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Discussione

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 73-77)

2)  lo Sportello Immigrazione

2.4  Discussione

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relazione  che  non  può  contare  su  risorse  e  voce,  ma  solo  su  quanto  proposto  dall’operatore. Nella relazione d’aiuto, che è relazione asimmetrica e da cui dunque  ci  si  attende  più  che  una  negoziazione  una  pacata  imposizione,  gli  utenti  talora  sconfinano, strabordando gli spazi lavorativi degli operatori quasi a riconquistare un  ruolo attivo nella relazione, come è possibile osservare da questi estratti: 

1.17 Entra un utente dalla sala d’attesa e si reca in bagno, salutando nel frattempo con un cenno gli operatori.

Non chiede di poter avere accesso al bagno dell’ufficio.

Dalla sala d’attesa nel frattempo si sente vociferare e l’operatore 1 aprendo la porta nota uno sguardo di rabbia tra due utenti, i quali prima erano stati rimproverati per essere entrati in ufficio senza rispettare il turno.

L’operatore 1 si rivolge agli utenti in sala d’attesa e dichiara “ qui queste cose non vogliamo vederle”.

2.25 Alle 15.19 entra un utente molto velocemente e va verso la scrivania in cui è seduto già un altro utente.

L’operatore 2 gli dice di aspettare ma lui alza la voce e risponde in inglese che è da più di un’ora che aspetta (mentre urla, mostra il cellulare con l’ora).

1.10 Alle 12.10 rientra l’operatore7, ma riesce subito, dopo aver salutato D. che ora è seduto nella prima scrivania di destra e guarda al pc su youtube alcune immagini di calcio che l’operatore 2 gli ha messo.

[ESTRATTO DALLE NOTE ETNOGRAFICHE – GIORNI 1 E 2] 

 

Infine,  come  ultima  pratica  che  descrive  questa  categoria  vi  è  l’adattamento  culturale (7). Nel seguente estratto un breve esempio di codifica in tal senso: 

3.9 Sono le 13.35. C’è molta tranquillità. C’è silenzio.

Pochi operatori in ufficio. Solo 5 o 6 utenti da questa mattina. Chiedo perché c’è una tale calma oggi. L’operatore 2 mi risponde che oggi è una festa mussulmana. Di solito il martedì l’associazione è chiusa al pubblico e quindi già non vengono in tanti, però di solito qualche raccolta di storia e qualche colloquio lo si fa anche il martedì. “Oggi non verrà nessuno, vedrai”. “È festa e giustamente festeggiano”.

[ESTRATTO DALLE NOTE ETNOGRAFICHE – GIORNO 3] 

 

Da  esso  sembra  emergere  un  rispetto  da  parte  degli  operatori  di  ciò  che  è  la  diversità  portata  dall’utente  in  termini  culturali,  rispetto  che  si  svela  nell’accettazione  che  essi  in  alcuni  momenti  abbiamo  ad  esempio  necessità  di  festeggiare  ricorrenze  secondo  le  loro  usanze,  ponendo  in  secondo  piano  gli  impegni con gli operatori e altri obblighi. 

   

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Questo  breve  estratto  racchiude  forse  la  sensazione  più  intensa  provata  dalla  ricercatrice  nel  periodo  di  osservazione  etnografica  condotto.  L’associazione  e  l’équipe  degli  8  operatori  osservati  rappresentano  una  realtà  di  accoglienza  dei  migranti  forzati  altamente  organizzata  e  coordinata,  nonché  ancorata  ad  una  rete  territoriale di servizi solida e in continua espansione. I valori dell’apertura volontaria  delle proprie case, che mossero la nascita della realtà stessa, sembrano permanere  fra le mura di un ufficio in cui tutto è aperto, dove non ci sono separazioni tra gli  spazi adibiti all’azione di ciascun operatore, quasi metafora di un’azione congiunta  verso i bisogni multidimensionali, sfaccettati e contemporaneamente indispensabili  presentati  dagli  utenti  e  dai  loro  percorsi.  Per  rispondere  a  tali  bisogni,  l’agire  dell’associazione  sembra  articolarsi  a  più  livelli,  tutti  interconnessi  tra  loro:  ad  un  primo livello vi è l’accesso, presso punti territoriali, all’incontro con gli operatori e  alla  presentazione  del  bisogno.  Gli  Sportelli  Asilo  e  Immigrazione  rappresentano  i  punti focali dell’accoglienza, della mappatura delle richieste portate dagli utenti, da  cui  si  smistano  le  tappe  successive.  Fra  queste,  il  secondo  livello  è  rappresentato  dall’accoglienza,  un’accoglienza  che  secondo  il  Manuale  Operativo  dello  SPRAR  si  definisce  integrata,  a  sottolineare  l’esigenza  di  integrare  le  risposte  ai  bisogni  materiali e di assistenza presentati dagli utenti con le azioni volte alla costruzione di  un bagaglio di risorse che permetta al beneficiario, una volta concluso un progetto,  di  muoversi  autonomamente  sul  territorio  e  al  di  fuori  di  esso.  Per  questo  all’aggettivo  integrata  si  aggiunge  l’aggettivo  distribuita,  rappresentante  di  una  presa  in  carico  dei  percorsi  dei  beneficiari  i  cui  compiti,  responsabilità  e  prassi  vengono  distribuiti  entro  differenti  enti  e  servizi  che  offrono  le  competenze  e  le  risorse adeguate a ciò che in quel momento il progetto del beneficiario richiede. E’ il  terzo  macro  livello  che  emerge  dall’osservazione  e  che  sembra  essere  descrittivo  degli strumenti di cui l’associazione si fa carico.  

A tessere queste fila sembrano essere proprio gli operatori dell’associazione, sia gli  8  partecipanti  alla  nostra  ricerca,  sia  coloro  che  lavorano  per  l’amministrazione  delle  risorse,  per  la  gestione  dei  fondi,  per  la  loro  richiesta:  figure,  queste  ultime,  che  pur  restando  sullo  sfondo  dei  progetti  di  accoglienza  e  integrazione  per  gli  utenti, permettono che vengano mantenuti e finanziati.  

Ciò  che  poi  accade  sulla  linea  dell’incontro  e  della  relazione  con  gli  utenti  vede  coinvolti gli  8 operatori, chi in ufficio, chi intorno ad esso (come ad esempio negli  appartamenti di accoglienza). Dalla fotografia che è stata scattata attraverso questa  prima  fase  della  ricerca,  i  progetti  individualizzati  prevedono  fasi  e  ruoli  specifici,  assunti dai diversi operatori. L’accoglienza della richiesta è, come già detto, il primo  passaggio,  da  cui  seguono  i  colloqui  che  vengono  condotti  dagli  operatori  delle  diverse  aree.  Fra  questi  passaggi  successivi,  vi  sono:  i  colloqui  con  gli  operatori  dell’area giuridica, che prevedono pratiche associate alla raccolta della memoria di  migrazione del richiedente e alla preparazione della documentazione da presentare  alla  Commissione;  i  colloqui  con  gli  operatori  dell’area  sanitaria  per  valutare  il  profilo  sanitario  dell’utente  in  accesso  e  organizzare  le  visite  mediche  presso  i  servizi  territoriali;  i  colloqui  con  gli  operatori  dell’area  sociale  per  avviare  un 

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progetto  con  l’associazione,  che  possa  basarsi  su  una  compartecipazione  tra  beneficiario  e  operatori  per  l’individuazione  di  obiettivi  raggiungibili  ma  anche  importanti  e  stimolanti  per  la  costruzione  di  risorse  utili  all’autonomizzazione  dei  beneficiari  in  uscita.  Dal  progetto  individuale  si  snoda  poi  il  lavoro  al  di  fuori  dell’ufficio, quello degli accompagnamenti verso gli uffici territoriali, verso i servizi  sociali  e  verso  i  servizi  sanitari.  In  questa  ricerca  si  è  scelto  di  non  osservare  gli  operatori al di fuori dell’ufficio, nei singoli accompagnamenti che quotidianamente  fanno.  La  sede  dell’associazione,  infatti,  era  l’unico  spazio  dover  poter  osservare  tutto  il  gruppo  degli  operatori,  essendo  il  luogo  da  cui  essi  partono  e  a  cui  essi  tornano  ogni  volta  che  concludono  un  accompagnamento  o  un  attività  condotta  altrove. Si è tuttavia consapevoli che un’ampia parte che caratterizza il loro ruolo è  rimasta fuori dall’obiettivo, limitando così la completezza dei dati.    

Per  quanto  le  tappe  dell’accoglienza  e  dell’integrazione  dei  migranti  forzati  siano  scandite  a  seconda  dell’area  (giuridica,  sociale,  sanitaria),  da  ciò  che  si  è  potuto  osservare, questi incontri che apparentemente frammentano la presa in carico degli  utenti, sembrano presentare una certa continuità di azione, un equilibrio tra ciò che  viene fatto in un ambito e ciò che viene fatto in un altro.  Questo forse è legato a  quella  dinamica  di  gruppo  evidenziata  dalla  note  etnografiche  in  cui  tutti  gli  operatori  sembrano  essere  a  conoscenza  del  percorso  dell’utente,  degli  obiettivi  raggiunti e non raggiunti dal lavoro dei colleghi, dei tempi e delle scadenze per ogni  beneficiario.  Un  coordinamento  che  sembra  quasi  ovviare  ai  tempi  e  alle  attese  burocratiche entro cui sono costretti utenti e operatori dell’associazione, attese che  normalmente    rallentano  i  processi  e  le  attività  che  i  beneficiari  possono  attivare  per integrarsi gradualmente in un contesto ospitante. Senza il riconoscimento della  protezione, infatti, il ruolo attivo degli utenti si snerva dietro il tempo dell’attesa e  gli  operatori,  che  sembrano  consapevoli  di  tale  meccanismo,  appaiono  impegnati  nel fare il possibile affinché il beneficiario porti avanti gli obiettivi posti dal progetto. 

Dal momento del riconoscimento della protezione, infatti, il progetto di accoglienza  nello  SPRAR  ha  una  durata  di  6  mesi  (prorogabili  con  altri  6):  un  tempo  piuttosto  breve per riempire un bagaglio con risorse sufficienti all’adattamento in un nuovo  Paese.  Che  non  siano  dunque  anche  i  tempi  burocratici  a  concorrere  alla  determinazione  dei  criteri  di  una  relazione  tra  operatori  e  utenti,  dove  nullo  è  il  ruolo  attivo  di  questi  ultimi,  almeno  per  come  emerge  dal  materiale  di  questa  osservazione? Dove invece alto e talvolta direttivo è il ruolo di operatori, costretti  anch’essi  ai  tempi  imposti  dal  sistema  di  accoglienza  e  dalle  risorse  disponibili. 

Certamente si tratta di una relazione d’aiuto, fondata su una richiesta ‐ la più antica,  l’asilo – ma anche in quei luoghi di incontro in cui sembravano esserci spiragli di co‐

costruzione tra i due attori sociali, questi si limitavano ad una semplice apertura: di  natura  linguistica  (l’adattare  il  proprio  parlato  alla  conoscenza  della  lingua  dell’utente) o di natura culturale (come ad esempio: il rispetto delle feste religiose  degli  utenti,  per  quanto  queste  non  lo  siano  per  le  aziende  autoctone  in  cui  gli  utenti  lavorano)  dove  l’agire  relazionale  si  fondava  sulla  spiegazione,  sull’orientamento, sull’informare, ma non sul negoziare e costruire insieme.    

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Per ora, a causa dell’obiettivo di questa fase della ricerca, quello di immergersi nel  contesto  per  comprenderne  a  grandi  linee  il  funzionamento,  non  è  stato  possibile  entrare  nel  merito  delle  modalità  con  cui  si  sviluppa  la  relazione  tra  operatore  e  utente e nelle dimensioni, quali le rappresentazioni di cui l’operatore è portatore,  che possono entrare in gioco nel definire le caratteristiche di tale relazione. Senza  dubbio  questa  fase  ha  messo  in  luce  quanto  i  meccanismi  di  sistema  possono  entrare  nel  lavoro  quotidiano  degli  operatori  con  gli  utenti,  scandendone  procedure,  definendo  gli  artefatti  che  lo  popolano  (ad  esempio  la  ricchezza  di  documentazione  che  popola  le  tappe  di  questo  incontro),  delineando  i  movimenti  nello spazio istituzionale che gli attori sociali mettono in atto per il raggiungimento  di obiettivi condizionati da risorse e prassi imposte dall’alto. Tuttavia, il poco tempo  a  disposizione  per  l’osservazione  e  la  scelta  del  contesto  entro  cui  condurla  non  hanno  permesso  di  andare  a  fondo  e  di  poter  seguire  in  modo  completo  tutte  le  prassi che caratterizzano il lavoro degli operatori. Per questo motivo, il progetto di  ricerca  ha  previsto  fasi  successive  che  potessero  focalizzare  lo  sguardo  sulle  esperienze  degli  operatori  stessi,  dando  voce  ai  loro  vissuti  in  merito  all’incontro  con la popolazione migrante, attraverso la raccolta di interviste semi‐strutturate e  attraverso  l’osservazione  partecipante  ai  colloqui  di  progetto  che  essi  conducono  con gli utenti, attraverso cui sarà possibile descrivere più approfonditamente quei  pattern relazionali qui solo accennati.     

                                             

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