2) ASPETTI SIMBOLICI, comprendenti gli artefatti e gli oggetti presenti nello spazio osservati in associazione e quelli utilizzati dagli operatori in supporto del loro lavoro
2.3 Risultati
2.3.1 La storia dell’associazione
Grafico 2.1 – Distribuzione delle categorie intermedie su 98 unità di analisi e 296 estratti codificati
2.3 Risultati
2.3.1 La storia dell’associazione
La prima parte di questo paragrafo, che ricostruisce le origini e l’evoluzione dell’associazione, si basa sulle informazioni tratte dall’intervista in profondità con il testimone significativo e su altre informazioni pubblicamente comunicate dal presidente dell’associazione in occasione della presentazione della pubblicazione di Chiara Marchetti: “Un mondo di rifugiati. Migrazioni forzate e campi profughi” del 2006. Tale pubblicazione faceva parte della documentazione d’archivio raccolta. Per le informazioni successive al 2006, verranno invece riportati estratti tratti dalle interviste etnografiche, dalle interviste semi‐strutturate condotte con gli operatori nella seconda fase di questa ricerca e informazioni ottenute da un documento d’archivio raccolto in associazione. Tale documento, definito “il Curriculum Vitae dell’associazione”, è stato redatto dagli operatori stessi per la presentazione online dell’associazione e ciclicamente viene riaggiornato con i nuovi progetti che vengono attivati in corso d’opera. Questo paragrafo non pretende di essere esaustivo dei progetti attivi e attivati dall’associazione dalla sua nascita ad oggi. Le informazioni qui riportate e i passaggi che sono stati segnalati riguardano infatti ciò che è stato possibile segnalare attraverso le fonti raccolte in questa fase di ricerca. Per non rendere facilmente riconoscibile l’associazione che è stata oggetto della ricerca non è stato possibile fornire specificazioni in merito ai nomi dei progetti, ai protocolli di riferimento e agli enti finanziatori delle diverse azioni. Si è deciso, dunque, di
DESCRIZIONE SPAZI FISICI
DINAMICHE DEL GRUPPO
RUOLI
PRATICHE
NETWORK ARTEFATTI
BISOGNI UTENTI ASPETTI EMOTIVI
ATTEGGIAMENTI, RAPPRESENTAZIONI
RELAZIONI CON GLI UTENTI
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rendere conto solo di alcuni punti chiave che descrivono il progetto dell’associazione, al fine di mostrare i livelli su cui si fonda la sua azione e come ad essi si è giunti.
La nascita dell’associazione
L’estratto qui riportato descrive il punto di origine dell’associazione. Il testimone significativo dell’intervista in profondità, infatti, è stato ed è l’unico operatore dell’associazione che, insieme al presidente, ha assistito alla nascita e partecipato alla crescita dell’associazione stessa.
“La prima grossa manifestazione credo del Diritto d'Asilo è stata quella di aprire le case ai profughi della guerra dell'Ex-Jugoslavia. Quella è stata anche la prima forma che ha assunto il sistema di accoglienza in Italia. E quindi quando dico "noi" mi riferisco un po' a quell'esperienza che è stata un po' un'esperienza matrice, perché è quella che ha fatto conoscere a me qualcosa che prima non conoscevo, ma che non conoscevo anche perché prima non c'era in Italia, sebbene fosse scritto nella Costituzione.
Fa parte delle sporadiche esperienze che storicamente sono partite negli anni '90, che sono gli anni appunto della guerra in Jugoslavia. E' dagli anni '90 che si è iniziato a parlare in questi termini… e la proposta venne da noi, fu l'associazione ad individuare questa come una possibile cosa, come un possibile luogo di accoglienza, andando a prendere un articoletto di una legge degli anni '50 che destinava comunque una parte dell'edilizia pubblica agli esuli. Lì, come dire, l'interpretazione di questa norma fu molto contestata, perché era riferita agli italiani che rientravano in Italia dopo l'esperienza coloniale in Somalia, in Albania o in Eritrea. Su questa ambiguità anche terminologica degli esuli si riuscì ad impostare e io lo ricordo come un giorno di tripudio, il fondamento, la legittimazione anche legale affinché lo stato provvedesse, attraverso le autonomie locali, a garantire un'accoglienza in questo senso abitativa agli asilanti che arrivavano da varie zone dei Balcani”.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA AL TESTIMONE SIGNIFICATIVO]
Tutto nacque pertanto con l’accoglienza, nel 1993, dei disertori della guerra in ex Jugoslavia. L’Italia, pur non essendosi mai data una legge sull’asilo, aveva approvato una legge insolita, la legge 390/92, che stabiliva che venissero finanziati interventi
“connessi alla ricezione, al trasporto e all’alloggio, al vitto, al vestiario, all’assistenza igienico‐sanitaria, all’assistenza socio‐economica” in favore di sfollati, accolti sul territorio nazionale. Inoltre, l‘articolo 2 della legge stabiliva che i disertori e gli obiettori di coscienza dell’ex Jugoslavia avessero diritto alla protezione in Italia28. I primi obiettori (considerati disertori della guerra) provenienti da diverse regioni dell’ex Jugoslavia furono accolti in un appartamento che l’associazione autofinanziò, messo a disposizione dal comune della città. Fu il primo passo verso le future forme
28 Ai sensi della stessa legge, si creò in quegli anni il “Tavolo di coordinamento aiuto profughi dalla ex Jugolsavia”
che rimase operativo per tutta la durata del conflitto. Tra i compiti del tavolo vi era, oltre che all’organizzazione dell’aiuto umanitario italiano nelle zone del conflitto, anche la discussione delle tematiche legate alla protezione degli sfollati in Italia (Rossi, 2006).
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di protezione temporanea introdotte sia dalla legislazione italiana che da quella europea (Petrovic, 2011), tanto che questa prima azione di accoglienza dell’associazione stessa venne riconosciuta nel novembre 1994 da Bruxelles, così come fu per campagne simili condotte da altri servizi in Paesi Europei quali Francia, Svizzera, Austria e Germania. Da quella prima esperienza, l’associazione continuò l’accoglienza e dopo i disertori dall’ex Jugoslavia, fu il caso dei curdi. Si trattava tuttavia ancora di un’azione volontaria. Formalmente l’associazione nacque, infatti, qualche anno dopo, tra il 2000 e il 2001, con la presentazione e l’attuazione di un progetto che prevedeva la diffusione delle competenze giuridiche in materia d’immigrazione tra i dipendenti comunali e l’apertura (ex novo) in alcuni comuni della città di uno sportello rivolto agli stranieri per la consulenza legale29.
“Legato al Diritto d'Asilo, legato all'accoglienza integrata, quando ad esempio aprimmo i primi sportelli nei comuni, noi chiedemmo e si ottenne che fossero situati dentro al comune, mentre la scelta generale di tutti gli uffici stranieri che magari nascevano in Italia era vicino alle stazioni, vicino al pronto soccorso, in luoghi molto periferici e comunque isolati e dedicati. Il fatto che invece avvenisse dentro i comuni, che fossero delle persone straniere a tenerlo e che una persona senza documenti potesse entrare in comune e dichiarare in comune che voleva fare richiesta di asilo politico...è stato un successo… un segnale concreto di questa disponibilità. Che quello non è il luogo delle autorità oscure, che quello è il luogo dove anche quella è casa tua, non solo il mio tinello... ma tu li puoi entrare e sei sicuro di poter entrare e di poter anche essere ascoltato. Il progetto nasce insieme all'associazione, nasce su quest'impostazione”.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA AL TESTIMONE SIGNIFICATIVO]
Fu una collaborazione che si estese negli anni successivi ad altri comuni del territorio con altrettanti sportelli aperti. Lo sportello rappresentava uno spazio di partecipazione congiunta tra operatori italiani (comunali), operatori giuridici dell’ASGI30 (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e operatori stranieri che collaboravano con l’associazione per rispondere ai dubbi, alle questioni legate ai permessi di soggiorno, al lavoro, ai ricongiungimenti famigliari, alle cure sanitarie, ai doveri e ai diritti dei cittadini stranieri. Era uno spazio istituzionalizzato che si accompagnava al luogo informale di supporto rappresentato dalle comunità di connazionali riunite sul territorio.
“Nasceva dalla vicinanza a questi bisogni e nel tentativo di costruire, anche approssimando, delle prime risposte...
Però al tempo nasceva che era A., per prendere un esempio, la persona esperta in materia, ma perché le aveva vissute lui sulla sua pelle e sapeva ricostruirle. Quindi quella partecipazione fu davvero determinante… diciamo tra persone
29 Nel 2001 la legge Turco‐Napolitano consentì ai comuni di ottenere finanziamenti per progetti volti all’integrazione degli stranieri. Fu in quell’occasione che l’associazione propose il progetto degli Sportelli Immigrazione (Rossi, E. in Marchetti, 2006).
30 Associazione nata da un gruppo di avvocati, giuristi e studiosi, con l’intenzione di condividere la normativa nascente in tema d’immigrazione. Contribuito con suoi documenti all’elaborazione dei testi normativi statali e comunitari in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza, promuovendo nel dibattito politico‐parlamentare e nell’operato dei pubblici poteri la tutela dei diritti nei confronti degli stranieri.
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straniere e persone italiane (ride)… che poi si sono date la forma dell'associazione, hanno assunto dei ruoli e delle funzioni... perché ai tempi c'erano degli interlocutori che erano magari anche le comunità dei connazionali, che quando arrivavano si organizzavano e che erano anche una risorsa molto forte perché supplivano anche a dei buchi enormi in termini di legislazione e di tutto quanto, di servizi, per la lingua e per tutto...”
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA AL TESTIMONE SIGNIFICATIVO]
Questo servizio era indirizzato a migranti in genere, senza distinzione tra i migranti volontari e quelli forzati, tra le richieste degli uni e degli altri. L’associazione congiuntamente continuava l’azione di riflessione e sensibilizzazione intorno alla questione della migrazione forzata, iniziata con un’accoglienza ancora in via di strutturazione.
La presa in carico di migranti forzati con vulnerabilità
Nella grave inadeguatezza italiana in tema di asilo, tutelare il diritto d’asilo significava assumersi un carico maggiore e in primissimo luogo saper produrre accoglienza e risposte ai bisogni materiali. Partendo da questa premessa, si sentì la necessità di istituzionalizzare l’accoglienza, la difesa dei diritti e l’integrazione dei migranti forzati, sensibilizzando altri enti del territorio alla questione asilo. I risultati di tale impegno si tradussero in un progetto che l’associazione stipulò in collaborazione con l’Ausl della città, che entrò a far parte della Rete europea per il supporto e la riabilitazione delle vittime di tortura, con il coinvolgimento di un numero crescente di comuni che si assumessero la responsabilità dell’accoglienza e dell’integrazione di migranti forzati e che potessero prendere in carico eventuali vittime di tortura. Più avanti l’associazione sarebbe diventata capofila di un progetto che sperimentava sul territorio un modello di presa in carico di persone vittime di tortura, con lo scopo poi di diffonderlo e replicarlo sul territorio nazionale. Tale progetto venne successivamente portato avanti da un’équipe multidisciplinare costituita da operatori socio‐sanitari appartenenti ai tre enti promotori: l’associazione, l’Azienda Ausl della città e il consorzio delle cooperative di solidarietà sociale della città. La costituzione e il consolidamento di équipe multidisciplinari che unissero professionalità sanitarie, sociali e giuridico‐legali, costituì un’importante sperimentazione del sistema asilo che si sarebbe di lì a poco configurato a livello nazionale. Si propose, infatti, un modello organizzativo che prevedeva la collaborazione in rete tra aziende sanitarie locali, enti di tutela, quali l’associazione, e altri servizi che si occupavano di inserimento lavorativo e formazione, al fine di garantire percorsi di accoglienza che rispondessero all’interdipendenza di aspetti giuridici, amministrativi, sociali e sanitari, tipica della condizione del migrante forzato. Questo modello teneva infatti conto della multidimensionalità dei bisogni presentati dai migranti forzati, che spesso portavano come bagaglio esperienziale fattori riferibili alla vicenda pre‐migratoria
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(traumi, torture, violenze), migratoria e spesso anche alla condizione pregressa (disagio psichico, disabilità).
Tra il 2008 e il 2013 poi, il Fondo Europeo per i Rifugiati permise di perfezionare quest’azione di accoglienza, attraverso il finanziamento di due progetti presentati dall’associazione, da essa coordinati in collaborazione con la provincia e con innumerevoli altri partner. Il primo progetto portò alla pubblicazione e diffusione delle linee guida rivolte ad operatori socio sanitari per la presa in carico di migranti forzati. In particolare, a livello locale, l’esito del progetto fu la sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra l’associazione e l’Azienda Ausl della città per la presa in carico delle vittime di tortura. Tale protocollo portò alla costituzione del cosiddetto Coordinamento interdisciplinare socio‐sanitario per l’individuazione dei percorsi di cura e integrazione nelle situazioni di vulnerabilità tra richiedenti e titolari di protezione internazionale. Il secondo progetto vide la costituzione e il successivo consolidamento di 10 équipe multidisciplinari in diverse città italiane destinate alla presa in carico e alla progettazione socio‐sanitaria dei percorsi di diagnosi, cura e riabilitazione per richiedenti e titolari di protezione internazionale. Come sottolineato nel seguente estratto, di nota importanza nella messa in atto di nuove azioni e progetti, quali la presa in carico, vi sono i Fondi Ministeriali e quelli Europei, come il Fondo Europeo per i Rifugiati:
“Il FER invece ti permette di avere delle risorse da destinare che vengono dall'Europa e questo ti permette di creare nuove situazioni, nuove opportunità... ti permette di esportare il modello del coordinamento interdisciplinare e di dire "guardate che qua c'è un sistema così che negli anni abbiamo visto che funziona, che ha un suo perché", integrato con i servizi soprattutto, perché è il territorio che si deve far carico delle persone. L’associazione ha creato dal nulla un modello suo, ha creato un coordinamento interdisciplinare socio sanitario. E’ riuscita dal nulla, perché è nato da un giorno in cui ci si è chiesti “ma cosa facciamo con tutte queste persone". E’ riuscita ad entrare in un sistema nazionale, a fare dei protocolli di intesa con l'Ausl che è una cosa che veramente non è così scontata perché l'Ausl ha tutta una sua dinamica, un suo ragionamento, perché è dovuto al tipo di lavoro che fanno”.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 2]
L’accoglienza dei migranti forzati
Sempre potendo contare nel tempo sulla collaborazione con l’Ausl della città, che offriva all’associazione il supporto sanitario che ad essa mancava e necessario nell’iter di accoglienza dei migranti forzati, nel 2003, insieme ad altri 26 comuni del territorio, l’associazione presentò una proposta al bando Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) inerente un progetto che l’anno dopo le permise di entrare a far parte della rete del Sistema Nazionale di Protezione dei Richiedenti Asilo e dei Rifugiati (SPRAR). Nell’anno successivo, tale rete si allargò ad ulteriori comuni della regione, stabilendo le basi per un intervento a livello regionale sull’asilo. L’obiettivo era quello di creare un gruppo regionale di Enti ed Associazioni che operassero in tema di diritto di asilo, realizzando congiuntamente un’attività di
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osservazione, monitoraggio delle presenze della popolazione rifugiata sul territorio, di formazione e di sensibilizzazione. Al momento della raccolta delle note etnografiche, l’associazione gestiva lo SPRAR fornendo accoglienza, assistenza, integrazione e tutela a migranti forzati nell’ambito di 45 posti autorizzati, attivati presso strutture abitative dislocate in vari comuni della provincia. Non solo, nel tempo e per rispondere ai bisogni di accoglienza di coloro che non rientravano nel canale dello SPRAR, l’associazione attivò ulteriori progetti di accoglienza. Di questi ne rende conto l’operatore 8 che, intervistato nella fase etnografica, così descrive i progetti di accoglienza dell’associazione:
“Al momento l’associazione ha tre tipi di progetti per l’accoglienza:
1) la pronta accoglienza;
2) lo SPRAR;
3) la seconda accoglienza.
Per il Progetto SPRAR il criterio di entrata è o cronologico (chi ha fatto richiesta di accoglienza prima) o di salute (“l’emergenza sanitaria vince”). Si valuta la priorità di un caso rispetto ad un altro in base all’urgenza della persona (esempio urgenza sanitaria) e in base ai posti disponibili in Italia e dunque alla possibilità eventuale di spostarsi altrove, in città e comuni in cui c’è un posto SPRAR. Il richiedente entra in SPRAR dopo aver fatto il C3 (modulistica per richiesta d’asilo con invio alla commissione territoriale), non prima. Per questo l’associazione da qualche anno ha anche la pronta accoglienza, perché nello SPRAR si entra solo con il permesso, contestuale alla formalizzazione (il c3). La pronta accoglienza è stata costituita per coprire questo periodo (dall’attivazione della richiesta all’accettazione della richiesta da parte della Questura prima e della Commissione poi). La pronta accoglienza però si attiva per persone presenti nella provincia, possibilmente vittime di tortura (questo il criterio di inserimento). Lo SPRAR così come la pronta accoglienza è solo per uomini. Lo SPRAR infatti prende solo uomini singoli e uomini singoli con vulnerabilità. Da gennaio 2013 è stato chiesto di fare un ampliamento anche alle donne. Il motivo per cui non era stato chiesto prima era perché non c’era una casa per donne.
Tempi progetti SPRAR sono di 6 mesi (richiesta + commissione) + 6 mesi. Quindi un massimo di un anno”.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ETNOGRAFICA CON L’OPERATORE 8]
Accanto all’accoglienza attraverso posti SPRAR, è stata dunque attivata in associazione la prima accoglienza, che potesse rispondere ai bisogni di coloro che erano in attesa di una risposta alla richiesta d’asilo presentata. Non solo, di fronte al mancato raggiungimento di un’autonomia economica e psicosociale del migrante forzato alla fine del progetto SPRAR (spesso 6 mesi o un anno non sono sufficienti per raggiungere tale obiettivo), l’associazione avviò un progetto di seconda accoglienza, descritto nell’estratto che segue:
“Seconda accoglienza: sono percorsi alla fine di un progetto SPRAR nel momento in cui si sono conclusi con una non totale autonomia. Sono offerti solo dall’associazione, a qualcuno il cui percorso di autonomizzazione non è ancora
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finito”. Ricercatrice: “sulla base di cosa dici che non è autonomo?”
“L’associazione considera autonomia oltre all’autonomia economica di una persona anche l’autonomia sociale/psicologica. La seconda accoglienza non è solo per SPRAR, ma anche per utenti con protezione umanitaria, entrati attraverso l’Emergenza Nord Africa ad esempio.
Anche se lavorano, spesso vengono mantenuti in seconda accoglienza perché a volte quel che guadagnano non basta per vivere. Sono persone che hanno già finito la progettazione ma per cui non ti senti di dire che la persona riesce a vivere con le sue uniche risorse. La seconda accoglienza è a diversi livelli: ad esempio solo l’affitto, solo i biglietti del treno o dell’autobus, solo le visite mediche, solo la borsa lavoro. I finanziamenti per la seconda accoglienza si basano su un progetto con una banca della città, sull’8x1000 e sulla raccolta di quote da chi può (gli utenti che lavorano pagano una quota, cioè compartecipano alla spesa).
Non c’è un criterio unico, lo valutiamo caso per caso. E’
un periodo di passaggio. L’idea iniziale era di offrire una parentesi.
Tuttavia a dicembre 2013 si chiuderà perché il progetto non ha più sostenibilità: perché le persone che non lavorano sono troppe e l’associazione non ha più e risorse per rispondere a tutti”.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ETNOGRAFICA CON OPERATORE 8]
Rispetto al momento della raccolta delle note etnografiche e delle interviste (2013), ulteriori cambiamenti e ampliamenti sono avvenuti per quanto concerne i posti in accoglienza. In seguito all’ampliamento dello SPRAR tra la fine del 2013 e il 2014, che da 3.000 posti è passato a 20.000, l’associazione ha ottenuto, infatti, l’autorizzazione all’aumento dei posti adibiti all’accoglienza. L’operazione Mare Nostrum, inoltre, ha richiesto all’associazione lo sforzo di trovare soluzioni di inserimento dentro a percorsi di accoglienza per le persone inviate sul territorio dai punti di approdo. Tali contingenze hanno posto l’associazione di fronte alla necessità di mettere in atto ulteriori modifiche al suo assetto, al fine di poter fornire un’adeguata rete di operatori e servizi che potessero rispondere a nuovi numeri e ai bisogni presentati31.
In questa ricerca, tuttavia, non si rende conto di tali cambiamenti, poiché questi sono avvenuti solo in seguito al momento della raccolta dei dati delle fasi 1 e 2.
L’organizzazione che verrà presentata nel prossimo paragrafo, nonché i ruoli e i compiti ricoperti dagli operatori, fanno riferimento pertanto all’anno 2013.
La diffusione di punti di accesso territoriali: