Le infezioni periprotesiche rappresentano oggigiorno un problema di grande im-portanza in relazione al crescente numero di sostituzioni protesiche che quotidia-namente vengono effettuate.
L’incidenza di un’infezione peri-protesica in un impianto primario è pari all’1,6% con un range che va dall’1,2% al 2,4%. Se consideriamo, invece, l’incidenza delle infezioni peri-protesiche in un intervento di revisione, la letteratura ci suggerisce un valore che può raggiungere anche il 30% 1. Il dato è importante in quanto i pa-zienti che vanno incontro a questo tipo di infezioni hanno una possibilità di andare incontro ad exitus 2,5-7 volte maggiore rispetto ai pazienti che non si trovano ad fronteggiare questo tipo di complicanza 2. Il tasso di mortalità dei pazienti ospeda-lizzati sottoposti a revisione protesica di anca è secondo solo ad alcuni interventi di
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angioplastica coronarica 3. Il numero di nuove infezioni che si verificano ogni anno è di 2.600 con una spesa da parte della sanità di 100.000.000 di euro per la gestione di que-ste complicanze. Il costo di revisione di una protesi di anca settica è 2,8 volte maggiore rispetto ad una revisione non settica e 5 volte maggiore di un impianto primario 2. Sono dati allarmanti che devono far comprendere l’importanza di una corretta prevenzione e gestione della complicanza. La patogenesi delle infezioni peri-protesiche è da conside-rarsi differente rispetto ad una normale complicanza setti-ca; in questo caso, oltre al paziente (ospite) e al patogeno, entra in gioco un terzo elemento: l’impianto protesico. La superficie della protesi viene attaccata dai patogeni e funge da substrato per la formazione del primo meccanismo di difesa che i batteri vanno a costituire il biofilm. I batteri nel biofilm sono protetti grazie all’inibizione delle difese immu-nologiche e ad una azione barriera che quest’ultimo svol-ge nei confronti degli antibiotici e, infine, possono crescere sfruttando un metabolismo ridotto. Nelle prime 24-72 ore si innesca una cascata di eventi che consentono ai patoge-ni di vepatoge-nire a contatto con l’impianto protesico, crescere e maturare all’interno del biofilm. Quest’ultimo rappresenta un substrato ideale per il loro sviluppo e per la loro dispersione nell’organismo ospite 4 5. È stata studiata sperimentalmente la concentrazione minima di patogeni necessari a creare una infezione in seguito a contaminazione e i risultati hanno mostrato come il numero di batteri necessari per produrre una infezione osteoarticolare sia decisamente più basso in presenza di un impianto protesico 6.
I principali meccanismi di infezione sono da ricercarsi in tre elementi fondamentali: inoculazione diretta durante l’inter-vento, contaminazione per contiguità (SSI) e batteriemia 1. Più del 90% delle infezioni peri-protesiche che si manife-stano entro il primo anno postoperatorio sono dovute a una contaminazione intraoperatoria 7. È per questo motivo che la prevenzione delle infezioni rappresenta un cardine fondamentale nell’abbattimento delle complicanze infetti-ve di un interinfetti-vento di chirurgia protesica.
Fin dal 1970, il professor Bulchholz ha avuto l’intuizione di utilizzare la commistione tra i cementi peri-protesici e i farmaci antibiotici: l’unione delle due formulazioni ha con-sentito l’ottenimento dei cosiddetti cementi antibiotati 8. Sebbene la loro efficacia sia sempre stata molto dibattuta, questi ultimi negli anni hanno trovato ambito applicativo in due scenari principali: nell’utilizzo profilattico e in quello terapeutico.
L’utilizzo del cemento antibiotato a scopo profilattico, quindi prima che si verifichi un’infezione, viene comune-mente preso in considerazione in tutti quei pazienti dove il rischio infettivo è aumentato. L’azione antibiotica locale, infatti, può persistere fino a 3 mesi dall’impianto associato a cemento antibiotato 9. L’utilizzo di una
antibioticotera-pia locale, inoltre, garantisce una minor tossicità siste-mica 10 11. Nell’utilizzo profilattico, con dosi inferiori a 2 g di antibiotico, la porosità del cemento è garantita e non viene quindi inficiata la capacità di osteo-integrazione di quest’ultimo 12. I registri australiani suggeriscono che oltre il 95% delle sostituzioni protesiche con impianti cemen-tati prevedono l’utilizzo di un cemento antibiotato. Nelle sostituzioni totali d’anca il cemento liscio si dimostra più incline alla necessità di revisione chirurgica nei follow-up superiori a 5 anni. Negli Stati Uniti la maggior parte delle sostituzioni totali di anca vengono effettuate con impianti senza l’ausilio di cemento, cosa che non avviene invece in differenti aree geografiche 13. È stato dimostrato attraverso studi retrospettivi che l’utilizzo di cementi antibiotati asso-ciati ad una corretta profilassi antibiotica garantiscono una maggior protezione dalle infezioni profonde del sito chi-rurgico 14. Non vi è evidenza di una maggiore efficacia del cemento antibiotato rispetto a quello non antibiotato nelle sostituzioni totali di ginocchio: studi retrospettivi non han-no dimostrato un miglior outcome nella prevenzione delle infezioni peri-protesiche 15 16. Una recente analisi condotta in Nuova Zelanda ha dimostrato, invece, una maggior pro-babilità di andare incontro a revisione protesica in seguito a sostituzione totale di articolazione associata all’utilizzo di cemento antibiotato 17. La letteratura è attualmente anco-ra contanco-raddittoria e non vi è stato un consenso assoluto sul vantaggio dell’utilizzo dei cementi antibiotati nei primi impianti. I benefici dei cementi antibiotati nei primi impianti protesici, in considerazione degli elevati costi e dell’ipote-tico rischio di effetti avversi, potrebbero giustificarne l’u-tilizzo principalmente nei pazienti ad alto rischio infettivo. L’efficacia dell’utilizzo del cemento antibiotato nelle revi-sioni protesiche di anca e ginocchio, one-stage o two-stage, è attualmente dibattuto. L’utilizzo di quest’ultimo garantisce il vantaggio di una fissazione immediata delle componenti protesiche indipendentemente dalla qualità dell’osso. D’altro canto, in caso di reinfezione, la rimozione delle componenti cementate è certamente più complessa e maggiormente demolitiva 18. Inoltre, viene ormai consi-derato un dato storico che la durata di un impianto non cementato sia maggiore. Le revisioni protesiche di anca vengono più spesso effettuate attraverso impianti non cementati, al contrario le revisioni protesiche di ginocchio sempre più spesso vengono effettuate con l’utilizzo di im-pianti cementati 19. Non è chiaro se l’utilizzo dei cementi antibiotati garantisca una migliore efficienza nella cura del-le infezioni peri-protesiche. L’associazione degli aminogli-cosidi e dei glicopeptidi rappresenta una soluzione con un ampio spettro antimicrobico. La vancomicina, inoltre, rappresenta un’ottima soluzione per contrastare le infezio-ni degli Stafilococchi. I dati presenti in letteratura non sug-geriscono un dosaggio esatto di antibiotico da associare
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al cemento in caso di reimpianto dopo infezione. General-mente il dosaggio di antibiotico deve essere al di sotto dei 4 g ogni 40 g di polimetilmetacrilato per evitare di alterare le proprietà del cemento stesso 9.
Un argomento molto dibattuto è il timore che i cementi an-tibiotati possano creare delle resistenze batteriche o effetti avversi e tossicità. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie nel 2014 ha mostrato come, dai campioni raccolti, l’Italia presenti un valore percentuale di MRSA superiore al 50% 20. Uno studio retrospettivo di Hansen ha dimostrato che il tasso di infezioni in seguito ad utilizzo di cemento antibiotato è diminuito il rischio di infe-zione con MRSA si è dimezzato. I dati suggeriscono che l’utilizzo profilattico del cemento antibiotato non ha porta-to a mutazioni del profilo dei paporta-togeni né a resistenze 21. Non ci sono dati che riportano reazioni allergiche agli an-tibiotici presenti nei cementi antibiotati e non c’è evidenza di ipersensibilità mediata dall’interazione degli antibiotici presenti in quest’ultimi. In ogni caso, se un paziente è al-lergico ad un principio attivo, le concentrazioni sistemiche dell’antibiotico presente nel cemento potrebbero essere sufficienti a creare una reazione allergica 10 11.
In definitiva, vi è tuttora necessità di un maggior numero di studi per dimostrare l’efficacia dell’utilizzo dei cementi an-tibiotati nelle sostituzioni protesiche articolari, sia a scopo profilattico che nell’utilizzo terapeutico. Sebbene il prezzo dei cementi antibiotati resti tuttora alto, l’impegno eco-nomico della gestione di un’infezione peri-protesica con reimpianto è di gran lunga superiore a quest’ultimo. Bibliografia
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Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia 2019;45(Suppl. 1):S488-S491 104° CONGRESSO NAZIONALE
S.I.O.T.
Riassunto
La protesi inversa di spalla è, ad oggi, una possibile soluzione per molte patologie che interessano questa articolazione. Per ridurre le complicanze e migliorare i risultati clinici postoperatori, diverse soluzioni sono state proposte sia in termini di posizionamento delle componenti protesiche sia in termini di design delle componenti stesse. La dimensione e la forma della glenosfera, l’angolo di inclinazione omerale, la profondità dell’inserto in polietilene sono tutti elementi che, benché bio-meccanicamente determinino variazioni del tasso di notching o dell’articolarità, non comportano significative differenze a livello clinico. Evitare un tilt superiore del baseplate e ricercare una modesta lateralizzazione dell’impianto appaiono, invece, rilevanti per migliorare i risultati offerti dalla protesi inversa di spalla.
Parole chiave: protesi inversa, posizionamento protesico, biomeccanica, ROM, notching
Summary
Reverse shoulder arthroplasty is, nowadays, a possible solution for many diseases affecting the shoulder joint. To reduce complications and improve post-operative clinical results, different solutions have been proposed in terms of design and positioning of prosthesis components. The size and shape of the glenosphere, the neck-shaft angle, the depth of the polyethylene insert are all elements that, although biomechanically determine variations in the rate of notching and ROM, do not significant differentiate the clinical outcome. Avoiding a superior tilt of the baseplate and adding a modest lateralization of the implant appear, instead, relevant to improve the results offered by reverse shoulder arthroplasty.
Key words: reverse shoulder arthroplasty, implant positioning, biomechanics, ROM, notching C. Stoppani1 2
P.S. Randelli2 3
1 Università degli Studi di Milano, Milano, Italia; 2 Laboratorio di Biomeccanica Applicata, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano, Italia; 3 1a Clinica Ortopedica, ASST Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico Gaetano Pini-CTO, Milano, Italia
Indirizzo per la corrispondenza: Carlo Stoppani