• Non ci sono risultati.

Nel primo impianto una protesi semivincolata o vincolata viene raramente utilizzata, tuttavia esistono alcune indica-zioni giustificate in caso di:

• insufficienza dei legamenti collaterali (soprattutto del collaterale mediale);

• perdita di sostanza ossea al piatto tibiale o ai condili femorali (in esiti di fratture o pseudo artrosi o in caso di displasie ossee);

• grave iperlassità costituzionale e multidirezionale; • insufficienza o debolezza dell’apparato estensore (post

traumatica o neurologica)

• gravissima deformità fissa in varo/valgo con scarsa competenza muscolare;

• severa contrattura in flessione con rigidità articolare; • severa artrite reumatoide (possibile assottigliamento e

insufficienza dei legamenti nel tempo a causa della ma-lattia);

• lesioni iatrogene intra-operatorie dei legamenti collate-rali.

Nel primo impianto una analisi della severità della de-formità e del grado di instabilità appare più semplice da evidenziare, ma come abbiamo visto l’analisi della sta-bilità di un ginocchio protesizzato da revisionare deve essere effettuata non solo preoperatoriamente, ma so-prattutto intraoperatoriamente e questo ci obbliga ad avere in sala operatoria tutte le risorse necessarie e i relativi impianti per ottenere il miglior risultato possibile. Le componenti femorali e tibiale dell’impianti CCK non sono collegate da alcun aggancio e pertanto un siste-ma di questo tipo assicura un certo grado di stabilità in varo/valgo con un movimento coronale compreso fra 2-3° e minimo (2°) di rotazione assiale, ma come per l’impianto PS esiste un rischio potenziale lussativo che può verificarsi in caso di incompetenza dell’apparato estensore o per una significativa instabilità in flessione con gap aumentato rispetto all’estensione.

Come abbiamo visto a seconda della gravità del quadro clinico si valuta se impiegare una protesi semivincolata o una vincolata, in particolare si propende per l’utilizzo di una protesi vincolata in caso di uno spazio in flessio-ne ed estensioflessio-ne impossibile da bilanciare e in ginoc-chia con un legamento collaterale mediale insufficiente. Nelle protesi semivincolate o vincolate c’è un’elevata tra-smissione delle sollecitazioni meccaniche all’interfaccia osso protesi che devono quindi essere compensate dalla presenza di steli endomidollari atti a trasferire parzialmente il carico alla porzione diafisaria di tibia e femore e ridurre i micromovimenti e sollecitazioni, inevitabili sotto carico, alle interfacce osso-protesi. Per tale motivo il nostro orienta-mento, tutte le volte che dobbiamo confrontarci con una revisione, è quello di ottenere la massima stabilità con il minore livello di vincolo senza per questo mettere a re-pentaglio la stabilità finale dell‘articolazione così ricostruita e il buon funzionamento del ginocchio. Il raggiungimento di questo obiettivo non può essere preoperatoriamente assicurato perché, come abbiamo già scritto, è solo la va-lutazione della stabilità intraoperatoria che potrà orientaci sulla definitiva scelta protesica a meno di non abbracciare subito, scelta fatta da alcuni chirurghi, l’opzione a maggio-re vincolo (RH).

Per concludere, la pura valutazione della deformità pre-operatoria in una revisione non deve orientare subito alla scelta del grado di vincolo maggiore, ma deve invece spingere a una attenta valutazione del danno osteo arti-colare attraverso l’esame clinico e strumentale. La

corre-104° CONGRESSO NAZIONALE S.I.O.T. Grado di vincolo nelle revisioni in funzione della deformità

zione delle resezioni, il corretto posizionamento e orien-tamento protesico dovranno servire a tensionare l’appa-rato capsulo legamentoso in flessione ed estensione e durante l’arco di movimento per bilanciare l’articolazione

riposizionando la rotula in modo corretto e ripristinando l’allineamento dell’apparato estensore. In caso di apertu-ra dell’emiarticolazione mediale superiore ai 3 mm potre-mo utilizzare inserti CCK per proteggere il collaterale me-diale mentre laddove una ricostruzione appaia velleitaria e la discrepanza fra spazio in estensione e flessione sia fortemente sbilanciata a carico di quest’ultimo dovremo ricorrere a impianti il cui vicolo sia su tutti i piani dello spazio e quindi a protesi a cerniere rotante.

Riportiamo le immagini di un caso clinico esemplificativo (Figg.1-5).

Figura 1. Esito di impianto di cemento spaziatore articolato in pregressa infezione periprotesica.

Figura 3. Al termine dell’intervento sono visibili le componenti protesiche, con polietilene di prova (Scorpio TS, impianto non più in produzione) e i wedge distali e posteriori per la ricostruzione femorale.

Figura 2. Situazione intraoperatoria alla bonifica del focolaio infettivo: si preferisce la ricostruzione biologica in considerazione della giovane età del paziente.

Fig.11

Al termine dell’intervento sono visibili le componenti protesiche, con polietilene di prova (Scorpio TS, impianto non più in produzione) e i wedge distali e posteriori per la ricostruzione femorale.

Figura 4. Immagine RX postoperatoria.

Figura 5. Completa integrazione dell’innesto a 12 anni di follow-up; la freccia dimostra come il deficit osseo risulti colmato.

104° CONGRESSO NAZIONALE S.I.O.T. B. Zanini et al.

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Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia 2019;45(Suppl. 1):S441-S444 104° CONGRESSO NAZIONALE

S.I.O.T.

Riassunto

Le fratture del femore con perdita ossea rappresentano il 22% di tutte le fratture con perdita/difetto osseo; il 5-10% delle fratture del femore distale risultano inoltre essere esposte. Nella pianificazione del trattamento per la perdita d’osso, devono essere considerati diversi fattori: la qualità della co-pertura dei tessuti molli, la qualità dell’apporto vascolare e la presenza o l’assenza di un’infezione. In termini di trattamento vi è una vasta gamma di opzioni. Masquelet et al. hanno descritto una procedura che combina membrane indotte e autotrapianti da spongiosa. L’innesto osseo di questi difetti è spesso ritardato dopo la fissazione primaria per consentire la guarigione dei tessuti molli, ridurre il rischio di infezione e prevenire il riassorbimento del graft. Attualmente non esiste un algo-ritmo universalmente accettato che descriva come trattare i difetti ossei. Ad oggi, il chirurgo deve spesso decidere caso per caso. La qualità dei tessuti molli, la perfusione locale, la disponibilità di rifornimento vascolare per la possibile copertura del lembo e altri fattori devono essere riconsiderati ogni volta che viene trattata una perdita ossea.

Parole chiave: difetti ossei, fratture femorali, trattamento, Masquelet

Summary

Femur fractures with bone loss account for 22% of all the fractures with bone loss/defect, and 5 to 10% of distal femur fractures are open injuries. In the planning of treatment for bone loss, several factors must be considered: the quality of the soft tissue envelope, the quality of vascular supply, and the presence or absence of an infection. In terms of treatment there is a wide variety of options. Masquelet et al. described a procedure combining induced membranes and cancellous autografts. Bone grafting of these defects is often delayed after primary fixation to allow soft tissue healing, decrease the risk of infection, and prevent graft resorption. In traumatic wounds, antibiotic impregnated cement beads or spacers are often used for local antibiotic administration to the soft tissue bed. In addition, the advantages of inserting such a spacer include maintaining a well defined void to allow for later placement of graft, providing structural support, offloading the implant, and inducing the formation of a biomembrane. Currently there is no universally accepted algorithm that describes how to treat bone defects. To date, the surgeon often must decide on a case-by-case basis. The quality of the soft tissues, local perfusion, availability of vascular supply for possible flap coverage, and other factors must be reconsidered each time a bone loss is treated

Key words: bone loss, femoral fractures, treatment, Masquelet M. Ometti

V. Salini

Ospedale San Raffaele, Milano

Indirizzo per la corrispondenza: Marco Ometti

Unità di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale San Raffaele

via Olgettina, 60 20132 Milano

[email protected]

Il trattamento dei difetti ossei