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La storia dell’associazione

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 47-53)

2)  ASPETTI SIMBOLICI, comprendenti gli artefatti e gli oggetti presenti nello spazio  osservati in associazione e quelli utilizzati dagli operatori in supporto del loro lavoro

2.3  Risultati

2.3.1  La storia dell’associazione

Grafico 2.1 – Distribuzione delle categorie intermedie su 98 unità di analisi e 296 estratti codificati   

     

2.3 Risultati    

2.3.1 La storia dell’associazione    

La  prima  parte  di  questo  paragrafo,  che  ricostruisce  le  origini  e  l’evoluzione  dell’associazione, si basa sulle informazioni tratte dall’intervista in profondità con il  testimone  significativo  e  su  altre  informazioni  pubblicamente  comunicate  dal  presidente dell’associazione in occasione della presentazione della pubblicazione di  Chiara Marchetti: “Un mondo di rifugiati. Migrazioni forzate e campi profughi” del  2006. Tale pubblicazione faceva parte della documentazione d’archivio raccolta. Per  le  informazioni  successive  al  2006,  verranno  invece  riportati  estratti  tratti  dalle  interviste etnografiche, dalle interviste semi‐strutturate condotte con gli operatori  nella  seconda  fase  di  questa  ricerca  e  informazioni  ottenute  da  un  documento  d’archivio  raccolto  in  associazione.  Tale  documento,  definito  “il  Curriculum  Vitae  dell’associazione”, è stato redatto dagli operatori stessi per la presentazione online  dell’associazione e ciclicamente viene riaggiornato con i nuovi progetti che vengono  attivati  in  corso  d’opera.  Questo  paragrafo  non  pretende  di  essere  esaustivo  dei  progetti attivi e attivati dall’associazione dalla sua nascita ad oggi. Le informazioni  qui riportate e i passaggi che sono stati segnalati riguardano infatti ciò che è stato  possibile  segnalare  attraverso  le  fonti  raccolte  in  questa  fase  di  ricerca.  Per  non  rendere facilmente riconoscibile l’associazione che è stata oggetto della ricerca non  è stato possibile fornire specificazioni in merito ai nomi dei progetti, ai protocolli di  riferimento  e  agli  enti  finanziatori  delle  diverse  azioni.  Si  è  deciso,  dunque,  di 

DESCRIZIONE  SPAZI FISICI

DINAMICHE DEL  GRUPPO

RUOLI

PRATICHE 

NETWORK ARTEFATTI

BISOGNI UTENTI ASPETTI EMOTIVI

ATTEGGIAMENTI,  RAPPRESENTAZIONI

RELAZIONI CON GLI  UTENTI

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rendere  conto  solo  di  alcuni  punti  chiave  che  descrivono  il  progetto  dell’associazione, al fine di mostrare i livelli su cui si fonda la sua azione e come ad  essi si è giunti. 

 

La nascita dell’associazione 

L’estratto  qui  riportato  descrive  il  punto  di  origine  dell’associazione.  Il  testimone  significativo  dell’intervista  in  profondità,  infatti,  è  stato  ed  è  l’unico  operatore  dell’associazione  che,  insieme  al  presidente,  ha  assistito  alla  nascita  e  partecipato  alla crescita dell’associazione stessa. 

“La prima grossa manifestazione credo del Diritto d'Asilo è stata quella di aprire le case ai profughi della guerra dell'Ex-Jugoslavia. Quella è stata anche la prima forma che ha assunto il sistema di accoglienza in Italia. E quindi quando dico "noi" mi riferisco un po' a quell'esperienza che è stata un po' un'esperienza matrice, perché è quella che ha fatto conoscere a me qualcosa che prima non conoscevo, ma che non conoscevo anche perché prima non c'era in Italia, sebbene fosse scritto nella Costituzione.

Fa parte delle sporadiche esperienze che storicamente sono partite negli anni '90, che sono gli anni appunto della guerra in Jugoslavia. E' dagli anni '90 che si è iniziato a parlare in questi termini… e la proposta venne da noi, fu l'associazione ad individuare questa come una possibile cosa, come un possibile luogo di accoglienza, andando a prendere un articoletto di una legge degli anni '50 che destinava comunque una parte dell'edilizia pubblica agli esuli. Lì, come dire, l'interpretazione di questa norma fu molto contestata, perché era riferita agli italiani che rientravano in Italia dopo l'esperienza coloniale in Somalia, in Albania o in Eritrea. Su questa ambiguità anche terminologica degli esuli si riuscì ad impostare e io lo ricordo come un giorno di tripudio, il fondamento, la legittimazione anche legale affinché lo stato provvedesse, attraverso le autonomie locali, a garantire un'accoglienza in questo senso abitativa agli asilanti che arrivavano da varie zone dei Balcani”.

[ESTRATTO DALL’INTERVISTA AL TESTIMONE SIGNIFICATIVO] 

 

Tutto  nacque  pertanto  con  l’accoglienza,  nel  1993,  dei  disertori  della  guerra  in  ex  Jugoslavia. L’Italia, pur non essendosi mai data una legge sull’asilo, aveva approvato  una legge insolita, la legge 390/92, che stabiliva che venissero finanziati interventi 

“connessi alla ricezione, al trasporto e all’alloggio, al vitto, al vestiario, all’assistenza  igienico‐sanitaria,  all’assistenza  socio‐economica”  in  favore  di  sfollati,  accolti  sul  territorio  nazionale.  Inoltre,  l‘articolo  2  della  legge  stabiliva  che  i  disertori  e  gli  obiettori di coscienza dell’ex Jugoslavia avessero diritto alla protezione in Italia28. I  primi  obiettori  (considerati  disertori  della  guerra)  provenienti  da  diverse  regioni  dell’ex Jugoslavia furono accolti in un appartamento che l’associazione autofinanziò,  messo a disposizione dal comune della città. Fu il primo passo verso le future forme 

28 Ai sensi della stessa legge, si creò in quegli anni il “Tavolo di coordinamento aiuto profughi dalla ex Jugolsavia” 

che rimase operativo per tutta la durata del conflitto. Tra i compiti del tavolo vi era, oltre che all’organizzazione  dell’aiuto umanitario italiano nelle zone del conflitto, anche la discussione delle tematiche legate alla protezione  degli sfollati in Italia (Rossi, 2006). 

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di  protezione  temporanea  introdotte  sia  dalla  legislazione  italiana  che  da  quella  europea  (Petrovic,  2011),  tanto  che  questa  prima  azione  di  accoglienza  dell’associazione  stessa  venne  riconosciuta  nel  novembre  1994  da  Bruxelles,  così  come fu per campagne simili condotte da altri servizi in Paesi Europei quali Francia,  Svizzera,  Austria  e  Germania.  Da  quella  prima  esperienza,  l’associazione  continuò  l’accoglienza  e  dopo  i  disertori  dall’ex  Jugoslavia,  fu  il  caso  dei  curdi.  Si  trattava  tuttavia ancora di un’azione volontaria. Formalmente l’associazione nacque, infatti,  qualche anno dopo, tra il 2000 e il 2001, con la presentazione e l’attuazione di un  progetto  che  prevedeva  la  diffusione  delle  competenze  giuridiche  in  materia  d’immigrazione  tra  i  dipendenti  comunali  e  l’apertura  (ex  novo)  in  alcuni  comuni  della città di uno sportello rivolto agli stranieri per la consulenza legale29.  

“Legato al Diritto d'Asilo, legato all'accoglienza integrata, quando ad esempio aprimmo i primi sportelli nei comuni, noi chiedemmo e si ottenne che fossero situati dentro al comune, mentre la scelta generale di tutti gli uffici stranieri che magari nascevano in Italia era vicino alle stazioni, vicino al pronto soccorso, in luoghi molto periferici e comunque isolati e dedicati. Il fatto che invece avvenisse dentro i comuni, che fossero delle persone straniere a tenerlo e che una persona senza documenti potesse entrare in comune e dichiarare in comune che voleva fare richiesta di asilo politico...è stato un successo… un segnale concreto di questa disponibilità. Che quello non è il luogo delle autorità oscure, che quello è il luogo dove anche quella è casa tua, non solo il mio tinello... ma tu li puoi entrare e sei sicuro di poter entrare e di poter anche essere ascoltato. Il progetto nasce insieme all'associazione, nasce su quest'impostazione”.

[ESTRATTO DALL’INTERVISTA AL TESTIMONE SIGNIFICATIVO] 

 

Fu  una  collaborazione  che  si  estese  negli  anni  successivi  ad  altri  comuni  del  territorio  con  altrettanti  sportelli  aperti.  Lo  sportello  rappresentava  uno  spazio  di  partecipazione  congiunta  tra  operatori  italiani  (comunali),  operatori  giuridici  dell’ASGI30  (Associazione  per  gli  Studi  Giuridici  sull’Immigrazione)  e  operatori  stranieri che collaboravano con l’associazione per rispondere ai dubbi, alle questioni  legate  ai  permessi  di  soggiorno,  al  lavoro,  ai  ricongiungimenti  famigliari,  alle  cure  sanitarie, ai doveri e ai diritti dei cittadini stranieri. Era uno spazio istituzionalizzato  che si accompagnava al luogo informale di supporto rappresentato dalle comunità  di connazionali riunite sul territorio.  

“Nasceva dalla vicinanza a questi bisogni e nel tentativo di costruire, anche approssimando, delle prime risposte...

Però al tempo nasceva che era A., per prendere un esempio, la persona esperta in materia, ma perché le aveva vissute lui sulla sua pelle e sapeva ricostruirle. Quindi quella partecipazione fu davvero determinante… diciamo tra persone

29  Nel  2001  la  legge  Turco‐Napolitano  consentì  ai  comuni  di  ottenere  finanziamenti  per  progetti  volti  all’integrazione  degli  stranieri.  Fu  in  quell’occasione  che  l’associazione  propose  il  progetto  degli  Sportelli  Immigrazione (Rossi, E. in Marchetti, 2006). 

30  Associazione  nata  da  un  gruppo  di  avvocati,  giuristi  e  studiosi,  con  l’intenzione  di  condividere  la  normativa  nascente in tema d’immigrazione. Contribuito con suoi documenti all’elaborazione dei testi normativi statali e  comunitari in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza, promuovendo nel dibattito politico‐parlamentare e  nell’operato dei pubblici poteri la tutela dei diritti nei confronti degli stranieri. 

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straniere e persone italiane (ride)… che poi si sono date la forma dell'associazione, hanno assunto dei ruoli e delle funzioni... perché ai tempi c'erano degli interlocutori che erano magari anche le comunità dei connazionali, che quando arrivavano si organizzavano e che erano anche una risorsa molto forte perché supplivano anche a dei buchi enormi in termini di legislazione e di tutto quanto, di servizi, per la lingua e per tutto...”

[ESTRATTO DALL’INTERVISTA AL TESTIMONE SIGNIFICATIVO] 

 

Questo servizio era indirizzato a migranti in genere, senza distinzione tra i migranti  volontari  e  quelli  forzati,  tra  le  richieste  degli  uni  e  degli  altri.  L’associazione  congiuntamente  continuava  l’azione  di  riflessione  e  sensibilizzazione  intorno  alla  questione  della  migrazione  forzata,  iniziata  con  un’accoglienza  ancora  in  via  di  strutturazione. 

 

La presa in carico di migranti forzati con vulnerabilità  

Nella  grave  inadeguatezza  italiana  in  tema  di  asilo,  tutelare  il  diritto  d’asilo  significava  assumersi  un  carico  maggiore  e  in  primissimo  luogo  saper  produrre  accoglienza e risposte ai bisogni materiali. Partendo da questa premessa, si sentì la  necessità  di  istituzionalizzare  l’accoglienza,  la  difesa  dei  diritti  e  l’integrazione  dei  migranti forzati, sensibilizzando altri enti del territorio alla questione asilo. I risultati  di  tale  impegno  si  tradussero  in  un  progetto  che  l’associazione  stipulò  in  collaborazione con l’Ausl della città, che entrò a far parte della Rete europea per il  supporto  e  la  riabilitazione  delle  vittime  di  tortura,  con  il  coinvolgimento  di  un  numero crescente di comuni che si assumessero la responsabilità dell’accoglienza e  dell’integrazione  di  migranti  forzati  e  che  potessero  prendere  in  carico  eventuali  vittime  di  tortura.    Più  avanti  l’associazione  sarebbe  diventata  capofila  di  un  progetto  che  sperimentava  sul  territorio  un  modello  di  presa  in  carico  di  persone  vittime  di  tortura,  con  lo  scopo  poi  di  diffonderlo  e  replicarlo  sul  territorio  nazionale.  Tale  progetto  venne  successivamente  portato  avanti  da  un’équipe  multidisciplinare  costituita  da  operatori  socio‐sanitari  appartenenti  ai  tre  enti  promotori: l’associazione, l’Azienda Ausl della città e il consorzio delle cooperative  di  solidarietà  sociale  della  città.  La  costituzione  e  il  consolidamento  di  équipe  multidisciplinari  che  unissero  professionalità  sanitarie,  sociali  e  giuridico‐legali,  costituì un’importante sperimentazione del sistema asilo che si sarebbe di lì a poco  configurato  a  livello  nazionale.  Si  propose,  infatti,  un  modello  organizzativo  che  prevedeva la collaborazione in rete tra aziende sanitarie locali, enti di tutela, quali  l’associazione,  e  altri  servizi  che  si  occupavano  di  inserimento  lavorativo  e  formazione,  al  fine  di  garantire  percorsi  di  accoglienza  che  rispondessero  all’interdipendenza di aspetti giuridici, amministrativi, sociali e sanitari, tipica della  condizione  del  migrante  forzato.  Questo  modello  teneva  infatti  conto  della  multidimensionalità  dei  bisogni  presentati  dai  migranti  forzati,  che  spesso  portavano  come  bagaglio  esperienziale  fattori  riferibili  alla  vicenda  pre‐migratoria 

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(traumi,  torture,  violenze),  migratoria  e  spesso  anche  alla  condizione  pregressa  (disagio psichico, disabilità). 

Tra  il  2008  e  il  2013  poi,  il  Fondo  Europeo  per  i  Rifugiati  permise  di  perfezionare  quest’azione  di  accoglienza,  attraverso  il  finanziamento  di  due  progetti  presentati  dall’associazione,  da  essa  coordinati  in  collaborazione  con  la  provincia  e  con  innumerevoli  altri  partner.  Il  primo  progetto  portò  alla  pubblicazione  e  diffusione  delle linee guida rivolte ad operatori socio sanitari per la presa in carico di migranti  forzati. In particolare, a livello locale, l’esito del progetto fu la sottoscrizione di un  protocollo  d’intesa  tra  l’associazione  e  l’Azienda  Ausl  della  città  per  la  presa  in  carico delle vittime di tortura. Tale protocollo portò alla costituzione del cosiddetto  Coordinamento  interdisciplinare  socio‐sanitario  per  l’individuazione  dei  percorsi  di  cura  e  integrazione  nelle  situazioni  di  vulnerabilità  tra  richiedenti  e  titolari  di  protezione  internazionale.  Il  secondo  progetto  vide  la  costituzione  e  il  successivo  consolidamento di 10 équipe multidisciplinari in diverse città italiane destinate alla  presa  in  carico  e  alla  progettazione  socio‐sanitaria  dei  percorsi  di  diagnosi,  cura  e  riabilitazione  per  richiedenti  e  titolari  di  protezione  internazionale.  Come  sottolineato nel seguente estratto, di nota importanza nella messa in atto di nuove  azioni e progetti, quali la presa in carico, vi sono i Fondi Ministeriali e quelli Europei,  come il Fondo Europeo per i Rifugiati: 

“Il FER invece ti permette di avere delle risorse da destinare che vengono dall'Europa e questo ti permette di creare nuove situazioni, nuove opportunità... ti permette di esportare il modello del coordinamento interdisciplinare e di dire "guardate che qua c'è un sistema così che negli anni abbiamo visto che funziona, che ha un suo perché", integrato con i servizi soprattutto, perché è il territorio che si deve far carico delle persone. L’associazione ha creato dal nulla un modello suo, ha creato un coordinamento interdisciplinare socio sanitario. E’ riuscita dal nulla, perché è nato da un giorno in cui ci si è chiesti “ma cosa facciamo con tutte queste persone". E’ riuscita ad entrare in un sistema nazionale, a fare dei protocolli di intesa con l'Ausl che è una cosa che veramente non è così scontata perché l'Ausl ha tutta una sua dinamica, un suo ragionamento, perché è dovuto al tipo di lavoro che fanno”.

[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 2] 

 

L’accoglienza dei migranti forzati 

Sempre  potendo  contare  nel  tempo  sulla  collaborazione  con  l’Ausl  della  città,  che  offriva  all’associazione  il  supporto  sanitario  che  ad  essa  mancava  e  necessario  nell’iter di accoglienza dei migranti forzati, nel 2003, insieme ad altri 26 comuni del  territorio,  l’associazione  presentò  una  proposta  al  bando  Anci  (Associazione  Nazionale  Comuni  Italiani)   inerente  un  progetto  che  l’anno  dopo  le  permise  di  entrare  a  far  parte  della  rete  del  Sistema  Nazionale  di  Protezione  dei  Richiedenti  Asilo  e  dei  Rifugiati  (SPRAR).  Nell’anno  successivo,  tale  rete  si  allargò  ad  ulteriori  comuni  della  regione,  stabilendo  le  basi  per  un  intervento  a  livello  regionale  sull’asilo. L’obiettivo era quello di creare un gruppo regionale di Enti ed Associazioni  che operassero in tema di diritto di asilo, realizzando congiuntamente un’attività di 

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osservazione, monitoraggio delle presenze della popolazione rifugiata sul territorio,  di  formazione  e  di  sensibilizzazione.  Al  momento  della  raccolta  delle  note  etnografiche,  l’associazione  gestiva  lo  SPRAR  fornendo  accoglienza,  assistenza,  integrazione  e  tutela  a  migranti  forzati  nell’ambito  di  45  posti  autorizzati,  attivati  presso  strutture  abitative  dislocate  in  vari  comuni  della  provincia.  Non  solo,  nel  tempo e per rispondere ai bisogni di accoglienza di coloro che non rientravano nel  canale dello SPRAR, l’associazione attivò ulteriori progetti di accoglienza. Di questi  ne rende conto l’operatore 8 che, intervistato nella fase etnografica, così descrive i  progetti di accoglienza dell’associazione: 

“Al momento l’associazione ha tre tipi di progetti per l’accoglienza:

1) la pronta accoglienza;

2) lo SPRAR;

3) la seconda accoglienza.

Per il Progetto SPRAR il criterio di entrata è o cronologico (chi ha fatto richiesta di accoglienza prima) o di salute (“l’emergenza sanitaria vince”). Si valuta la priorità di un caso rispetto ad un altro in base all’urgenza della persona (esempio urgenza sanitaria) e in base ai posti disponibili in Italia e dunque alla possibilità eventuale di spostarsi altrove, in città e comuni in cui c’è un posto SPRAR. Il richiedente entra in SPRAR dopo aver fatto il C3 (modulistica per richiesta d’asilo con invio alla commissione territoriale), non prima. Per questo l’associazione da qualche anno ha anche la pronta accoglienza, perché nello SPRAR si entra solo con il permesso, contestuale alla formalizzazione (il c3). La pronta accoglienza è stata costituita per coprire questo periodo (dall’attivazione della richiesta all’accettazione della richiesta da parte della Questura prima e della Commissione poi). La pronta accoglienza però si attiva per persone presenti nella provincia, possibilmente vittime di tortura (questo il criterio di inserimento). Lo SPRAR così come la pronta accoglienza è solo per uomini. Lo SPRAR infatti prende solo uomini singoli e uomini singoli con vulnerabilità. Da gennaio 2013 è stato chiesto di fare un ampliamento anche alle donne. Il motivo per cui non era stato chiesto prima era perché non c’era una casa per donne.

Tempi progetti SPRAR sono di 6 mesi (richiesta + commissione) + 6 mesi. Quindi un massimo di un anno”.

[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ETNOGRAFICA CON L’OPERATORE 8] 

 

Accanto  all’accoglienza  attraverso  posti  SPRAR,  è  stata  dunque  attivata  in  associazione  la  prima  accoglienza,  che  potesse  rispondere  ai  bisogni  di  coloro  che  erano in attesa di una risposta alla richiesta d’asilo presentata. Non solo, di fronte al  mancato  raggiungimento  di  un’autonomia  economica  e  psicosociale  del  migrante  forzato alla fine del progetto SPRAR (spesso 6 mesi o un anno non sono sufficienti  per  raggiungere  tale  obiettivo),  l’associazione  avviò  un  progetto  di  seconda  accoglienza, descritto nell’estratto che segue:  

“Seconda accoglienza: sono percorsi alla fine di un progetto SPRAR nel momento in cui si sono conclusi con una non totale autonomia. Sono offerti solo dall’associazione, a qualcuno il cui percorso di autonomizzazione non è ancora

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finito”. Ricercatrice: “sulla base di cosa dici che non è autonomo?”

“L’associazione considera autonomia oltre all’autonomia economica di una persona anche l’autonomia sociale/psicologica. La seconda accoglienza non è solo per SPRAR, ma anche per utenti con protezione umanitaria, entrati attraverso l’Emergenza Nord Africa ad esempio.

Anche se lavorano, spesso vengono mantenuti in seconda accoglienza perché a volte quel che guadagnano non basta per vivere. Sono persone che hanno già finito la progettazione ma per cui non ti senti di dire che la persona riesce a vivere con le sue uniche risorse. La seconda accoglienza è a diversi livelli: ad esempio solo l’affitto, solo i biglietti del treno o dell’autobus, solo le visite mediche, solo la borsa lavoro. I finanziamenti per la seconda accoglienza si basano su un progetto con una banca della città, sull’8x1000 e sulla raccolta di quote da chi può (gli utenti che lavorano pagano una quota, cioè compartecipano alla spesa).

Non c’è un criterio unico, lo valutiamo caso per caso. E’

un periodo di passaggio. L’idea iniziale era di offrire una parentesi.

Tuttavia a dicembre 2013 si chiuderà perché il progetto non ha più sostenibilità: perché le persone che non lavorano sono troppe e l’associazione non ha più e risorse per rispondere a tutti”.

[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ETNOGRAFICA CON OPERATORE 8] 

 

Rispetto al momento della raccolta delle note etnografiche e delle interviste (2013),  ulteriori cambiamenti e ampliamenti sono avvenuti per quanto concerne i posti in  accoglienza.  In seguito all’ampliamento dello SPRAR tra la fine del 2013 e il 2014,  che  da  3.000  posti  è  passato  a  20.000,  l’associazione  ha  ottenuto,  infatti,  l’autorizzazione  all’aumento  dei  posti  adibiti  all’accoglienza.  L’operazione  Mare  Nostrum,  inoltre,  ha  richiesto  all’associazione  lo  sforzo  di  trovare  soluzioni  di  inserimento dentro a percorsi di accoglienza per le persone inviate sul territorio dai  punti  di  approdo.  Tali  contingenze  hanno  posto  l’associazione  di  fronte  alla  necessità di mettere in atto ulteriori modifiche al suo assetto, al fine di poter fornire  un’adeguata rete di operatori e servizi che potessero rispondere a nuovi numeri e ai  bisogni presentati31.  

In  questa  ricerca,  tuttavia,  non  si  rende  conto  di  tali  cambiamenti,  poiché  questi  sono  avvenuti  solo  in  seguito  al  momento  della  raccolta  dei  dati  delle  fasi  1  e  2. 

L’organizzazione  che  verrà  presentata  nel  prossimo  paragrafo,  nonché  i  ruoli  e  i  compiti ricoperti dagli operatori, fanno riferimento pertanto all’anno 2013.   

 

La diffusione di punti di accesso territoriali:  

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 47-53)