UNDERGROUND PASSAGES IN DEFENSIVE STRUCTURES OF EASTERN TURKEY: THE CASES OF BITLIS, AHLAT AND AN
4. DISCUSSIONE E CONCLUSION
Le diverse ricerche, condotte dal 2004 dal Centro Studi Sotterranei di Genova nella Turchia orientale, hanno permesso di documentare, tra le diverse tipologie di cavità artificiali esistenti, quattro camminamenti sotterranei realizzati in corrispondenza e a servizio di strutture difensive e civili costruite in superficie.
Essi presentano elementi comuni, ma sono pure caratterizzati da differenze dovute sia alle peculiarità delle rocce nei quali furono scavati, sia alle diverse funzioni cui erano destinati, sia - molto probabilmente - anche alle diverse epoche di realizzazione non ancora puntualmente precisabili, comunque ascrivibili ad un intervallo di tempo compreso tra XII e XVI secolo. Assolutamente originale appare lo sviluppo del tunnel Ghedan Ghyalmas in Ani, caratterizzato da reiterati accorgimenti difensivi. Possiamo, infatti, ipotizzare che il vano nei punti 6-6b (Fig. 3.01 e 3.02) costituisca un dispositivo, semplice ed efficace, di protezione da possibili indesiderati visitatori provenienti dall’esterno i quali, arrivando carponi alla base del camino, sarebbero emersi nella camera completamente esposti a facili reazioni dei difensori (Fig. 3.04). Questa evidenza ci induce a riconoscere in tale struttura una così detta ‘trappola’, per molti versi assimilabile alle analoghe, ma non identiche, osservate negli studi condotti sugli insediamenti sotterranei della Cappadocia (BIXIO, CASTELLANI 2002). Strutture con maggiori similitudini sono conosciute in alcuni nascondigli
sotterranei in Israele (KLONER, ZISSU 2009). In questo scenario trovano una possibile funzione anche gli elementi strutturali realizzati lungo il percorso che precede la trappola. Il diverticolo (Fig. 3.01 e 3.02: punti 3-4) poteva servire con la sua sola presenza a dissuadere l’avanzata di eventuali intrusi, ma poteva anche simultaneamente avere la funzione di chiudere la luce del condotto, costituendo una sorta di cortina di roccia che impediva il contatto visivo tra l’intruso e i difensori. Una persona appostata dal lato interno del diverticolo poteva infatti percepire dall’inevitabile rumore l’avvicinarsi di estranei senza essere né vista né sentita. E forse la cavità cilindrica attigua al diverticolo (punto 5) era prevista proprio come ‘guardiola’, cioè posto di stazionamento per una sentinella che poteva dare l’allarme per tempo. L’opzione ‘trappola- guardiola’ attuava evidentemente un sistema di difesa coordinato ed efficiente. Infine, è evidente che il pozzo ascendente al termine del cunicolo orizzontale (punto 13) non servisse soltanto per guadagnare quota, ma fosse esso stesso un punto critico per la possibile avanzata di nemici. Infatti, da parte dei difensori sarebbe stato sufficiente ritirare una scala mobile per impedirne la risalita, mentre gli attaccanti non avrebbero potuto trascinarne una attraverso i bruschi cambi di direzione disseminati lungo il percorso orizzontale. Inoltre, data la ristrettezza della canna del pozzo, stazionando sotto la sua verticale sarebbero stati esposti al lancio di massi senza possibilità di scansarsi.
Resta in ogni caso l’evidenza che il condotto fu ideato, forse a duplicazione della attigua posterla ubicata nella cinta muraria, per consentire l’uscita dalla città di uno o pochi individui, presumibilmente in condizioni di emergenza, impedendo nel contempo l’ingresso di eventuali intrusi. In tale contesto anche l’esiguità del condotto appare esso stesso come un possibile elemento di difesa, obbligando a transitare carponi, in fila indiana e senza la possibilità di brandeggiare armi.
Assai differente la situazione riscontrata nell’altro tunnel studiato ad Ani (Tunnel degli Orti). La galleria era chiaramente destinata al collegamento tra la città e il greto dello Tsagkotsazor (in turco Botan Deresi, cioè Torrente degli Orti). Kipshize parla di rifornimenti di acqua alla città durante gli assedi. Tuttavia, stupisce al riguardo l’assenza nel tunnel di evidenti opere di difesa, presenti invece nel passaggio di Ghedan Ghyalmas di sezione ben più esigua. Anche tenendo presente che probabilmente i due ipogei provengono da epoche e da contesti molto diversi, sembra difficile pensare che in occasione di assedi si lasciasse un accesso così ampio e indifeso a disposizione del nemico. Forse, e molto più semplicemente, si può ipotizzare che si trattasse di un passaggio coperto che consentiva agli abitanti della città durante i rigidi e nevosi inverni e le furiose tempeste di sabbia in ogni altra stagione, di raggiungere
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la Valle degli Orti sia per il quotidiano rifonimento d’acqua, ma anche per aver cura delle coltivazioni della valle medesima. Questa congettura risulta tanto più attendibile se si considera che il pendio erboso adiacente allo sperone roccioso all’interno del quale si trova la galleria, risulta facilmente percorribile in superficie, rendendo dunque inutile l’impegnativa realizzazione di un passaggio sotterraneo, se non nei termini sopra indicati legati a severe condizioni meteoriche. Di conseguenza, il termine Porte Segrete sarebbe stato semplicemente attribuito dalla tradizione popolare locale o direttamente suggerito alla immaginazione di Kipshize dal carattere nascosto del passaggio, e non da fonti storiche o elementi funzionali che attestino una reale funzione bellica del manufatto.
Sempre per questo motivo si giustifica la realizzazione in alcuni casi - come nella fortezza di Bitlis - di cisterne per la raccolta e lo stoccaggio delle acque meteoriche all’interno dello sviluppo dei camminamenti stessi, o la costruzione di gallerie per raggiungere sorgenti naturali - come nel caso del castello di Shawbak in Giordania (BURRI et al. 2009) - secondo una pratica consolidata diffusa nel Vicino e Medio Oriente.
In merito al tunnel di Bitlis, possiamo suggerire che questa struttura - oltre ad assicurare il passaggio alla cisterna celata a circa metà strada, da usare come riserva d’acqua in caso di assedio - avrebbe permesso di raggiungere il sottostante fiume per provvedere alle necessità idriche del castello, non visti da eventuali nemici, e al riparo dalle intemperie, soprattutto invernali (non dobbiamo dimenticare che il sito si trova a 1.550m s.l.m., soggetto a clima continentale, con rigidi inverni). Ma non si può non notare anche come l’ingresso del tunnel superiore sia nella parte più interna del castello (Iç kale), cioè quella approntata per l’eventualità di un’ultima difesa nel caso di conquista da parte di nemici. Questa opera, quindi, avrebbe potuto servire anche come passaggio d’emergenza, con funzione di via di fuga, in caso di presa del castello.
Funzione multipla e similare anche nel caso del tunnel di Ahlat, dove oltre ad un collegamento garantito con altri tipi di risorse, ossia scorte alimentari conservate nel silo sotterraneo, la galleria poteva servire quale passaggio segreto per tentare sortite. Un’opera di transito di questo tipo, veloce da percorrere, ma assai disagevole anche nelle condizioni ottimali originali, fa pensare a un passaggio di emergenza o, comunque, di servizio, piuttosto che a un uso più ‘ufficiale’ da parte dei Signori del castello. È opportuno ricordare che, in origine, il tunnel non era così visibile come risulta oggi. Sulla sommità era incluso all’interno delle mura della fortificazione, mentre sul livello intermedio era occultato all’interno di un vano chiuso, oggi sventrato. Ovviamente tale cunicolo, se scoperto da eventuali assalitori, poteva rappresentare un punto di debolezza
nel sistema difensivo, compensato però dal fatto che sarebbe comunque risultato facilmente controllabile, come ci insegnano le generali conoscenze sulle strutture difensive sotterranee della Cappadocia (BIXIO, CASTELLANI 2002) o di Ani.
In generale la presenza di passaggi sotterranei all’interno - o meglio al di sotto - di castelli e fortezze, o di città cinte da mura, è spiegabile in quanto questi rappresentavano sistemi necessari alla sopravvivenza stessa di tali insediamenti, soprattutto, ma non solo, in caso di assedio. Attraverso tali opere poteva essere garantito l’approvvigionamento di acqua, mettendo in comunicazione il presidio abitato con le risorse idriche disponibili nel territorio, quali fiumi alla base delle fortezze/città stesse, o con altre risorse idriche e/o alimentari nascoste.
Le gallerie rimangono, quindi, in primo luogo opere di collegamento tra diverse aree delle fortezze o delle città murate, e tra queste e l’esterno, realizzate nel sottosuolo o in parte costruite anche all’interno di cortine murarie in elevato, destinate allo spostamento (o alla fuga) di persone e cose al riparo sia da occhi indiscreti, sia da tiri di artiglieria avversaria, sia da condizioni meteo avverse.
RINGRAZIAMENTI /ACKNOWLEDGEMENTS
We would like to thank the Turkish Ministry of Culture and the Turkish authorities for the support accorded to the mission of the Centro Studi Sotterranei, especially prof. Kadir Pektaş (Pamukkale Üniversitesi - Denizli), prof. Nakış Karamağaralı and Dr. Alp Turan Oğuz (Gazi Üniversitesi - Ankara) and mourning prof. Beyhan Karamağaralı (Haccetepe Üniversitesi - Ankara), for their collaboration respectively in Bitlis, Ahlat and Ani.
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