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Il registro Australiano, ancora oggi ritenuto il modello dei registri nazionali, ha riportato un aumento delle protesi monocompartimentali dopo la leggera flessione degli ul-timi anni, legata alla introduzione della robotica, passan-do dal 5,1% al 5,7% di tutte le procedure protesiche di ginocchio.

La divisione per genere è del 50% tra uomini e donne, un’età media piuttosto bassa che si attesta intorno ai 65 anni ( il motivo principale di revisione dell’impianto è nel 69% dei casi la progressione della malattia artrosica). Le revisioni degli impianti monocompartimentali si attesta-no a 14 anni intorattesta-no al 25% 13.

Le protesi non cementate hanno un tasso di revisione net-tamente maggiore nei primi sei mesi post-impianto e un minor tasso di revisione entro i 7 anni. Dopo i sette anni cementate e non cementate si equivalgono per tasso di revisione.

L’uso dell’inserto fisso è ancora l’impianto preferito in Au-stralia e ha un tasso di revisione minore rispetto al piatto mobile nei primi nove mesi, dopo questo periodo il tasso di revisione è lo stesso del piatto fisso.

Stupisce l’equivalenza del tasso di revisione tra UKA me-diale e laterale (15% a 10 anni, superiore al 20% a 15 anni) 13.

Nel Registro Canadese questa tendenza non è riportata, dove si riscontra un tasso di revisione delle protesi mono-compartimentali laterali molto più alto soprattutto nei primi 5 anni rispetto alle protesi mediali 14.

Completamente diverso è l’andamento negli USA, dopo un incremento degli impianti negli ultimi anni c’è una ten-denza costante alla diminuzione degli impianti che si atte-sta attualmente al 3,2% del totale degli impianti di ginoc-chio. I numeri sono ancora più significativi, se si pensa che nel 2003 rappresentavano il 14,5% e che i chirurghi, che hanno riferito di poter eseguire questo tipo di intervento, sono scesi dal 20% al di sotto del 15% dei partecipanti al registro nel 2017 15.

Non vengono distinti invece TKA e UKA nel registro Giap-ponese non permettendo analisi quantitative tra i due im-pianti 16.

Discussione

Storicamente per il successo clinico delle protesi mono-compartimentali è fondamentale un’attenta selezione dei

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pazienti candidati. Questo è ancor più vero oggigiorno perché si è capito che ottenendo risultati soddisfacenti si può arrivare allo scopo fondamentale che la UKA sia l’ulti-ma procedura chirurgica per il paziente.

Le indicazioni classiche, molto selettive, sono state codi-ficate nel 1989 da Kozinn e Scott e sono tuttora general-mente accettate 17.

Negli ultimi anni però, l’avanzamento tecnico e progettuale ha fatto si che alcune situazioni cliniche non debbano più essere considerate controindicazioni assolute.

Rimangono però delle regole assolute: la degenerazione artrosica deve essere confinata in un unico compartimen-to.

L’artrosi del compartimento mediale (se il legamento cro-ciato anteriore è integro) è localizzata prevalentemente in zona anteromediale del piatto tibiale e l’artrosi del com-partimento laterale è tipicamente sul versante femorale; altra condizione che è possibile trattare con la UKA è l’o-steonecrosi.

Non dovrebbero essere presenti alterazioni degenerative significative o sintomatiche in più di un compartimento. A questa condizione necessaria si devono associare l’as-senza di processo infiammatorio in atto, un

normale spessore cartilagineo negli altri compartimenti, un livello di attività non elevato (sport), l’assenza di dolore femoro-rotuleo e assenza di dolore a riposo; l’articolarità in flessione maggiore di 90°; deficit di estensione inferiore a 5°; la deformità in varo inferiore a 15° o comunque ridu-cibile (deformità in valgo < 20° o comunque riduridu-cibile per la mono esterna).

L’età non è attestata come un limite all’impianto della UKA. Le controindicazioni storiche per UKA sono l’artropatia in-fiammatoria, una HTO precedente con correzione ecces-siva, stato di sepsi, la lesione del legamento crociato (in fase di rivalutazione), sublussazione mediale o laterale (ge-neralmente associata a un ACL lacerato), deformitàdella diafisi tibiale o femorale e la capacità di flessione inferiore a 110°.

Numerosi studi recenti però hanno evidenziato risultati so-vrapponibili a medio e lungo termine in casi particolari che contravvengono a queste indicazioni.

In particolare, si sta rivalutando l’importanza dell’integrità del LCA. Hamilton e collaboratori, nel 2016 18 in uno studio retrospettivo su 820 pazienti, hanno dimostrato che “lo stato macroscopico del legamento crociato anteriore non influenza i risultati funzionali a lungo termine”.

L’utilizzo di una UKA è controverso in presenza di dege-nerazione artrosica del comparto femoro-rotuleo, nei pa-zienti più giovani e con alto livello di attività, obesità, con-drocalcinosi e artropatia da cristalli 19.

Generalmente contravvenire alle indicazioni inficia il risulta-to e questi sono riportati nei registri in maniera

inequivoca-bile: pazienti giovani con alta richiesta funzionale; pazienti in cui l’intervento non sia sufficiente a fermare la patologia, a riequilibrare l’asse o con lesioni legamentose o di altri compartimenti; sono destinati al fallimento e non per caso le cause di maggior insuccesso sono rappresentati da casi di loosening e progressione della malattia.

La tendenza degli ultimi anni all’aumento dell’uso di que-sti impianti ci deve far riflettere sulla possibilità terapeutica offerta al paziente: oggi l’impianto monocompartimentale non può essere più proposto come step intermedio tra l’HTO e la TKA, deve essere bensì proposto come unico intervento definitivo; pertanto, ci si dovrebbe aspettare un aumento di questi impianti, in individui più avanti con l’età che hanno una bassa richiesta funzionale e che spesso non potrebbero sostenere un intervento con maggior inva-sività. Allo stato attuale delle conoscenze, intervenire con la monocompartimentale a 50 anni, è una condanna alla revisione entro i 15 anni e quindi potrebbe rappresentare il primo di tre o più interventi chirurgici di sostituzione. Un altro interessante aspetto è la possibilità di intervenire con una protesi di primo impianto dopo una UKA, pos-sibilità spesso paventata da chirurghi e case produttrici ma chi esegue questo tipo di chirurgia spesso non rie-sce ad attuare dovendo intervenire con impianti a mag-gior resezione ossea, cosa che comporta nel caso di una Ri-revisione un intervento tecnicamente indaginoso e di-spendioso.

L’analisi dei Registri nazionali deve guidarci nelle scelte d’impianto, facendoci ragionare con cognizione di causa, all’atto dell’indicazione chirurgica di ogni singolo paziente ponendoci come obiettivo che il problema debba essere risolto definitivamente e non rimandato, come spesso ac-cadeva in passato.

Bibliografia

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3 Ko YB, Gujarathi MR, Oh KJ. Outcome of unicompartmental knee arthroplasty: a systematic review of comparative stud-ies between fixed and mobile bearings focusing on compli-cations. Knee Surg Relat Res 2015;27:141-8.

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5 Jamali AA, Scott RD, Rubash HE, et al. Unicompartmental knee arthroplasty: past, present, and future. Am J Orthop 2009;38:17-23.

104° CONGRESSO NAZIONALE S.I.O.T. Focus sulla chirurgia protesica di ginocchio. La Monocompartimentale: soluzione per il futuro?

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10 Registro SIRIS delle protesi dell’anca e del ginocchio Rap-porto annuale 2014, Novembre 2015, versione 1.0

11 Registro Portuges de Artroplastias. SPOT 2013.

12 Porter M, Borroff M, Gregg P. National Joint Registry for En-gland, Wales, Northern Ireland and the Isle of Man. 15th an-nual report 2018.

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14 Canadian Institute for Health Information. Hip and Knee Re-placements in Canada, 2017-2018: Canadian Joint Replace-ment Registry Annual Report. Ottawa, ON: CIHI 2019.

15 American Joint Replacement Registry. 2018 Annual Report: fifth AJRR Annual Report on Hip and Knee Arthroplasty. 2018

16 The Japanese Society For Replacement Arthroplasty. The Japan Arthroplasty Register. 2017/3/31

17 Kozinn SC, Scott R. Unicondylar knee arthroplasty. J Bone Jt Surg Am 1989;71:145-50.

18 Hamilton TW, Pistritto C, Jenkins C et al. Unicompartmental knee replacement: does the macroscopic status of the an-terior cruciate ligament affect outcome? Knee 2016;23:506-10.

19 Fantasia F, Placella G. La protesi monocompartimentale. Lo Scalpello-Otodi Educational 2019;1-9.

Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia 2019;45(Suppl. 1):S476-S479 104° CONGRESSO NAZIONALE

S.I.O.T.

Riassunto

Le metastasi ossee rappresentano, dopo quelle polmonari ed epatiche, la sede metastatica più comunemente coinvolta dai tumori. Le metastasi ossee sono associate a una varietà di complicanze scheletriche, tra cui dolore osseo, fratture patologiche e compressione del midollo spinale, che complicano il decorso clinico e influenzano negativamente la qualità della vita dei pazienti. Lo scopo del loro trattamento mira pertanto alla riduzione del dolore e della morbilità e al miglioramento della qualità della vita. Bifosfonati e denosumab, potenti inibitori del riassorbimento osseo mediato dagli osteoclasti, si sono dimostrati efficaci nel ridurre l’incidenza e nel ritardare la comparsa delle complicanze scheletriche.

Parole chiave: metastasi ossee, trattamento medico, tumori solidi, bisfosfonati, denosumab

Abstract

After lung and liver, the bone represents the most common metastatic site of solid tumors. Bone metastases are associated with a variety of skeletal complications, including bone pain, pathologic fractures, and spinal cord compression, which complicate the clinical course and adversely affect patient’s quality of life. Therefore, the goals of treatment for bone metastases are to reduce pain and morbidity and to improve quality of life. Bisphosphonates and denosumab are potent inhibitors of osteoclast-mediated bone resorption. They have proven effective in reducing the incidence and delaying the appearance of skeletal complications.

Key words: bone metastases, medical treatment, solid tumors, bisphosphonates, denosumab S. Gori

A. Modena A. Inno

IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar

Indirizzo per la corrispondenza: Stefania Gori

[email protected]

Il trattamento medico