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La  rappresentazione  sociale  dell’operatore  nell’incontro  con  l’utente  migrante

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 93-108)

4)  la  rappresentazione  sociale  del  Diritto  d’Asilo,  costituita  da  temi  (macro‐

3.4  Risultati

3.4.1  La  rappresentazione  sociale  dell’operatore  nell’incontro  con  l’utente  migrante

 

La  rappresentazione  sociale  dell’operatore  nell’incontro  con  l’utente  migrante  forzato  si  sviluppa  intorno  ad  alcuni  temi  (grafico  3.1):  l’interpretazione  del  loro  ruolo  di  operatori;  la  natura  e  le  caratteristiche  della  relazione  con  gli  utenti,  nonché i vissuti emotivi che accompagnano il loro agire in associazione40

 

Grafico  3.1  ‐  Rappresentazione  sociale  dell’operatore  nell’incontro  con  l’utente  migrante:  temi  e  codici che la costituiscono 

40 Un ultimo tema, quello legato agli aspetti strutturali, visibili nel grafico 3.1, è stato escluso dai risultati esposti  in questo capitolo, poiché già descritto nel capitolo sull’Etnografia di sfondo. 

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INTERPRETAZIONE PERSONALE DEL PROPRIO RUOLO 

Circa  questa  prima  area  di  contenuti  che  formano  la  rappresentazione  sociale  dell’operatore  emersa  dalle  interviste,  essa  mette  in  luce  4  macro‐categorie  che  tematizzano le rappresentazioni del ruolo che gli operatori sentono di avere nel loro  lavoro,  mostrando  la  loro  capacità  di  interpretare  le  dinamiche  associate  al  loro  ruolo, dandovi senso e svelando le possibili strategie che a loro avviso e dalla loro  esperienza migliorerebbero il modo di porsi come attore della relazione d’aiuto. Nel  grafico  3.2  è  riportata  la  distribuzione  delle  4  macro‐categorie  dentro  a  questa  rappresentazione.  

 

Grafico 3.2 ‐ Rappresentazione sociale del ruolo dell’operatore: distribuzione delle 4 macro‐categorie  che la costituiscono 

 

   

L’operatore mimetico 

Secondo  questa  macro‐categoria,  che  conta  6  estratti,  il  lavoro  dell’operatore  si  basa  innanzitutto  sulla  capacità  di  adattarsi  alla  relazione  e  al  bisogno  portato 

40%

24%

8%

28% Riflessivo

Mimetico Attivo Politico

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dall’utente.  L’adattamento  assume  ad  esempio  per  l’operatore  6  la  forma  dell’improvvisazione, definita come un “andare a sentimento”:  

Io in realtà poi sono qua da poco, quindi ti posso dire come gestisco più o meno le cose io, nel senso che non è che abbia una sorta di protocollo, no, per cui vado molto più a sentimento. Per cui ogni tanto passo, ogni tanto faccio due chiacchere, quando penso che sia opportuno andare in un posto vado lì piuttosto che in un altro, posso andarci un pomeriggio, posso andarci invece dopo cena, dipende un po' dalle cose che vuoi trattare, piuttosto che chi vuoi incontrare. Ecco non c'è uno schema predefinito, sono piuttosto libero per questo aspetto. […] sì, dicevo, non essendoci un protocollo da osservare, vado un po' a buon senso, però non so se poi il mio è buon senso o è solo il mio senso, quindi potrebbe essere disastroso.

[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 6, p. 9‐9, CODICE: Andare  a sentimento] 

 

In  questo  estratto  l’operatore  interpreta  il  suo  modo  di  agire  a  partire  dalla  situazione  che  gli  si  presenta  di  fronte,  a  partire  da  ciò  che  l’utente  porta  ma  soprattutto  da  ciò  che  l’operatore  sente  opportuno  fare,  da  chi  sente  che  è  importante  incontrare  o  da  quale  aspetto  c’è  da  trattare  in  una  casa  in  un  determinato  momento.  Non  avere  uno  schema  predefinito  non  sembra  mettere  l’operatore  in  difficoltà,  almeno  non  in  questo  estratto,  anche  se  alla  fine  egli  solleva il dubbio sulla valutazione troppo libera e personale di un agire “con buon  senso”. Lo stesso dubbio viene ripreso e confermato più avanti nell’intervista: 

Sì, diciamo che è l'aspetto un po' problematico. Io sono qua e sono contento di fare questo lavoro, però non è facile da gestire. Non che mi crei problemi, però proprio capire qual è l'atteggiamento giusto, il metodo più corretto.

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  6,  p.  16‐16,  CODICE: 

Andare a sentimento] 

Al di là delle difficoltà associate a compiti non sempre protocollati e a ruoli, quelli  della  relazione  d’aiuto,  che  richiedono  talvolta  creatività  e  improvvisazione,  dall’estratto  dell’operatore  6  emerge  la  necessità  di  crearsi  uno  spazio  entro  cui  incontrare  l’utente  e  lavorare  con  lui,  per  rispondere  da  un  lato  al  suo  bisogno,  dall’altro  a  ciò  che  l’operatore  sente  necessario  per  il  percorso  o  la  condizione  dell’utente  (“dipende  un  po'  dalle  cose  che  vuoi  trattare,  piuttosto  che  chi  vuoi  incontrare”).  La  strategia  messa  in  atto  per  poter  entrare  in  quello  spazio  di  condivisione  e  relazione  è  costituita  dunque  da  un  movimento  che  l’operatore  fa  verso  il  basso,  mimetizzandosi  nella  situazione  per  rispondervi  in  modo  concreto,  partendo dai problemi presentati dagli utenti e procedendo secondo ciò che sente  giusto  fare.  Tale  spazio  di  condivisione  con  l’utente,  entro  cui  mimetizzarsi,  è  percepito anche come uno spazio di intimità dell’utente, protetto dal suo vissuto di  sofferenza  che  l’operatore  sente  di  non  poter  cogliere  nella  relazione,  un  muro  invalicabile  che  sembra  generare  una  sorta  di  incomunicabilità  tra  i  due  attori  sociali. Ciò giustificherebbe l’atteggiamento mimetico di un altro operatore, dettato 

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forse da quel suo sentirsi di troppo oltre il confine dell’intimità dell’altro e del suo  altrove, come riportato nel seguente estratto: 

Quindi in riferimento alla tua domanda: evito di entrare negli spazi in maniera spregiudicata e quello credo che lo farebbe chiunque. Però...cerco di mantenere delle distanze rispetto ai loro luoghi personali. Fermo restando che posso andare in qualunque momento, però sempre lo stretto necessario, cercando di rimanere distante rispetto a certe cose.

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  4,  p.  61,  CODICE: 

Mimetizzazione del proprio ruolo] 

   

L’operatore riflessivo 

Tra  le  4  macro‐categorie,  la  più  numerosa  (10  estratti)  è  quella  che  descrive  un  operatore  in  grado  di  riflettere  sul  proprio  ruolo,  sulle  dinamiche  dell’incontro  quotidiano con l’utente, su ciò che può essere utile a migliorarsi. Ad esempio, pur  non potendo rinunciare al potere d’azione che egli possiede in una relazione che è  per  natura  asimmetrica,  l’operatore  3  sottolinea  la  necessità  di  lavorare  sulle  modalità comunicative, sull’emozione che l’altro suscita, sullo spazio di empatia che  tra i due attori si crea al fine di costruire insieme il percorso dell’utente:   

Credo di aver lavorato nel tempo su quelli che sono aspetti che hanno a che fare più con le mie modalità di comunicazione, di relazione, sugli atteggiamenti anche. […]

mi sono sentito sollecitato a prendere in mano questa parte che ha anche a che fare con aspetti come ho detto prima che riguardano l'emozione, l'empatia. […] Ho sentito che per organizzare con le persone percorsi che potessero essere utili […] all'acquisizione di esperienze, dell'autonomia personale, alla comprensione di questo contesto, o al riuscire a trovare un senso in qualche modo nella nostra realtà bisognava individuare dei territori dove ci scendiamo in mezzo e lì lavoriamo insieme insomma ecco. Per cui non so l'esperienza per dire della scuola, piuttosto che dei laboratori, piuttosto che di tutte quelle attività che poi negli anni piano piano sono cresciute: sono diventati terreni dove si realizza un incontro e dal mio punto di vista anche un'opportunità di cogliere, di conoscere le persone e di cogliere segni, situazioni che in qualche modo ritengo molto importanti.

[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 3, p. 63‐71, CODICE: Auto‐

riflessività operatori] 

Il  movimento  dentro  la  relazione  che  l’operatore  qui  descrive  parte  dall’esigenza  percepita  di  stare  entro  i  confini  di  uno  spazio  di  libertà  e  cambiamento  che  possono  condurre  ad  una  conoscenza  approfondita  dell’altro,  all’individuazione  di  quelli  che  l’operatore  definisce  “segni  e  situazioni”,  che  ritiene  importanti  per  l’altro.  Se  questo  operatore  sottolinea  l’importanza  di  riflettere  nel  tempo  su  ciò  che  si  fa  con  gli  utenti  (auto‐riflessività,  N  =  4  estratti),  l’operatore  8  evidenzia  invece la responsabilità che egli ha in quanto custode di storie intime (N = 2 estratti) 

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e  difficili  legate  alle  migrazioni  degli  utenti,  storie  che  a  volte  sollevano  dilemmi  morali (N = 2 estratti), come si legge nel seguente estratto:  

Lui ti dice “ho preso i ballot box, li ho bruciati", sono le schede elettorali, no? E tu dici: "Cavolo, hai falsato delle elezioni?". […] umanamente ti senti strano, i dubbi su chi stai sostenendo nella domanda d'asilo ti vengono. Ci sono utenti che ti mettono in dubbio. Che tu sai che il suo diritto è quello di andare comunque in commissione, perché non sono io a decidere sulla domanda d'asilo. […] Oppure ci sono famiglie che si erano composte ma vedevi che non erano famiglie. Il dubbio ce l'hai, però, che fai? […] Da un lato dici: "Non sono io la commissione (tira un sospiro), non sono io a decidere", no?, però ce l'hai quel dubbio, cioè, al di là di cose accadute gravi nel paese d'origine per cui la persona è colpevole, però... e lì magari vai a vedere, dici: "Colpevole però magari non può tornare indietro perché c'è la pena di morte per quel reato. Ok, allora sarà la commissione a decidere che tipo di protezione dare, diverse", quello sì.

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  8,  p.  210‐215,  CODICE: 

Dilemmi morali: dubbi] 

In questa riflessione legata ai dubbi morali, l’identificazione con il proprio ruolo e il  Diritto d’Asilo che protegge divengono un sistema di difesa a cui attaccarsi (N = 1),  come ancora espresso dall’operatore 8: 

Poi, boh, io dico sempre tanto c'è le leggi, c'è la commissione che ti... non sei, sì sei tu come persona però da un lato […] In supervisione mi hanno detto: "Sì, ma anche il giuridico ha una relazione", e io ho detto: "Sì, ok, ha una relazione, però è un... le leggi, i diritti che ti dicono... lo dice questo, lo dice... hai sempre dei riferimenti diversi".

Ricercatrice: Ti senti protetta da questi qua, cioè dalle leggi? Da questa cosa...

Operatore 8: Eh, ma lo dice... (ride). Non sono io, eh...

C'è scritto. Poi magari combattiamo se questa cosa fa cagare come è stata scritta, la facciamo... E' una protezione insomma...

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  8,  p.  304‐308,  CODICE: 

Leggi come protezione per l’operatore] 

Ancorarsi alle leggi che stabiliscono i confini tra chi può godere di un diritto e chi ne  è  escluso  è  dunque  un’altra  strategia  di  difesa  individuata  dentro  uno  spazio  relazionale percepito come intriso della responsabilità di valutare chi merita o non  merita la protezione. 

 

L’operatore attivo 

Un’ulteriore macro‐categoria emersa, anche se in modo minore (in soli 2 estratti) è  quella  che  vede  l’operatore  agente  attivo  a  cui  spetta  il  compito  di  creare  nuovi  bisogni  ove  percepiti  come  salienti  per  il  processo  di  integrazione  e  autonomizzazione dell’utente. Un compito svolto tramite la relazione, l’ascolto, già  evidenziati nell’operatore riflessivo e come espresso anche qui dall’operatore 2, che 

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sottolinea  l’importanza  di  pratiche  quali  informare  l’utente,  spiegargli  cosa  può  essere rilevante per lui: 

Il discorso dell'integrazione, dicevo, quello dello SPRAR e del vitto e dell'alloggio è una piccola parte. Poi dopo ci sono anche appunto la copertura delle spese sanitarie è una cosa importantissima, cioè il permettere alla persona di poter andare dal medico a fare un esame generale e gli esami del sangue che costano 23 euro di ticket, lo puoi fare, altrimenti un altro non lo fa perché non ha i soldi per pagarseli […] Però quando hai la possibilità di fare le cose, le persone le fanno. Soprattutto se riguarda la tua salute personale. Chi è che no lo fa? (ride) Nessuno! A volte in associazione si chiede alle persone "ma ti andrebbe di andare dal dottore per fare una visita" nessuno dice mai di no. Nessuno.

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  2,  p.  82,  CODICE:  Creare  nuovi bisogni e integrare mancanze] 

La creazione di nuovi bisogni da parte degli operatori sembra dunque partire dalla  loro consapevolezza che gli utenti manchino di qualcosa: non solo di vitto e alloggio  e copertura delle spese sanitarie, a cui rispondono i fondi dei progetti, ma anche di  conoscenza e risorse per comprendere il contesto in cui sono inseriti, per coglierne  le opportunità, le prassi, culturalmente connotate (“Non è che non lo fanno perché  non vogliono, ma perché non lo sanno”). Sempre l’operatore 2 afferma: 

Le persone normalmente, quando una persona parla solo in arabo, o solo in somalo, o solo in inglese o solo in francese va dal medico e il medico non lo capisce, c'è poco da fare. Per cui prima ci vuole tutto un lavoro perché ci vuole un lavoro sia sulle persone, perché comunque la lingua non arriva subito perché le persone stesse ci devono investire. E poi un lavoro anche più di sistema perché il fatto che non si parli inglese e francese è più un problema dell'Italiano, non è un problema del Camerunense che parla francese.

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  2,  p.  85,  CODICE:  Creare  nuovi bisogni e integrare mancanze] 

 

Da  questo  estratto,  sulla  lingua  nei  servizi  sanitari,  sembra  emergere  un’interpretazione  del  proprio  ruolo  in  termini  di  possibilità  di  integrare  qualcosa  che  è  mancante  e  quindi  un  ruolo  attivo  dell’operatore.  Il  lavoro  di  integrazione  dell’operatore  si  muove  in  tal  caso  su  due  fronti:  da  un  lato  con  gli  utenti,  nell’incoraggiarli ad integrare ciò che a loro manca (la lingua, ad esempio); dall’altro  con  la  consapevolezza  di  una  mancanza  che  gli  stessi  servizi  manifestano  (“non  si  parla  inglese  e  francese”).  In  un  sistema  di  accoglienza  che  presenta  talvolta  dei  limiti  dal  punto  di  vista  degli  operatori,  l’operatore  si  sente  forse  ancor  più  ingaggiato nel rispondere con il suo ruolo ai bisogni dell’utente, andando a colmare  le mancanze non solo di quest’ultimo ma anche della rete dei servizi.  

     

99 L’operatore “politico” 

Di  fronte  alle  mancanze,  da  queste  interviste  sembra  emergere  la  possibilità  di  rispondervi entro uno spazio di libertà, che è spazio di creatività, di cambiamento,  come  già  accennato  e  di  ricerca  continua  di  soluzioni  nella  presa  in  carico  degli  utenti. In tale spazio di libertà e di creatività, subentra la sfida ad un sistema (N= 4)  che  presenta  carenze  e  che  talvolta  fa  sentire  l’operatore  quasi  un  “politico”, 

“paladino dei diritti umani” (N = 1), come affermato dall’operatore 1:

Ecco io tendo molto a dire che è un impegno che ha un senso politico, per non dargliene anche altri. però tendo sempre a far prevalere quello rispetto al coinvolgimento individuale, personale, della persona a persona. E' una motivazione, ma è anche una forma di astrazione, di distacco, non so. Non ci devo mettere un impegno personalizzato, devo metterci un impegno che sia

"politicizzato" mi viene da dire. Poi non so se uso bene questa parola. Però sono qua perché c'è un diritto da tutelare che credo che sia importante in questo mondo, no.

Cioè la vivo così. Perché la motivazione è che mi piace questo lavoro. Ma poi penso che sia anche protettivo, non lo so.

Ricercatrice: per chi?

O: per me. nel senso che dò un significato che mi motiva ma dò anche un significato che non dico che spersonalizza, però che non...cioè in un qualche modo sistema, protegge.

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  1,  p.  98‐104,  CODICE:  il  paladino dei diritti umani] 

 

L’impegno  dell’operatore  è  un  impegno  politicizzato,  umanitario,  di  denuncia,  ma  anche  di  volontà  di  cambiamento,  di  libertà  nel  creare  e  trovare  soluzioni  sempre  nuove  per  migliorare  il  sistema  di  accoglienza,  monitorando,  proponendo,  sperimentando, cercando soluzioni sempre nuove. 

Quindi in sintesi due strategie di difesa emergono dagli estratti codificati con il tema  dell’interpretazione del proprio ruolo lavorativo. La prima è quella in cui l’operatore  contempla in modo mimetico o attivo il cambiamento inteso come la possibilità di  creare,  di  cambiare,  di  ovviare  alle  mancanze,  di  avere  tra  le  mani  uno  spazio  di  azione che difenda dalla frustrazione di situazioni difficoltose portate dagli utenti e  che  permetta  di  pensare  ad  un  futuro  in  cui  apportare  miglioramenti  nell’ambito  delle  pratiche.  La  seconda  è  quella  in  cui  l’operatore  riflette  sul  Diritto  d’Asilo,  inteso da un lato come strumento che, attraverso le definizioni giuridiche, permette  di  difendere  l’operatore  dai  dubbi  dei  falsi  migranti  forzati,  degli  approfittatori; 

dall’altro come mezzo che può distaccare l’operatore dall’eccessivo coinvolgimento  e  riportarlo  su  un  piano  di  azione  più  “politicizzato”,  quello  della  difesa  dei  diritti  umani. Né più né meno.  

LA RELAZIONE CON GLI UTENTI MIGRANTI FORZATI AGLI OCCHI DELL’OPERATORE  La seconda area di contenuti che strutturano la rappresentazione sociale del ruolo  dell’operatore,  la  relazione  con  l’utente,  sembra  declinarsi  intorno  a  due  dimensioni: da un lato una dimensione inerente ciò che gli operatori affermano di 

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fare  nello  spazio  relazionale  con  gli  utenti  migranti;  dall’altro,  una  sembrano  più  riflettere  in  merito  alle  caratteristiche  che  denotano  le  loro  azioni  nello  spazio  relazionale. Il grafico 3.3 mostra le due macro‐categorie con i rispettivi codici. 

 

Grafico  3.3  ‐  Rappresentazione  sociale  della  relazione  operatore‐utente:  temi  e  codici  che  la  costituiscono 

   

  

La relazione PER l’utente 

Le  azioni  emerse  che  descriverebbero  la  relazione  sono  quelle  dell’orientare,  dello  spiegare,  del  dare  informazioni  (1  estratto),  del  dare  consigli,  del  stimolare,  responsabilizzare, incoraggiare (4), ma anche del tranquillizzare l’utente (2). Come  evidenziato  dal  seguente  estratto  dall’intervista  con  l’operatore  1,  il  dare  informazioni viene considerata innanzitutto un’attività orientativa per l’utente: 

In quelle tre ore di apertura pomeridiana dello Sportello Asilo magari ho tre persone che mi chiedono la stessa cosa e io come un rosario (ride) dico la stessa cosa "al momento non ho posti in accoglienza, però la tua richiesta la posso mandare al servizio centrale". C'è questa ripetizione allucinante, con cui cerco di spiegare tutti i passaggi: il perché di questa mancanza, il perché questa persona deve aspettare, perché in Italia ci sono 3.500 posti...in continuazione.

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  1,  p.  55,  CODICE:  dare  consigli] 

Dare  consigli,  spiegare  cioè  i  passaggi,  orientare  l’utente  a  ciò  che  il  sistema  di  accoglienza  offre  e  soprattutto  a  come  lo  offre  descrive  dunque  una  parte  del  lavoro dell’operatore 1. Non solo, l’orientamento e il consiglio assumono in alcuni  casi  la  forma  dell’incoraggiamento,  dello  spronare  l’utente,  come  esplicita  l’operatore 7:  

quando gli utenti mi chiedono magari mi dicono che l’associazione ha fatto loro delle proposte e che ci sarebbe qualcosa da fare, come un corso per imparare un lavoro e quando c’è un’opportunità io consiglio di andare, di prenderla.

[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 7, p. 27‐29, CODICE: dare  consigli] 

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Un ulteriore esempio in merito al compito di stimolare e responsabilizzare gli utenti  è tratto dall’intervista con l’operatore 3:  

Sicuramente è una dimensione che è presente nella quotidianità e incide sulla relazione, perché a fronte di una relazione che diventa quotidiana, personalmente mi porta a...come dire, ad assumere una posizione che è in relazione ma che anche deve trasmettere questa realtà:

quindi che cerca di rimandare poi anche alla persona, di sottolineare anche quelle che sono poi le responsabilità della persona nel suo percorso e quindi la necessità di misurare le attese e le aspettative rispetto a quello che può ricevere e cercare di sollecitare tutte le energie possibili e consolidare tutti quei percorsi che possono essere utili. Anche il motivare le persone ad un'intensità di impegno in certi percorsi che a volte hanno un po', come dire, di oscillazioni, come il discorso della scuola, dove insomma vedi magari a volte che c'è un interesse relativo.

Quindi è chiaro che porta nella quotidianità ad assumere una posizione che vuole essere anche di stimolo, di responsabilizzazione, di incoraggiamento, di rafforzamento delle motivazioni in percorsi anche complicati dove anche le persone fanno fatica, insomma.

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  3,  p.  43‐44,  CODICE: 

stimolare, responsabilizzare e incoraggiare] 

 

L’operatore sembra interrogarsi in questo estratto sul proprio ruolo, ruolo di potere  in  cui  per  quanto  si  riconosce  all’utente  la  sua  responsabilità  nel  percorso  che  sta  compiendo,  si  riconosce  altresì  all’operatore  la  responsabilità  di  motivarlo  ove  l’impegno  non  fosse  abbastanza  intenso,  dove  l’interesse  nel  farsi  coinvolgere  in  attività (come la scuola) potrebbe risultare “relativo” agli occhi dell’operatore. Egli  sembra  essere  metro  di  misura  dell’impegno  dell’utente  e  sostegno  per  l’utente  quando  la  sua  motivazione  sembra  non  combaciare  allo  standard  che  l’operatore  ha.  A tal proposito,  l’operatore 6 afferma: 

Se ad esempio io arrivo in una casa al mattino e trovo uno a letto mentre dovrebbe essere a scuola, dico "mah?". Sai anche altre volte ho parlato di queste cose con un mio collega e avevamo un po' punti di vista diversi in merito:

lui, per esempio, adesso mi faccio interprete, lui diceva che "tu sei maggiorenne, magari hai 20 o 30 anni, hai la tua vita, tutte le informazioni ti sono state date, scegli tu, nel senso vuoi stare a letto? va bene, pazienza. Io non sono l'assistente sociale." Però secondo me magari a volte manca proprio la consapevolezza, quindi uno sprono in più ci sta. Però non voglio neanche trasformarmi nel prete che dice "tu devi fare...", cioè non è il mio compito, non sta a me. Però ti dicevo, instaurandosi delle dinamiche non dico di amicizia, ma di confidenza, io non mi sento fuori posto nel momento in cui faccio due chiacchere con te e ti consiglio di fare delle cose piuttosto che altre, cioè non mi sembra di uscire dal seminato.

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  6,  p.  44‐45,  CODICE: 

stimolare, responsabilizzare e incoraggiare] 

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Per  quanto  l’operatore  6  utilizzi  parole  quali  “spronare”  e  “consigliare”,  egli  si  chiede se con il suo modo di relazionarsi all’utente in tal caso non rischi di “uscire  dal  seminato”,  trasformandosi  in  colui  che  “dice  all’utente  cosa  deve  fare”. 

L’operatore 6 porta dunque al centro della riflessione una modalità di relazione tra i  due attori che è emersa anche in altri estratti e che dalla codifica focalizzata è stata  etichettata  come  il  timore  di  incorrere  o  di  essere  visti  come  portatori  di  una  relazione  paternalistica  (2  estratti),  che  lo  stesso  operatore  identifica  con  l’espressione “rischio di sembrare il genitore”: 

Però insomma non sono persone di dieci anni, quindi io non vedo questo rischio di sembrare il genitore. Io lo vedo più come il consiglio di un buon amico. Ti dico quello che penso, non è un obbligo, non è niente. Però conoscendo la realtà qui e del lavoro e delle persone e di tutto quello che ti circonda, ti dò il mio consiglio. "Ti piace, non ti piace, lo raccogli, non ci pensi neanche: è il mio consiglio e basta". Poi magari sbaglio io.

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  6,  p.  52‐52,  CODICE: 

relazione paternalistica] 

L’operatore 6 sembra dunque consapevole della possibilità che un tipo di relazione  d’aiuto  che  preveda  l’incoraggiamento,  il  rinforzare  l’altro,  il  motivarlo,  possa  sfociare  poi  nella  relazione  paternalistica,  nel  “sembrare  un  genitore”,  dubbio  che  invece  non  sembra  comparire  dal  precedente  estratto  dell’operatore  3  dell’area  sociale. Dello stesso rischio sembra consapevole anche l’operatore 8:  

Tutte quelle visioni paternalistiche, no? "Eh, ma lui non sa muoversi" oppure " No, dobbiamo aiutarlo in quello" che in molti progetti senti... No, secondo me, costruiamo insieme qualcosa, perché, che siano sei mesi, che siano un anno, tu ad un certo punto devi poter... ma anche tu devi dire: "Oh, basta", no? Cioè: "Voglio andare". Allora facciamo, cioè mettiamo insieme quegli strumenti, definiamo cosa vogliamo fare, dove vogliamo andare, perché io penso che le persone se ne vogliano andare il prima possibile.

Cioè, io, non so, anche in una situazione di bisogno però... sei sempre... cioè, vieni qua tutte le settimane, devi... è come se hai due genit... cioè, un gruppo di genitori. Non so come spiegarti... ma non perché... che non mi piaccia il mio lavoro, come dire... però è strano, no, l'idea, secondo me che le persone se ne vogliano andare il prima possibile, o meglio, dovrebbe essere così, per me. Ma non perché si sono rotte ma perché dici: "E' la mia vita, allora faccia...", cioè, io sarei molto contenta nel lavorare con la persona per capire quali sono le cose che lui vuole, per andarsene il prima possibile. Ma per andarsene il prima possibile, non per mandarlo via, perché lui è pronto ad andar via. Cioè... poi appunto ti scontri con le possibilità che la persona ha sul territorio però, cioè, il progetto per me è quello. Cioè: ti aiuto ad autonomizzarti il prima possibile.

[ESTRATTO  DALL’INTERVISTA  ALL’OPERATORE  8,  p.  158‐160,  CODICE: 

relazione paternalistica] 

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 93-108)