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Uno sguardo al di fuori dei confini europei

Nell’evidenziare una supposta sovrabbondanza dei Parlamentari italiani sono state citate esperienze come quella statunitense.

È possibile sin da subito definire questo richiamo come incongruo per tutta una serie di motivazioni. In primis perché l’impianto costituzionale degli Stati Uniti è autenticamente federalista. Da questo primo motivo discende a cascata una diversa allocazione dei rapporti istituzionali rispetto al panorama italiano: il Governo non agisce in un rapporto fiduciario con il Congresso, il quale viene rinnovato con una frequenza maggiore rispetto al Parlamento italiano, cioè ogni due anni. Nel dibattito costituente emerse la posizione di James Madison, che in un suo saggio all’interno della raccolta “The Federalist Papers”, ritenne che indipendentemente dalla grandezza di una Repubblica, le assemblee rappresentative dovessero essere abbastanza numerose per tenere a freno le velleità oligarchiche delle fazioni. Ritenne anche che il numero dei componenti delle predette assemblee dovesse incontrare delle limitazioni onde evitare il caos della moltitudine89.

Quindi emerge dalle riflessioni di Madison la necessità di bilanciare da una parte l’esigenza di rappresentanza e dall’altra quella della governabilità.

La Costituzione di Filadelfia del 1787 prevede un Senato composto da 100 membri, quindi due senatori per ogni Stato indipendentemente

89 Cfr: Cfr: G. DELLE DONNE, Un’anomalia italiana? Una riflessione comparatistica sul numero dei parlamentari negli altri ordinamenti in E. ROSSI (A

cura di),Meno parlamentari più democrazia? Significato e conseguenze della riforma costituzionale”, Pisa University Press, 2020, p.57.

64 dalla popolazione di quest’ultimo. Circa la Camera dei Rappresentanti si opta per un numero di componenti non superiore ad uno ogni 30.000 abitanti, assicurando almeno un deputato a ciascuno Stato. Ovviamente il sistema appena delineato segue i flussi della popolazione sulla base dei censimenti generali della popolazione, i cosiddetti Census Clause.

Nel 1929 una fonte di rango primario, il Permanent Apportionment

Act fissa in 435 il numero dei membri della Camera dei

Rappresentanti, cercando di raggiungere quell’equilibrio auspicato dallo stesso James Madison due secoli prima.

Il paragone con l’assetto federale degli Stati Uniti d’America stona ancor di più se teniamo conto del fatto che il rapporto tra Stato federale e Stati membri, niente ha a che vedere con il rapporto Stato-Regioni italiane. Il riparto di competenze favorisce gli Stati federati, ad esempio con riferimento alla legislazione in ambito penalistico, quasi integralmente attribuita ai singoli Stati.

Sul versante dei Parlamenti dei singoli stati, è opportuno ricordare che sono composti da un numero considerevole di membri. In California ad esempio si ha un Senato di 40 membri ed un’Assemblea legislativa di 80 membri.

In Massachusetts il Senato è composto da 50 membri, mentre la Camera dei Rappresentanti da 160.

Il piccolo Stato del Wyoming, peraltro anche il meno popoloso negli Usa, ha un Parlamento composto da un Senato che consta di 30 componenti e una Camera dei Rappresentanti di 60 membri 90. Il richiamo alla situazione statunitense per giustificare un taglio dei parlamentari italiani risulta decisamente forzato: nella realtà americana la rappresentanza di milioni di cittadini è dipanata tra lo Stato federale e gli Stati membri con la presenza quindi sul suolo

90 I dati esposti sono reperiti rispettivamente per la California da:

http://www.legislature.ca.gov/; per il Massachusetts da :https://malegislature.gov/; e per il Wyoming da : https://www.wyoleg.gov/.

65 statunitense di migliaia di parlamentari dislocati nel Congresso e nei Parlamenti dei singoli Stati federati 91.

Risulta perciò fuori luogo ogni raffronto con qualsiasi altro grande ordinamento storico federale, perché in questi scenari, diversamente da quanto accade in Italia, la composizione delle assemblee elettive è tale, come si è visto anche per gli Usa, da aver premura di assicurare la rappresentanza degli enti federati, e ciò vale sia con riferimento alla Camera Alta (quindi quella “degli Stati”), sia con riferimento a quella Bassa, espressione della politica generale.

Nelle Costituzioni di questi grandi ordinamenti federali, è possibile scorgere un’impostazione contrattualistica92, tramite la quale si cerca di coniugare la rappresentanza generale con quella dei singoli Stati federati.

Espressione di ciò è l’esperienza canadese, dove il Constitution Act siglato nel 1982, ad oggi contempla un numero minimo di 308 membri per la Camera dei Comuni. Una clausola di salvaguardia, la cosiddetta

grandfather clause, stabilisce che in nessuna Provincia possano essere

eletti un numero inferiori di Deputati rispetto a quello fissato al momento della sua entrata in vigore.

Inoltre, una seguente disposizione prevede che in nessuna Provincia, il numero dei Deputati possa essere inferiore a quello dei suoi senatori. Questo passo è fondamentale perché rappresenta una garanzia per gli Stati meno popolosi, vale a dire quelli del Canada atlantico, i quali altrimenti vivrebbero con una spada di Damocle pendente dello scarso politico all’interno del Parlamento di Ottawa.

91 Cfr: D. PORENA, La proposta di legge costituzionale in materia di riduzione del

numero dei parlamentari (A.C. 1585): un delicato “snodo” critico per il sistema rappresentativo della democrazia parlamentare, in Federalismi.it, n. 14/2019, p.25.

92Cfr: G. DELLE DONNE, Un’anomalia italiana? Una riflessione comparatistica

sul numero dei parlamentari negli altri ordinamenti in E. ROSSI (A cura di),“ Meno parlamentari più democrazia? Significato e conseguenze della riforma costituzionale”, Pisa University Press, 2020, p.61, il quale a sua volta richiama: A.LA PERGOLA, Residui contrattualistici e struttura federale nell’ordinamento degli Stati Uniti, Milano, Giuffrè, 1969.

66 Anche il paragone con una realtà lontana da quelle analizzate fino ad ora, ma comunque con un’impostazione federale, cioè con l’India, risulta poco persuasivo. Ad un primo sguardo il Parlamento indiano sembra poco popoloso e da assumere come modello, ma in realtà serve mettere a fuoco la situazione e cioè inserirlo in un contesto federale, dove i 28 Stati membri sono dotati di personali ed autonomi Parlamenti e Governi93.

Gli stessi rilevi fatti per gli Stati Uniti d’America, per il Canada e per l’India, valgono anche per altri grandi Stati federali come l’Australia e il Brasile.

In conclusione si ricorda che la vocazione contrattualistica, tipica dei grandi e storici ordinamenti federali, non è rinvenuta nella tradizione costituzionale italiana e dunque qualsiasi richiamo ad esperienze predette risulta fuorviante e poco centrato.

5. Brevi cenni circa il numero dei Parlamentari in epoca prerepubblicana

Dopo aver svolto un’analisi comparatistica per inquadrare la Riforma in esame, è possibile intraprendere una ricostruzione storica circa il numero dei parlamentari nella storia dell’ordinamento italiano. Prima di passare al dibattito in seno all’Assemblea Costituente inerente agli articoli dedicati al numero dei Deputati e senatori, che subirebbero una modifica con la Riforma A.C 1585-B, secondo il parere di chi scrive, è opportuno fornire un breve affresco, in questa sede, circa il numero dei Parlamentari durante l’epoca precedente a quella repubblicana.

Tutte le considerazioni che seguiranno non potranno essere comprese a pieno se non tenendo ben presente il background storico e sociale. Il periodo che conduce alla nascita della Repubblica è un periodo transitorio. In questi anni si rinviene il passaggio dallo stato liberale

67 alla democrazia di massa – esaltata a pieno con l’esperienza repubblicana-, nonostante la tragica e lunga parentesi del regime. Come vedremo più nel dettaglio all’interno del Capitolo III del presente lavoro, due sono i fattori che traghettano il paese verso un nuovo equilibrio: l’allargamento progressivo del suffragio universale e la conseguente nascita dei partiti di massa.

Lo Statuto Albertino, di cui analizzeremo alcune disposizioni, è l’emblema dello Stato liberale monoclasse, caratterizzato da un suffragio ristretto e censitario, all’interno del quale il partito non era altro che un circolo delle èlites di notabili e nobili. Il partito, nato come parlamentare, quindi come associazione di eletti che condividevano visioni politiche ed interessi economici affini in uno stato monoclasse rinforzato da un suffragio ristretto94, è destinato a mutare la sua veste. Ciò accade agli albori del Novecento quando si ha il boom della industrializzazione e soprattutto con il mix dato dall’allargamento del suffragio e da un sistema elettorale proporzionale95. Con l’allargarsi progressivo del demos, fino alla massima inclusione, sono mutate le tecniche di formazione della rappresentanza. Nello stato monoclasse, l’omogeneità tendenziale del demos comportava l’indiscussa adozione di tecniche per la trasformazione di preferenze individuali in scelte collettive derivate dal voto in assemblea96. Con un suffragio allargato ciò non è più possibile: si deve tener conto del penetrare della società civile in un contesto del genere che chiede rappresentanza. Così il partito diventa il protagonista del circuito rappresentativo e difatti diverrà l’anello di congiunzione tra società e Stato. I grandi partiti di

94 Cfr: M. GORLANI, Ruolo e funzione costituzionale del partito politico. Il declino della “forma” partito e le crisi del parlamentarismo italiano, Bari, Cacucci Editore,

2017, pp. 9-10.

95 Cfr: M. GREGORIO, Parte totale. Le dottrine costituzionali del partito politico in Italia tra Otto e Novecento, Milano, Giuffrè, 2013 p.76. Qui si ricorda come la

proporzionale comporti l’ingresso in Parlamento di partiti di massa con le elezioni del 1919.Tra questi i cattolici ed i socialisti.

96 Cfr: F. LANCHESTER, La rappresentanza in campo politico e le sue trasformazioni, Milano, Giuffrè, 2006, p. 198.

68 massa arriveranno a farsi carico delle aspettative di un nuovo corpo elettorale composto da persone che fino a quel momento erano state escluse da una concezione liberale ed elitaria della rappresentanza. Grazie ad un programma e ad un’ideologia di base comune sia all’elettore che all’eletto, questi nuovi corpi intermedi giungeranno a raccogliere presso di sé tutta la magmatica società del tempo fino ad essere inseriti a pieno nell’ordine costituzionale. Il cammino è lungo e tortuoso e costretto ad una pausa forzata a causa del ventennio fascista che distruggerà le conquiste di inizio Novecento. Come ci ricorda lo Zampetti97, questo processo non è brusco, bensì graduale, al termina del quale il partito nato fuori e contra il potere costituito viene incorporato dentro quest’ultimo98.

Con il dopo guerra e con l’ordinamento repubblicano il partito di massa, destreggiandosi tra le macerie di un conflitto senza precedenti, raggiunge il suo vigore massimo per poi iniziare a conoscere i primi momenti di crisi con gli inizi degli anni ’6099.

Contestualizzate le dinamiche che saranno affrontate, dobbiamo vedere come entra in gioco lo Statuto Albertino, concesso dal sovrano per il Regno di Sardegna e poi esteso a tutto il Regno con l’Unità d’Italia.

Al suo interno nessuna disposizione riguardava il numero dei Parlamentari: l’art 33 era dedicato al Senato, camera di nomina regia e vitalizia, il 39 era dedicato alla Camera dei Deputati, ma senza scendere in dettagli numerici.

97 Cfr: P.L. ZAMPETTI, Dallo Stato liberale allo Stato dei partiti. La rappresentanza politica, III edizione, Milano, Giuffrè, 1993, p.109.

98 Un procedimento che viene descritto molto accuratamente Heinrich Triepel, come

vedremo nel Capitolo III del presente capitolo. Il giurista individua quattro fasi nelle quali può essere suddiviso il processo di inserimento del partito di massa nei canali istituzionali. I quattro momenti sono: la lotta tra Stato e partito, l’indifferenza dell’ente statale nei confronti del partito, la legalizzazione di quest’ultimo ed infine l’incorporazione dello stesso nel circuito statale.

99 Per una storia del partito politico più dettagliata e sulla sua crisi, si rimanda ancora

69 Si precisa che in questa sede saranno analizzati separatamente la Camera dei deputati ed il Senato Regio, dal momento che fino alla caduta del regime fascista, i senatori venivano nominati a vita dal Sovrano in un numero non limitato.

Dunque, per quanto riguarda la Camera, con un Regio Editto sulla legge elettorale che accompagnò lo Statuto del 17 marzo 1848 n.680 si fissò il numero di Deputati a 204, destinato a salire con l’estensione della sovranità del Regno a varie zone della penisola. Con l’annessione del Lazio e di Roma nel 1870 il numero fisso di Deputati salì a 508 e tale rimase dalla XI Legislatura fino alla XXIV, nonostante gli svariati cambiamenti sul piano dei sistemi elettorali. Il numero rimase costante anche per le elezioni della XXV Legislatura, con riferimento alle quali si estese il diritto di voto con il suffragio universale maschile per i cittadini di almeno 21 anni.

Piccola crescita del numero a seguito delle elezioni per la XXVI Legislatura (1921-1924): salì a 535 il numero di Deputati data l’annessione della Venezia Tridentina e della Venezia Giulia.

Con l’avvento di quella parentesi lunga ed infelice del fascismo, la legge 18 novembre 1923 n.2444 (la cd Legge Acerbo) mutò il meccanismo elettorale, inserendo il premio di maggioranza all’interno dell’immodificato sistema proporzionale. Con questa legge si elessero 531 Deputati all’interno della XXVII Legislatura 100.

Durante il ventennio fascista si assiste al primo netto ed importante taglio del numero dei Parlamentari: da 535 a 400. Questo avviene con la legge 17 maggio 1928 n. 1019 (confluita poi nel Testo Unico 2 settembre 1928 n. 1993), la quale introdusse per le elezioni della Camera un sistema plebiscitario. La proposta dei candidati (1000 nominativi) era affidata alle confederazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, ma anche da altri enti collaterali al Partito Fascista.

100 Quattro Deputati furono eletti in due circoscrizioni, per questo il numero risulta

70 Le candidature venivano poi vagliate dal Gran Consiglio del Fascismo, il quale, in piena autonomia, selezionava un’unica lista di 400 candidati da sottoporre in blocco al voto favorevole o contrario (sì o no) del corpo elettorale, formante un unico collegio nazionale. Il Gran Consiglio aveva la possibilità di inserire nei 400 nominativi, anche personalità non segnalate. Inoltre, per gli elettori non vi era possibilità alcuna di modificare i nomi designati. Con il sistema plebiscitario si “elesse” la Camera dei Deputati per la XXVIII (1929- 1934) e XXIX Legislatura (1934-1939).

Questa “legge elettorale”101 incarna il principio cardine della dottrina costituzionale fascista, vale a dire la negazione del dogma della sovranità popolare da sostituirsi con quello della sovranità dello Stato. La composizione delle Camere designate con tale modalità sono lo specchio del regime: perdono la rappresentatività democratica e vanno ad immedesimarsi organicamente con lo Stato sotto il profilo giuridico102.

Come è noto, la Camera dei Deputati venne sciolta al termine della XXIX Legislatura mediante la legge 19 gennaio 1939 n.129 e sostituita con l’organo denominato Camera dei fasci e delle corporazioni. Di conseguenza nel 1939 non si svolsero elezioni dal momento che i Consiglieri nazionali, vale a dire i membri della neo Camera, venivano nominati e non eletti. Erano tali infatti ratione

muneris per effetto della carica rivestita nei tre organi che

concorrevano a formarla (Gran Consiglio del fascismo, Consiglio nazionale del partito e Consiglio nazionale delle corporazioni). La legge non specificò alcunché circa il numero dei membri della Camera, però risultò che nella sua prima composizione fosse formata da 682 consiglieri nazionali, compreso il Duce, membro di diritto.

101 Il virgolettato è essenziale dal momento che non si tratta in concreto di una legge

elettorale poiché il plebiscito vanifica l’effettiva scelta politica.

102 Cfr: G. VOLPE, Storia Costituzionale degli Italiani, Vol II, Il popolo delle scimmie, Torino, Giapichelli, 2015, p.123.

71 Ci furono un grande ricambio ed una grande fluidità nella composizione dati dal fatto che i membri decadevano dalla carica con il decadere dalla funzione esercitata nei Consigli che formavano la Camera e venivano sostituiti in automatico dai loro successori. Il numero massimo fu 704.

Con la Camera dei fasci e delle corporazioni, si annientò qualsiasi residuo di rappresentanza parlamentare. Fu sciolta tramite il Regio Decreto-legge 2 agosto 1943 n.705.

Per quanto riguarda il numero dei componenti del Senato Regio, il campo è minato da incertezze data la nomina regia – su proposta del Governo- a vita e soprattutto dato il tenore testuale dell’art 33 dello Statuto il quale non prevedeva alcun limite alla cifra di personalità che potevano essere insignite della carica senatoriale da parte del Sovrano. A livello numerico si registrano svariate oscillazioni: fino all’Unità d’Italia la cifra continua a rimanere varia ed alle soglie del XX secolo, quando la sede era a Torino, si sono superati i 400. Durante il primo conflitto bellico mondiale, i numeri sono destinati a scendere per poi risalire. Infine, nel periodo fascista durante la XXIX Legislatura (1934-1939), si registra una uniformità di cifra tra i membri delle due Camere103. È bene tenere presente che queste oscillazioni riportate sono dovute alle esigenze di vari Governi di ottenere dei consensi in Senato, specie in momenti di difficoltà all’interno della Camera dei Deputati: è così che si realizzano le cosiddette infornate.

Da segnalare anche il fatto che le presenze registrate in Senato, anche per eventi cruciali della storia istituzionale, sono sempre state particolarmente basse, nonostante l’art 53 dello Statuto richiedesse, ai fini della validità della seduta, la presenza della metà più uno dei componenti.

103 I dati forniti sono tratti da: E. ROSSI, Il numero dei Parlamentari in Italia, dallo Statuto Albertino ad oggi in E. ROSSI (A cura di),“ Meno parlamentari più democrazia? Significato e conseguenze della riforma costituzionale”, Pisa University Press, 2020, pp.20-22.

72 Da ultimo è impossibile non menzionare le varie proposte che si sono susseguite negli anni per introdurre il numero fisso dei senatori, o quantomeno un numero massimo. In dottrina si propose la fissazione del numero massimo a 300, di cui 150 elettivi, 75 nominati dal Re e 75 nominati dallo stesso Senato104.

Nel 1910 il Senato istituì una Commissione per vagliare la proposta di stabilire il numero massimo di senatori a 350, ma si preferì non mettere mano alla disciplina. Altro tentativo infruttuoso fu quello del 1919 dove una nuova Commissione ebbe il compito di sondare la possibilità di fissare a 360 il numero massimo di componenti del Senato Regio. Ad ogni modo, con il decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946 n.48 il Senato Regio sarà sciolto.

6. Gli articoli 56, 57 e 59 nelle menti dei Padri Costituenti 105

In questa sede sarà analizzato il ragionamento logico seguito dalla Costituente e che ha portato alla nascita degli articoli ad oggi interessati dalla Riforma A.C 1585-B.

Sarà offerta una ricostruzione storica e logica per ognuno dei tre articoli in questione, partendo dal già caldo tema del numero dei Parlamentari che troviamo rispettivamente negli articoli 56 e 57 del testo costituzionale.

Come preannunciato in premessa, il dibattito circa il numero dei Parlamentari è una costante nella storia ordinamentale italiana, e caratterizza anche la discussione in seno alla Costituente.

104 Cfr: E. ROSSI, Il numero dei Parlamentari in Italia, dallo Statuto Albertino ad oggi in E. ROSSI (A cura di),“ Meno parlamentari più democrazia? Significato e conseguenze della riforma costituzionale”, Pisa University Press, 2020, p.21, il

quale a sua volta cita L. PALMA, La Riforma del Senato in Italia, in Nuova

Antologia, 61 (1882), pp.193 ss.

105 La seguente sezione è stata realizzata grazie all’ausilio dei resoconti stenografici

delle sedute dell’Assemblea Costituente reperiti sul portale: https://storia.camera.it/lavori/transizione/leg-transizione-costituente - nav.

73 Una specificazione di ordine metodologico: ai fini del presente elaborato verrà ricostruito il ragionamento dei Padri Costituenti solo con riferimento alle parti degli articoli interessati, le quali andrebbero incontro ad una modifica in caso di approvazione definitiva della Riforma A.C 1585-B. Non sarà dunque una ricostruzione a 360 gradi dell’articolo, fuorviante dato l’oggetto del lavoro.

Sarà però fatta un’eccezione con riferimento all’art 57 mediante il qualesi è ritenuto opportuno fornire un’analisi più completa circa le origini della scelta bicamerale, imprescindibile ai fini del presente elaborato.

6.1 I componenti della Camera dei Deputati: una “guerra”