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Le lesioni a carico del sistema muscolo-scheletrico sono una delle cause più co-muni di disabilità. Si stima che circa quattro milioni di persone ogni anno soffrano di disabilità temporanee o permanenti legate alle lesioni muscoloscheletriche. I fallimenti del trattamento per le fratture delle ossa lunghe (come ritardi di conso-lidazione, pseudoartrosi o osteomielite) sono tra le principali cause di tali disturbi muscoloscheletrici. Frequentemente, tali lesioni sono associate a perdita ossea, tra queste le fratture comminute con una grave perdita di sostanza risultano essere quelle più difficilmente trattabili 1.

Le fratture del femore con perdita ossea rappresentano il 22% di tutte le fratture con perdita/difetto osseo; il 5% - 10% delle fratture del femore distale risultano inoltre essere esposte 2.

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derati diversi fattori: la qualità della copertura dei tessu-ti molli, la qualità dell’apporto vascolare e la presenza o l’assenza di un’infezione. In termini di trattamento vi è una vasta gamma di opzioni. Nella fase acuta su può valutare l’asportazione di parte dell’osso con accorciamento dello stesso. In merito alla riduzione, devono essere considerati diversi concetti. Innanzitutto, le estremità ossee dovreb-bero essere regolarizzate per consentire il miglior contatto possibile. In secondo luogo, la vitalità dell’osso è di im-portanza fondamentale, quindi richiede un intervento chi-rurgico di revisione pianificato. Terzo, la copertura di tut-te le strutture ossee è fondamentale per evitare infezioni. Nel femore, i difetti più grandi fino a circa 7 cm (3 pollici) vengono per lo più trattati mediante resezione e accor-ciamento 3 4 Il vantaggio dell’accorciamento in fase acuta è rappresentato da una maggiore possibilità di evitare la necessità di una copertura del lembo libero facilitando la chiusura definitiva secondaria o l’innesto cutaneo preco-ce. Gli svantaggi di questo approccio includono l’accor-ciamento dell’arto interessato e un trattamento prolungato fino al raggiungimento della lunghezza pre-lesionale. Altre

opzioni di trattamento per la perdita ossea sono l’innesto osseo autologo, l’innesto osseo eterologo o l’uso di ma-trici ossee per riempire il gap 5 Quest’ultimo può essere combinato con fattori di crescita, cellule osteogeniche o entrambi. Sebbene queste tecniche possano essere stru-menti promettenti per il futuro, attualmente il numero di studi clinici che ne determinano l’utilità è limitato 6. L’os-so autologo continua ad avere proprietà ottimali per una crescita adeguata; tuttavia, le complicanze dopo l’utilizzo di innesto osseo da cresta iliaca sono significative 7, per-tanto il suo utilizzo per il riempimento dei difetti ossei è stato messo in discussione. La disponibilità di innesto os-seo autologo continua ad essere un problema. Sebbene si possa affermare che possono essere utilizzati più siti, come il gomito, il piatto tibiale e la spina iliaca posteriore superiore, la morbilità del sito donatore continua ad essere un problema e ha diminuito le opzioni per l’innesto auto-logo stesso. Masquelet et al. 8 hanno descritto una pro-cedura che combina membrane indotte e autotrapianti da spongiosa. L’innesto osseo di questi difetti è spesso ritar-dato dopo la fissazione primaria per consentire la guarigio-ne dei tessuti molli, ridurre il rischio di infezioguarigio-ne e prevenire il riassorbimento del graft 9. Nelle ferite traumatiche, per la somministrazione di antibiotici locali a livello dei tessuti molli vengono spesso utilizzate perline di cemento impre-gnate di antibiotico o spaziatori. Inoltre, i vantaggi

dell’uti-Figure 2-3. Espianto della protesi, resezione dell’osso coinvolto dal processo infettivo e posizionamento di blocco spaziatore

Figura 1. Pz. sottoposta ad intervento di protesi da grandi resezioni per localizzazione secondaria di adenocarcinoma mammario, complicato da infezione dell’impianto

104° CONGRESSO NAZIONALE S.I.O.T. Il trattamento dei difetti ossei del femore

lizzo dello spaziatore includono il mantenimento di un vuo-to ben definivuo-to per consentire il posizionamenvuo-to successi-vo dell’innesto, fornendo supporto strutturale e inducendo la formazione di una biomembrana. Masquelet e Begue hanno ipotizzato che questa membrana prevenga il rias-sorbimento dell’innesto e migliori la vascolarizzazione e la corticalizzazione. È stato osservato che, dopo il posiziona-mento iniziale dello spaziatore impregnato di antibiotici, sia necessario un intervallo di 4-5 settimane per lo sviluppo e la maturazione di una membrana biologicamente attiva adatta per l’innesto. Il distanziatore mantiene anche il di-fetto e inibisce l’ingrowth fibroso 10. La letteratura recente ha dimostrato che questa biomembrana può avere uno spessore compreso tra 0,5 e 1 mm 11 ed è stata descritta come sia iper-vascolare che impermeabile 12. Viateau et al. 13 hanno studiato questa tecnica in un modello di peco-ra e hanno scoperto che la sola membpeco-rana epeco-ra inadeguata per guarire un grande difetto. Ma quando l’innesto osseo autologo è stato collocato all’interno della membrana, tutti i difetti sono stati progressivamente colmati. La tecnica di induzione di una biomembrana sul sito di un difetto osseo con innesto progressivo è stata descritta nei casi clinici per difetti di varie dimensioni e in varie posizioni in tutto il sistema scheletrico. Il meccanismo d’azione delle mem-brane indotte nella riparazione ossea è stato recentemen-te studiato da Aho e dai suoi colleghi 14. Questi hanno scoperto che dopo un mese la membrana ha maggiori capacità di miglioramento dell’osteogenesi rispetto alla membrana dopo due mesi; hanno quindi concluso che il tempo ottimale per eseguire il second-stage di un inter-vento chirurgico possa essere entro un mese dall’impianto del materiale 14. Pelissier et al. 12 hanno dimostrato che le membrane indotte secernono fattori di crescita, compre-si fattori vascolari e osteoinduttivi, e possono stimolare la

rigenerazione ossea. La tecnica descritta da Masquelet e Begue 10 si basava sul posizionamento di autotrapianto spongioso morcellizzato prelevato da creste iliache all’in-terno del difetto associato alla biomembrana. Se questa quantità non è sufficiente, l’innesto demineralizzato viene aggiunto all’autotrapianto in un rapporto che non superi 1: 3 10. È stato anche descritto l’uso di autoinnesto spon-gioso da canale femorale e sono disponibili evidenze per dimostrare che i livelli di molti fattori di crescita (fattore di crescita dei fibroblasti-a, fattore di crescita derivato dal-le piastrine, fattore di crescita insulino-simidal-le 1, TGF-1 e BMP-2 ) nell’osso spongioso femorale siano presenti in concentrazioni più elevate rispetto alla cresta iliaca e ai preparati piastrinici 15. Attualmente non esiste un algoritmo universalmente accettato che descrive come trattare i di-fetti ossei. Ad oggi, il chirurgo deve spesso decidere caso per caso. La qualità dei tessuti molli, la perfusione locale, la disponibilità di rifornimento vascolare per la possibile copertura del lembo e altri fattori devono essere riconsi-derati ogni volta che viene trattata una perdita ossea. Bibliografia

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10 Masquelet AC, Begue T. The concept of induced membrane

Figure 4-5. Innesto di osso omologo, secondo la tecnica di Masquelet, stabilizzato con chiodo e posizionamento di protesi totale.

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Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia 2019;45(Suppl. 1):S445-S447 104° CONGRESSO NAZIONALE

S.I.O.T.

Riassunto

L’instabilità è una delle cause più frequenti di fallimento dopo protesi totale di ginocchio. La sinto-matologia è variabile e si può presentare clinicamente come dolore con sinovite, emartri o lussazioni franche del ginocchio. L’instabilità può essere in estensione, in flessione, in recurvato o globale. A questi tipi di instabilità va aggiunta una entità distinta di instabilità: la midflexion instability. Si manifesta quando il gnocchio è stabile a 0° e 90° ma instabile durante l’arco di movimento. È una problematica ancora oggetto di studio ma sembra legata all’innalzamento della rima articolare, al disegno delle scudo femorale o ad un eccessivo release del collaterale mediale

Parole chiave: instabilità in flessione e midflexion instability, protesi totale di ginocchio, instabiltà mediale

Summary

Knee instability is one of the major causes of failure in total knee arthoplasty (TKA). Symptoms of instability are varied, ranging from subjective sense of instability with effusion to knee dislocation. There are three types of instability: in extension, in flexion and in recurvatum. A separate clinical entity exists, described as mid-flexion instability; in this particular condition, the knee is stable at 90° of flexion and in extension, but unstable in the mid-way. As a poorly understood phenomenon, midflexion instability is associated with altered level of joint line, femoral component design and MCL laxity. These conditions have been suggested to cause mid-flexion laxity in primary TKA.

Key Words: flexion and midflexion istability, total knee arthroplasty, MCL laxity P. Adravanti

A. Ampollini

Casa di cura “Città di Parma”

Indirizzo per la corrispondenza: Aldo Ampollini

Casa di cura “Città di Parma” [email protected]

L’ instabilità in flessione e la midflexion