2) lo Sportello Immigrazione
2.4 Discussione
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relazione che non può contare su risorse e voce, ma solo su quanto proposto dall’operatore. Nella relazione d’aiuto, che è relazione asimmetrica e da cui dunque ci si attende più che una negoziazione una pacata imposizione, gli utenti talora sconfinano, strabordando gli spazi lavorativi degli operatori quasi a riconquistare un ruolo attivo nella relazione, come è possibile osservare da questi estratti:
1.17 Entra un utente dalla sala d’attesa e si reca in bagno, salutando nel frattempo con un cenno gli operatori.
Non chiede di poter avere accesso al bagno dell’ufficio.
Dalla sala d’attesa nel frattempo si sente vociferare e l’operatore 1 aprendo la porta nota uno sguardo di rabbia tra due utenti, i quali prima erano stati rimproverati per essere entrati in ufficio senza rispettare il turno.
L’operatore 1 si rivolge agli utenti in sala d’attesa e dichiara “ qui queste cose non vogliamo vederle”.
2.25 Alle 15.19 entra un utente molto velocemente e va verso la scrivania in cui è seduto già un altro utente.
L’operatore 2 gli dice di aspettare ma lui alza la voce e risponde in inglese che è da più di un’ora che aspetta (mentre urla, mostra il cellulare con l’ora).
1.10 Alle 12.10 rientra l’operatore7, ma riesce subito, dopo aver salutato D. che ora è seduto nella prima scrivania di destra e guarda al pc su youtube alcune immagini di calcio che l’operatore 2 gli ha messo.
[ESTRATTO DALLE NOTE ETNOGRAFICHE – GIORNI 1 E 2]
Infine, come ultima pratica che descrive questa categoria vi è l’adattamento culturale (7). Nel seguente estratto un breve esempio di codifica in tal senso:
3.9 Sono le 13.35. C’è molta tranquillità. C’è silenzio.
Pochi operatori in ufficio. Solo 5 o 6 utenti da questa mattina. Chiedo perché c’è una tale calma oggi. L’operatore 2 mi risponde che oggi è una festa mussulmana. Di solito il martedì l’associazione è chiusa al pubblico e quindi già non vengono in tanti, però di solito qualche raccolta di storia e qualche colloquio lo si fa anche il martedì. “Oggi non verrà nessuno, vedrai”. “È festa e giustamente festeggiano”.
[ESTRATTO DALLE NOTE ETNOGRAFICHE – GIORNO 3]
Da esso sembra emergere un rispetto da parte degli operatori di ciò che è la diversità portata dall’utente in termini culturali, rispetto che si svela nell’accettazione che essi in alcuni momenti abbiamo ad esempio necessità di festeggiare ricorrenze secondo le loro usanze, ponendo in secondo piano gli impegni con gli operatori e altri obblighi.
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Questo breve estratto racchiude forse la sensazione più intensa provata dalla ricercatrice nel periodo di osservazione etnografica condotto. L’associazione e l’équipe degli 8 operatori osservati rappresentano una realtà di accoglienza dei migranti forzati altamente organizzata e coordinata, nonché ancorata ad una rete territoriale di servizi solida e in continua espansione. I valori dell’apertura volontaria delle proprie case, che mossero la nascita della realtà stessa, sembrano permanere fra le mura di un ufficio in cui tutto è aperto, dove non ci sono separazioni tra gli spazi adibiti all’azione di ciascun operatore, quasi metafora di un’azione congiunta verso i bisogni multidimensionali, sfaccettati e contemporaneamente indispensabili presentati dagli utenti e dai loro percorsi. Per rispondere a tali bisogni, l’agire dell’associazione sembra articolarsi a più livelli, tutti interconnessi tra loro: ad un primo livello vi è l’accesso, presso punti territoriali, all’incontro con gli operatori e alla presentazione del bisogno. Gli Sportelli Asilo e Immigrazione rappresentano i punti focali dell’accoglienza, della mappatura delle richieste portate dagli utenti, da cui si smistano le tappe successive. Fra queste, il secondo livello è rappresentato dall’accoglienza, un’accoglienza che secondo il Manuale Operativo dello SPRAR si definisce integrata, a sottolineare l’esigenza di integrare le risposte ai bisogni materiali e di assistenza presentati dagli utenti con le azioni volte alla costruzione di un bagaglio di risorse che permetta al beneficiario, una volta concluso un progetto, di muoversi autonomamente sul territorio e al di fuori di esso. Per questo all’aggettivo integrata si aggiunge l’aggettivo distribuita, rappresentante di una presa in carico dei percorsi dei beneficiari i cui compiti, responsabilità e prassi vengono distribuiti entro differenti enti e servizi che offrono le competenze e le risorse adeguate a ciò che in quel momento il progetto del beneficiario richiede. E’ il terzo macro livello che emerge dall’osservazione e che sembra essere descrittivo degli strumenti di cui l’associazione si fa carico.
A tessere queste fila sembrano essere proprio gli operatori dell’associazione, sia gli 8 partecipanti alla nostra ricerca, sia coloro che lavorano per l’amministrazione delle risorse, per la gestione dei fondi, per la loro richiesta: figure, queste ultime, che pur restando sullo sfondo dei progetti di accoglienza e integrazione per gli utenti, permettono che vengano mantenuti e finanziati.
Ciò che poi accade sulla linea dell’incontro e della relazione con gli utenti vede coinvolti gli 8 operatori, chi in ufficio, chi intorno ad esso (come ad esempio negli appartamenti di accoglienza). Dalla fotografia che è stata scattata attraverso questa prima fase della ricerca, i progetti individualizzati prevedono fasi e ruoli specifici, assunti dai diversi operatori. L’accoglienza della richiesta è, come già detto, il primo passaggio, da cui seguono i colloqui che vengono condotti dagli operatori delle diverse aree. Fra questi passaggi successivi, vi sono: i colloqui con gli operatori dell’area giuridica, che prevedono pratiche associate alla raccolta della memoria di migrazione del richiedente e alla preparazione della documentazione da presentare alla Commissione; i colloqui con gli operatori dell’area sanitaria per valutare il profilo sanitario dell’utente in accesso e organizzare le visite mediche presso i servizi territoriali; i colloqui con gli operatori dell’area sociale per avviare un
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progetto con l’associazione, che possa basarsi su una compartecipazione tra beneficiario e operatori per l’individuazione di obiettivi raggiungibili ma anche importanti e stimolanti per la costruzione di risorse utili all’autonomizzazione dei beneficiari in uscita. Dal progetto individuale si snoda poi il lavoro al di fuori dell’ufficio, quello degli accompagnamenti verso gli uffici territoriali, verso i servizi sociali e verso i servizi sanitari. In questa ricerca si è scelto di non osservare gli operatori al di fuori dell’ufficio, nei singoli accompagnamenti che quotidianamente fanno. La sede dell’associazione, infatti, era l’unico spazio dover poter osservare tutto il gruppo degli operatori, essendo il luogo da cui essi partono e a cui essi tornano ogni volta che concludono un accompagnamento o un attività condotta altrove. Si è tuttavia consapevoli che un’ampia parte che caratterizza il loro ruolo è rimasta fuori dall’obiettivo, limitando così la completezza dei dati.
Per quanto le tappe dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti forzati siano scandite a seconda dell’area (giuridica, sociale, sanitaria), da ciò che si è potuto osservare, questi incontri che apparentemente frammentano la presa in carico degli utenti, sembrano presentare una certa continuità di azione, un equilibrio tra ciò che viene fatto in un ambito e ciò che viene fatto in un altro. Questo forse è legato a quella dinamica di gruppo evidenziata dalla note etnografiche in cui tutti gli operatori sembrano essere a conoscenza del percorso dell’utente, degli obiettivi raggiunti e non raggiunti dal lavoro dei colleghi, dei tempi e delle scadenze per ogni beneficiario. Un coordinamento che sembra quasi ovviare ai tempi e alle attese burocratiche entro cui sono costretti utenti e operatori dell’associazione, attese che normalmente rallentano i processi e le attività che i beneficiari possono attivare per integrarsi gradualmente in un contesto ospitante. Senza il riconoscimento della protezione, infatti, il ruolo attivo degli utenti si snerva dietro il tempo dell’attesa e gli operatori, che sembrano consapevoli di tale meccanismo, appaiono impegnati nel fare il possibile affinché il beneficiario porti avanti gli obiettivi posti dal progetto.
Dal momento del riconoscimento della protezione, infatti, il progetto di accoglienza nello SPRAR ha una durata di 6 mesi (prorogabili con altri 6): un tempo piuttosto breve per riempire un bagaglio con risorse sufficienti all’adattamento in un nuovo Paese. Che non siano dunque anche i tempi burocratici a concorrere alla determinazione dei criteri di una relazione tra operatori e utenti, dove nullo è il ruolo attivo di questi ultimi, almeno per come emerge dal materiale di questa osservazione? Dove invece alto e talvolta direttivo è il ruolo di operatori, costretti anch’essi ai tempi imposti dal sistema di accoglienza e dalle risorse disponibili.
Certamente si tratta di una relazione d’aiuto, fondata su una richiesta ‐ la più antica, l’asilo – ma anche in quei luoghi di incontro in cui sembravano esserci spiragli di co‐
costruzione tra i due attori sociali, questi si limitavano ad una semplice apertura: di natura linguistica (l’adattare il proprio parlato alla conoscenza della lingua dell’utente) o di natura culturale (come ad esempio: il rispetto delle feste religiose degli utenti, per quanto queste non lo siano per le aziende autoctone in cui gli utenti lavorano) dove l’agire relazionale si fondava sulla spiegazione, sull’orientamento, sull’informare, ma non sul negoziare e costruire insieme.
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Per ora, a causa dell’obiettivo di questa fase della ricerca, quello di immergersi nel contesto per comprenderne a grandi linee il funzionamento, non è stato possibile entrare nel merito delle modalità con cui si sviluppa la relazione tra operatore e utente e nelle dimensioni, quali le rappresentazioni di cui l’operatore è portatore, che possono entrare in gioco nel definire le caratteristiche di tale relazione. Senza dubbio questa fase ha messo in luce quanto i meccanismi di sistema possono entrare nel lavoro quotidiano degli operatori con gli utenti, scandendone procedure, definendo gli artefatti che lo popolano (ad esempio la ricchezza di documentazione che popola le tappe di questo incontro), delineando i movimenti nello spazio istituzionale che gli attori sociali mettono in atto per il raggiungimento di obiettivi condizionati da risorse e prassi imposte dall’alto. Tuttavia, il poco tempo a disposizione per l’osservazione e la scelta del contesto entro cui condurla non hanno permesso di andare a fondo e di poter seguire in modo completo tutte le prassi che caratterizzano il lavoro degli operatori. Per questo motivo, il progetto di ricerca ha previsto fasi successive che potessero focalizzare lo sguardo sulle esperienze degli operatori stessi, dando voce ai loro vissuti in merito all’incontro con la popolazione migrante, attraverso la raccolta di interviste semi‐strutturate e attraverso l’osservazione partecipante ai colloqui di progetto che essi conducono con gli utenti, attraverso cui sarà possibile descrivere più approfonditamente quei pattern relazionali qui solo accennati.