, soprattutto rispetto alla compagine politica che li ha nominati. Unica nota dolente nel meccanismo di nomina e sostituzione dei giudici costituzionali è il fatto che non si può parlare di una nomina contestuale da parte dell’organo incaricato, bensì saranno nominati singolarmente non appena scade il mandato e ciò comporta dei ritardi fisiologici e dunque sarebbe auspicabile la nomina contestuale di tutta la componente di derivazione parlamentare, in modo che non si registrino ritardi dovuti al trovare accordi tra le forze politiche.

228 La durata di nove anni è stata prevista dalla l. cost. 2/1967 andando a sostituire il

periodo, ancor più lungo, di 12 anni.

229 Cfr: D.TEGA, Articolo 135 in F. CLEMENTI, L. CUOCOLO, F.ROSA, G.E VIGEVANI (A CURA DI), La costituzione italiana, commento articolo per articolo, Vol II, Bologna, Il Mulino, 2018, p.438.

160 Come già ricordato precedentemente, la riduzione del numero dei parlamentari non rappresenta niente di “pericoloso” con riferimento alla nomina di 5 giudici costituzionali, infatti l’unico effetto, innocuo peraltro, che si verificherà è quello di una diminuzione proporzionale anche dei quorum richiesti dall’art 3 della l. cost. n. 2/1967. Per i primi tre scrutini segreti viene richiesta la maggioranza dei 2/3 dei componenti l’assemblea, mentre dal quarto basta la maggioranza di 3/5. Sono richiesti quorum più alti di quelli necessari per l’elezione del Presidente della Repubblica perché si intende raggiungere il più ampio consenso parlamentare possibile. Infatti, per i primi tre scrutini la maggioranza richiesta non sarà più quella di 630 voti, bensì di 400 e dal quarto scrutinio si passerà da una maggioranza di 567 voti ad una di 360.

Questa riduzione proporzionale potrebbe portare con sé un risvolto positivo per i leaders di grandi partiti, cioè vale a dire che questi ultimi potranno sponsorizzare determinate personalità ben viste dalla forza politica e quindi influenzare con più facilità l’assemblea, data la diminuzione dei suoi membri, a votare in un verso piuttosto che in un altro230.

Dalle riflessioni qui fornite, in conclusione, a parere di chi scrive, l’aspetto ostico della materia risiede non tanto nella riduzione numerica di deputati e senatori, bensì in qualcosa che caratterizza la nomina parlamentare di 5 giudici costituzionali sin dalle origini e su cui si sono innestati negli anni svariati tentativi di riforma, posti in essere proprio al fine di arginare questa insidia. L’aspetto problematico è dato dal fatto che non è contemplata una elezione

230 Cfr: E. VIVALDI, Le conseguenze della riduzione dei parlamentari su alcune funzioni “di garanzia” esercitate dal Parlamento in E. ROSSI (A cura di),“ Meno parlamentari più democrazia? Significato e conseguenze della riforma costituzionale”, Pisa University Press, 2020, p.90-91.

161 contestuale dei giudici di nomina parlamentare, come peraltro già rilevato231.

Questo perché il Parlamento impiega molto tempo a raggiungere le maggioranze necessarie- anche se forse questo scoglio può essere superato con l’abbassamento dei componenti delle due camere come visto poc’anzi- e ciò è aggravato dalla non operatività della

prorogatio. Nonostante il quorum di funzionamento è dato dalla

presenza di undici giudici, il mancato plenum rischia di far perdere la pluralità di orientamenti culturali, politici e tecnici, fondamentali per un organo di garanzia di questo calibro.

Volgendo adesso l’attenzione all’art 104 Cost., vediamo che questo prevede l’elezione da parte del Parlamento in seduta comune di 1/3 dei componenti del CSM scegliendo tra i professori universitari ordinari di materie giuridiche e tra avvocati dopo quindici anni di esercizio: sono i membri cosiddetti laici232. L’incarico dura quattro anni, senza alcuna possibilità di rielezione immediata.

231 Cfr: L. PESOLE, Composizione delle Corte costituzionale e autonomia

territoriali in A. ANZON, G. AZZARITI, M. LUCIANI (A cura di) La composizione della Corte Costituzionale: situazione italiana ed esperienze straniere, Atti del Seminario di Roma del 14 marzo 2003, Giappichelli, Torino, 2004, pp. 32-33.Si

inizia a ragionare di una elezione contestuale da parte del Parlamento in seduta comune con il passaggio da un sistema elettorale proporzionale ad uno maggioritario, per poi constatare che è irrilevante il meccanismo elettorale: i ritardi si verificano ugualmente. Per giunta, si registrano proposte ante maggioritario improntate alla previsione di una elezione simultanea non solo della componente parlamentare, ma di tutte e tre le componenti. Il d.d.l in questione è l’A.C n.3339, VI Legislatura, il quale non ebbe seguito e ottenne solo critiche.

232 Si ricorda che il CSM è un organo a composizione mista, infatti anzitutto è

presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto oltre anche da due membri di diritto, che sono il primo presidente e il procuratore generale della Cassazione. Accanto alla componente di diritto, si ha quella elettiva: ai sensi della l. n.44/2002 si eleggono in totale 24 membri, di cui 16 togati da parte dei magistrati ordinari e 8 laici eletti, come visto, dal Parlamento in seduta comune. La ratio di questo affiancamento di una parte laica alla togata è da rinvenire nel fatto che, la prima, in linea teorica dovrebbe esercitare una funzione di controllo ed equilibrio, evitando la formazione di una casta chiusa, dominata da favoritismi e atteggiamenti clientelari. Questo il disegno dei costituenti: non realizzato in pieno, dal momento che spesso la componente laica si è mostrata incline alle esigenze provenienti dal mondo della politica e ciò spiega perché una proposta di rivisitazione del CSM sia all’ordine del giorno.

162 In questo caso la riduzione del numero dei parlamentari genera ancora meno problemi rispetto alla situazione descritta dall’art 135 Cost. Infatti, l’unica conseguenza è quella del mutamento delle soglie di maggioranza richieste. Ai sensi dell’art 22 della legge ordinaria n. 195/1958 per l’elezione dei laici si richiede una maggioranza dei 3/5 dei componenti dell’assemblea nei primi due scrutini, mentre dal terzo è richiesta la maggioranza dei 3/5 però solo dei votanti.

Per i primi due scrutini la maggioranza non sarà più quella raggiunta con 570 voti, ma con 360. Dal terzo scrutinio bisogna tenere di conto anche dell’art 46 r.C, applicato anche al Parlamento in seduta comune, secondo cui le sedute sono valide se vi partecipa la maggioranza dei componenti. Dunque tenendo conto che, a Costituzione invariata, la soglia è 476, il quorum richiesto è 286 (3/5 dei votanti, escludendo possibili astenuti). Nel caso di approvazione definitiva, post referendum, della riduzione dei parlamentari, il quorum richiesto il numero per la valida seduta del Parlamento in seduta comune, diminuisce a 301 e il quorum richiesto dal terzo scrutinio sarà 181(vale a dire 3/5 dei votanti, escludendo ancora una volta ipotesi di astensione come caso di scuola).

Qui non si verificano neanche le problematiche viste poc’anzi, data la elezione simultanea e contestuale della compagine laica da parte del Parlamento in seduta comune. Perciò il raggiungimento dell’accordo politico circa le personalità da eleggere sarà ancora più avvantaggiato. È opportuno ricordare in questa sede come attualmente il CSM stia attraversando la crisi più importante dal momento della sua istituzione nel 1958233.

Gli incontri tra esponenti del mondo della politica e magistrati membri del Consiglio finalizzati a concordare una serie di nomine, porta

233 Come ritiene in maniera provocatoria C. GUARNIERI in Magistratura e politica: una storia senza fine? in Il Mulino, n. 5/2019, sembra che i magistrati si distacchino

molto dalla loro rappresentazione offerta da Montesquieu. Egli infatti, come è noto, li definiva come “esseri inanimati con la bocca che pronunzia le parole della legge”.

163 nuovamente alla luce il topos dei rapporti tra magistratura e politica, facendo sorgere non pochi dubbi circa l’antico tema della “politicizzazione” della magistratura con riverberi pesanti sulla credibilità dell’organo di autogoverno. Una crisi preoccupante, “sconcertante e inaccettabile”, secondo le parole del Capo dello Stato. Non a caso quello che nel gergo giornalistico è stato definito “caso procure” o “lo scandalo CSM” ha ridato vita ai propositi per una riforma del sistema di governo della magistratura.

Il dibattito odierno rotea intorno ad un interrogativo di fondo: quali sono i rapporti che devono sussistere tra la politica e il CSM?

Recenti proposte riformatrici mirano a far divenire il Consiglio un organo burocratico ed amministrativo, di gestione del personale facente parte della magistratura234. Questo vorrebbe dire dare un affresco riduttivo del Consiglio, infatti tenuto conto di tutta una serie di elementi, tra i quali la presidenza in mano al Capo dello Stato, l’elezione della componente laica da parte del Parlamento in seduta comune, la presentazione annuale di una relazione al Parlamento sullo stato della giustizia, è impossibile attribuire al CSM una natura esclusivamente amministrativa.

Inoltre, si è sempre guardato alla riforma elettorale come una possibile opera salvifica, ma in realtà data la crisi che sembra dominare l’organo, le sette discipline elettorali che si sono avute dal 1958 ad oggi, nessuna ha mai retto all’accusa di “politicizzare” il CSM235. Proprio in questi giorni, a seguito dei noti scandali, del cosiddetto “affaire CSM”, si sta dibattendo una nuova ed ulteriore proposta riforma come se quest’ultima rappresentasse l’unica ancora di salvezza.

234 Cfr: F. DAL CANTO, Il Consiglio Superiore della Magistratura tra crisi e prospettive di rilancio in Consulta Online, 30 gennaio 2020, p. 2.

164 Bisogna però evitare che il Parlamento ponga in essere una riforma non ponderata, rischiando così di andare a mortificare un organo fondamentale per l’equilibrio dei poteri ordinamentali quale il CSM, definito dalla Corte costituzionale come “pietra angolare” dell’ordinamento giudiziario.

Ad oggi sulla scrivania del Guardasigilli Bonafede pare esserci niente di più che una bozza di legge, la quale mira alla tutela dei magistrati, limitando il correntismo e la commistione tra toghe e politica.

Proprio in questo senso si vuole agire anche sui membri laici, dei quali stiamo discutendo l’elezione. Infatti, nella bozza pare esserci la novità per la quale i membri dell’Esecutivo o del Parlamento236 non possano essere eletti come consiglieri, così come nemmeno i consiglieri, gli assessori, i presidenti di Regione e delle Province autonome di Trento e Bolzano e i sindaci dei Comuni con più di 100.000 abitanti.

Questa novità andrebbe a collocarsi in un quadro generale che mira ad una nuova composizione del CSM: 20 togati e 10 laici237 da eleggere con un nuovo sistema, cioè con un doppio turno con ballottaggio in 19 collegi.

Queste le novità allo stato embrionale che dovrebbero poi in futuro accompagnarsi ad una riduzione delle assemblee rappresentative, dalla cui riunione saranno eletti i dieci futuri membri laici.

Al termine di questa sezione, sulla base delle rilevazioni effettuate, è possibile sostenere che un Parlamento ridotto di 1/3 non crea danni alle procedure inserite agli articoli 104 e 135 Cost.

Siamo quindi di fronte ad una questione sterile - differentemente da quella vista nel caso dell’art 83 Cost. – dalla quale l’ordinamento ne può uscire assolutamente indenne.

236 Se passasse una riforma di tal genere nessuno degli ultimi due Vicepresidenti

avrebbe potuto essere eletto. Il riferimento qua è a David Ermini e al suo predecessore Giovanni Legnini.

237 Compresenza essenziale per evitare la creazione di quella che potrebbe essere una

165 4. La revisione costituzionale: sono necessari degli aggiustamenti?

Per completezza, occorre adesso verificare quanto i nuovi numeri impatterebbero sulle maggioranze richieste dall’art 138 Cost. in tema di iter di revisione costituzionale.

In chiave anticipatoria è possibile asserire che in realtà non si registrano dei papabili sconvolgimenti degni di nota. Ci si troverebbe nuovamente di fronte ad un’ipotesi di adeguamento parallelo dei

quorum necessari al nuovo plenum dell’assemblea con una

diminuzione proporzionale delle cifre.

La procedura aggravata dell’art 138 Cost. ha una specifica funzione di garanzia nei confronti del testo costituzionale rigido e dei valori supremi che in esso sono contenuti. Grazie a questo iter aggravato, viene assicurata la supremazia costituzionale.

In che cosa si sostanzia questa complessa procedura, notevolmente differente da quella predisposta per l’approvazione di leggi ordinarie? Anzitutto – come noto - viene richiesta una doppia lettura presso ciascun ramo del Parlamento: tra le due deliberazioni deve intercorrere un lasso di tempo non inferiore a tre mesi.

Questo primo aspetto della procedura aggravata, vale a dire la doppia lettura, porta con sé due facce della stessa medaglia.

Da un lato consente una scelta da parte delle camere maggiormente ponderata, dall’altro deve scontare il prezzo di una maggiore lentezza del processo decisionale238.

238 Cfr: Q. CAMERLENGO, Articolo 138 in F. CLEMENTI, L. CUOCOLO, F.ROSA, G.E VIGEVANI (A CURA DI), La costituzione italiana, commento articolo per articolo, Vol II, Bologna, Il Mulino, 2018, p.457. Si ricorda che in origine prevalse

una concezione di continuità con riferimento alla doppia lettura, vale a dire che la seconda camera può iniziare l’approccio con il testo di riforma solo dopo la seconda deliberazione da parte della prima. Con la seconda metà degli anni ’50, anche grazie

166 L’altro elemento in cui si sostanzia la procedura aggravata è dato dagli alti quorum richiesti ai sensi dell’art 138 Cost. Se nella prima lettura è sufficiente la maggioranza semplice, nella seconda si richiede quella assoluta per suggellare un più esteso accordo. È ovvio che in un sistema elettorale maggioritario, ma anche proporzionale con premio di maggioranza, la possibilità che uno schieramento da solo raggiunga i numeri richiesti è alta, come è accaduto nel 2001 per la riforma approvata solo dal centro sx, ma anche nel 2006 e 2016, salvo poi l’esito referendario.

Altro strumento da poter attivare è quello appunto del referendum, concepito come uno step del tutto eventuale. Anzitutto vi si può ricorrere solo nel caso in cui il testo non sia stato approvato con la maggioranza dei 2/3 in seconda deliberazione, sintomo di una coesione nata nelle aule sulla riforma, tale da rendere superfluo l’intervento del corpo elettorale.

Il limite temporale per poterlo innescare è rappresentato dai tre mesi decorrenti dalla data di pubblicazione del testo in Gazzetta Ufficiale. Il referendum può essere attivato su richiesta di 1/5 dei membri di una camera o da 500.000 elettori o cinque Consigli regionali239.

Conviene ricordare le parole con cui la Corte costituzionale, in occasione della sentenza n. 496/2000, si riferisce all’entrata in gioco del corpo elettorale durante l’iter di approvazione della legge di revisione costituzionale e che costituiscono una summa del ruolo dei cittadini in questo momento delicato per gli equilibri ordinamentali.

ad una autorevole dottrina (Constatino Mortati), si optò per un’interpretazione della seconda lettura nel senso della alternatività, cioè una sovrapposizione delle due camere nell’iter, in modo che la seconda non sia blindata nell’attesa della duplice approvazione da parte della prima. Ovvio che anche questa scelta può essere foriera di rallentamenti, dal momento che la prima deliberazione si ha solo con la doppia conforme e dunque, in questa alternanza tra le due camere, bisogna tener conto dei ritardi causati dalla proposizione di emendamenti in seno alle due assemblee.

239 Da un punto di vista espressivo è opportuna una specificazione. Infatti, è possibile

individuare due sfumature del referendum ex art 138 Cost. Infatti, si parlerà di un referendum confermativo qualora venga attivato dalla maggioranza per ottenere una sorta di “sigillo” popolare. Si parlerà invece di referendum oppositivo se attivato dalla minoranza.

167 La Corte si esprime in questo senso: «il popolo interviene solo come istanza di freno, di conservazione e di garanzia, ovvero di conferma successiva, rispetto ad una volontà parlamentare di revisione già perfetta, che, in assenza di un pronunciamento popolare, consolida comunque i propri effetti giuridici».

In un quadro così delineato, come e quanto impatta la riduzione del numero dei parlamentari? Come abbiamo avuto modo di rilevare in apertura alla presente sezione non emergono effetti così negativi ed invalidanti. Come di consueto, varieranno i quorum per le maggioranze richieste: la maggioranza assoluta alla Camera sarà raggiunta non più con 316 voti, bensì con 201, mentre quella di 2/3 non più con 420 voti, ma con 267. Al Senato una maggioranza assoluta che scatta a 103 voti e non più a 161, mentre una maggioranza di 2/3 che si forma con 137 voti invece che con 214.

A livello numerico quindi non si registrerebbero alterazioni, eccezion fatta per una diminuzione proporzionale, e quindi “innocua” dei

quorum.

L’unico effetto concreto può essere rilevato sul piano strategico- politico, infatti un Parlamento meno numeroso rende lo spazio di manovra dei leaders partitici più forti maggiore, in modo che aumenti per questi ultimi la possibilità di aumentare il consenso traghettando più membri verso la via della revisione costituzionale.

Necessitano alcune precisazioni sull’art 138 Cost. e sulla sua origine. Nelle parole con cui Meuccio Ruini, Presidente della Commissione dei 75, consegnò la Carta costituzionale, è possibile scorgere già più di settant’anni fa, un processo di revisione della nostra Costituzione, che però doveva essere informato ad una “meditata riflessione”, per scongiurare il rischio di una “statica immobilità”.

La meditata riflessione dovrebbe quindi essere il filo rosso che accompagna qualsiasi opera di revisione, dalla più microscopica a quelle di più ampio respiro.

168 Una riflessione, quella auspicata da Ruini, che trova traduzione e conferma nell’art 138 della Costituzione dedicato alla revisione del testo, contenente delle tempistiche che suggeriscono e favoriscono un esame attento, certosino e ponderato.

Sull’origine del procedimento di revisione costituzionale dobbiamo ricordare come nel costituzionalismo liberale si va a creare una dicotomia tra Costituzioni rigide e flessibili. I due modelli di riferimento sono da una parte il costituzionalismo nordamericano e dall’altra quello europeo di matrice francese240

Nel primo caso si è inteso che la Costituzione possa raggiungere i suoi obiettivi solo presidiata da garanzie che ne assicurino la stabilità nel tempo in modo che la carta costituzionale possa affermarsi in una condizione di supremazia rispetto ai pubblici poteri. E così è stato, infatti dal 1787 gli emendamenti al testo della Costituzione federale sono in tutto solo 27, cosa che consegna alla storia una Costituzione particolarmente rigida con un iter di revisione assai complesso da rendere i suoi enunciati intangibili.

Sull’altro versante abbiamo il costituzionalismo europeo di matrice francese, dove l’idea di una Costituzione rigida sembra aver attecchito con minor fermezza rispetto al contesto statunitense.

Infatti, con la Costituzione giacobina del 1793 all’art 28 si stabiliva che: «Un popolo ha sempre il diritto di rivedere, riformare e cambiare la propria Costituzione. Una generazione non può assoggettare alle sue leggi le generazioni future». Non a caso in pieno clima rivoluzionario prevalse l’idea delle loi come fonte primaria del diritto in quanto emanata dall’assemblea rappresentativa della volontà di quel ceto sociale capace di surclassare la monarchia.

Le tragiche esperienze del secondo conflitto mondiale e di regimi