4) la rappresentazione sociale del Diritto d’Asilo, costituita da temi (macro‐
3.4 Risultati
3.4.1 La rappresentazione sociale dell’operatore nell’incontro con l’utente migrante
La rappresentazione sociale dell’operatore nell’incontro con l’utente migrante forzato si sviluppa intorno ad alcuni temi (grafico 3.1): l’interpretazione del loro ruolo di operatori; la natura e le caratteristiche della relazione con gli utenti, nonché i vissuti emotivi che accompagnano il loro agire in associazione40.
Grafico 3.1 ‐ Rappresentazione sociale dell’operatore nell’incontro con l’utente migrante: temi e codici che la costituiscono
40 Un ultimo tema, quello legato agli aspetti strutturali, visibili nel grafico 3.1, è stato escluso dai risultati esposti in questo capitolo, poiché già descritto nel capitolo sull’Etnografia di sfondo.
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INTERPRETAZIONE PERSONALE DEL PROPRIO RUOLO
Circa questa prima area di contenuti che formano la rappresentazione sociale dell’operatore emersa dalle interviste, essa mette in luce 4 macro‐categorie che tematizzano le rappresentazioni del ruolo che gli operatori sentono di avere nel loro lavoro, mostrando la loro capacità di interpretare le dinamiche associate al loro ruolo, dandovi senso e svelando le possibili strategie che a loro avviso e dalla loro esperienza migliorerebbero il modo di porsi come attore della relazione d’aiuto. Nel grafico 3.2 è riportata la distribuzione delle 4 macro‐categorie dentro a questa rappresentazione.
Grafico 3.2 ‐ Rappresentazione sociale del ruolo dell’operatore: distribuzione delle 4 macro‐categorie che la costituiscono
L’operatore mimetico
Secondo questa macro‐categoria, che conta 6 estratti, il lavoro dell’operatore si basa innanzitutto sulla capacità di adattarsi alla relazione e al bisogno portato
40%
24%
8%
28% Riflessivo
Mimetico Attivo Politico
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dall’utente. L’adattamento assume ad esempio per l’operatore 6 la forma dell’improvvisazione, definita come un “andare a sentimento”:
Io in realtà poi sono qua da poco, quindi ti posso dire come gestisco più o meno le cose io, nel senso che non è che abbia una sorta di protocollo, no, per cui vado molto più a sentimento. Per cui ogni tanto passo, ogni tanto faccio due chiacchere, quando penso che sia opportuno andare in un posto vado lì piuttosto che in un altro, posso andarci un pomeriggio, posso andarci invece dopo cena, dipende un po' dalle cose che vuoi trattare, piuttosto che chi vuoi incontrare. Ecco non c'è uno schema predefinito, sono piuttosto libero per questo aspetto. […] sì, dicevo, non essendoci un protocollo da osservare, vado un po' a buon senso, però non so se poi il mio è buon senso o è solo il mio senso, quindi potrebbe essere disastroso.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 6, p. 9‐9, CODICE: Andare a sentimento]
In questo estratto l’operatore interpreta il suo modo di agire a partire dalla situazione che gli si presenta di fronte, a partire da ciò che l’utente porta ma soprattutto da ciò che l’operatore sente opportuno fare, da chi sente che è importante incontrare o da quale aspetto c’è da trattare in una casa in un determinato momento. Non avere uno schema predefinito non sembra mettere l’operatore in difficoltà, almeno non in questo estratto, anche se alla fine egli solleva il dubbio sulla valutazione troppo libera e personale di un agire “con buon senso”. Lo stesso dubbio viene ripreso e confermato più avanti nell’intervista:
Sì, diciamo che è l'aspetto un po' problematico. Io sono qua e sono contento di fare questo lavoro, però non è facile da gestire. Non che mi crei problemi, però proprio capire qual è l'atteggiamento giusto, il metodo più corretto.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 6, p. 16‐16, CODICE:
Andare a sentimento]
Al di là delle difficoltà associate a compiti non sempre protocollati e a ruoli, quelli della relazione d’aiuto, che richiedono talvolta creatività e improvvisazione, dall’estratto dell’operatore 6 emerge la necessità di crearsi uno spazio entro cui incontrare l’utente e lavorare con lui, per rispondere da un lato al suo bisogno, dall’altro a ciò che l’operatore sente necessario per il percorso o la condizione dell’utente (“dipende un po' dalle cose che vuoi trattare, piuttosto che chi vuoi incontrare”). La strategia messa in atto per poter entrare in quello spazio di condivisione e relazione è costituita dunque da un movimento che l’operatore fa verso il basso, mimetizzandosi nella situazione per rispondervi in modo concreto, partendo dai problemi presentati dagli utenti e procedendo secondo ciò che sente giusto fare. Tale spazio di condivisione con l’utente, entro cui mimetizzarsi, è percepito anche come uno spazio di intimità dell’utente, protetto dal suo vissuto di sofferenza che l’operatore sente di non poter cogliere nella relazione, un muro invalicabile che sembra generare una sorta di incomunicabilità tra i due attori sociali. Ciò giustificherebbe l’atteggiamento mimetico di un altro operatore, dettato
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forse da quel suo sentirsi di troppo oltre il confine dell’intimità dell’altro e del suo altrove, come riportato nel seguente estratto:
Quindi in riferimento alla tua domanda: evito di entrare negli spazi in maniera spregiudicata e quello credo che lo farebbe chiunque. Però...cerco di mantenere delle distanze rispetto ai loro luoghi personali. Fermo restando che posso andare in qualunque momento, però sempre lo stretto necessario, cercando di rimanere distante rispetto a certe cose.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 4, p. 61, CODICE:
Mimetizzazione del proprio ruolo]
L’operatore riflessivo
Tra le 4 macro‐categorie, la più numerosa (10 estratti) è quella che descrive un operatore in grado di riflettere sul proprio ruolo, sulle dinamiche dell’incontro quotidiano con l’utente, su ciò che può essere utile a migliorarsi. Ad esempio, pur non potendo rinunciare al potere d’azione che egli possiede in una relazione che è per natura asimmetrica, l’operatore 3 sottolinea la necessità di lavorare sulle modalità comunicative, sull’emozione che l’altro suscita, sullo spazio di empatia che tra i due attori si crea al fine di costruire insieme il percorso dell’utente:
Credo di aver lavorato nel tempo su quelli che sono aspetti che hanno a che fare più con le mie modalità di comunicazione, di relazione, sugli atteggiamenti anche. […]
mi sono sentito sollecitato a prendere in mano questa parte che ha anche a che fare con aspetti come ho detto prima che riguardano l'emozione, l'empatia. […] Ho sentito che per organizzare con le persone percorsi che potessero essere utili […] all'acquisizione di esperienze, dell'autonomia personale, alla comprensione di questo contesto, o al riuscire a trovare un senso in qualche modo nella nostra realtà bisognava individuare dei territori dove ci scendiamo in mezzo e lì lavoriamo insieme insomma ecco. Per cui non so l'esperienza per dire della scuola, piuttosto che dei laboratori, piuttosto che di tutte quelle attività che poi negli anni piano piano sono cresciute: sono diventati terreni dove si realizza un incontro e dal mio punto di vista anche un'opportunità di cogliere, di conoscere le persone e di cogliere segni, situazioni che in qualche modo ritengo molto importanti.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 3, p. 63‐71, CODICE: Auto‐
riflessività operatori]
Il movimento dentro la relazione che l’operatore qui descrive parte dall’esigenza percepita di stare entro i confini di uno spazio di libertà e cambiamento che possono condurre ad una conoscenza approfondita dell’altro, all’individuazione di quelli che l’operatore definisce “segni e situazioni”, che ritiene importanti per l’altro. Se questo operatore sottolinea l’importanza di riflettere nel tempo su ciò che si fa con gli utenti (auto‐riflessività, N = 4 estratti), l’operatore 8 evidenzia invece la responsabilità che egli ha in quanto custode di storie intime (N = 2 estratti)
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e difficili legate alle migrazioni degli utenti, storie che a volte sollevano dilemmi morali (N = 2 estratti), come si legge nel seguente estratto:
Lui ti dice “ho preso i ballot box, li ho bruciati", sono le schede elettorali, no? E tu dici: "Cavolo, hai falsato delle elezioni?". […] umanamente ti senti strano, i dubbi su chi stai sostenendo nella domanda d'asilo ti vengono. Ci sono utenti che ti mettono in dubbio. Che tu sai che il suo diritto è quello di andare comunque in commissione, perché non sono io a decidere sulla domanda d'asilo. […] Oppure ci sono famiglie che si erano composte ma vedevi che non erano famiglie. Il dubbio ce l'hai, però, che fai? […] Da un lato dici: "Non sono io la commissione (tira un sospiro), non sono io a decidere", no?, però ce l'hai quel dubbio, cioè, al di là di cose accadute gravi nel paese d'origine per cui la persona è colpevole, però... e lì magari vai a vedere, dici: "Colpevole però magari non può tornare indietro perché c'è la pena di morte per quel reato. Ok, allora sarà la commissione a decidere che tipo di protezione dare, diverse", quello sì.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 8, p. 210‐215, CODICE:
Dilemmi morali: dubbi]
In questa riflessione legata ai dubbi morali, l’identificazione con il proprio ruolo e il Diritto d’Asilo che protegge divengono un sistema di difesa a cui attaccarsi (N = 1), come ancora espresso dall’operatore 8:
Poi, boh, io dico sempre tanto c'è le leggi, c'è la commissione che ti... non sei, sì sei tu come persona però da un lato […] In supervisione mi hanno detto: "Sì, ma anche il giuridico ha una relazione", e io ho detto: "Sì, ok, ha una relazione, però è un... le leggi, i diritti che ti dicono... lo dice questo, lo dice... hai sempre dei riferimenti diversi".
Ricercatrice: Ti senti protetta da questi qua, cioè dalle leggi? Da questa cosa...
Operatore 8: Eh, ma lo dice... (ride). Non sono io, eh...
C'è scritto. Poi magari combattiamo se questa cosa fa cagare come è stata scritta, la facciamo... E' una protezione insomma...
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 8, p. 304‐308, CODICE:
Leggi come protezione per l’operatore]
Ancorarsi alle leggi che stabiliscono i confini tra chi può godere di un diritto e chi ne è escluso è dunque un’altra strategia di difesa individuata dentro uno spazio relazionale percepito come intriso della responsabilità di valutare chi merita o non merita la protezione.
L’operatore attivo
Un’ulteriore macro‐categoria emersa, anche se in modo minore (in soli 2 estratti) è quella che vede l’operatore agente attivo a cui spetta il compito di creare nuovi bisogni ove percepiti come salienti per il processo di integrazione e autonomizzazione dell’utente. Un compito svolto tramite la relazione, l’ascolto, già evidenziati nell’operatore riflessivo e come espresso anche qui dall’operatore 2, che
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sottolinea l’importanza di pratiche quali informare l’utente, spiegargli cosa può essere rilevante per lui:
Il discorso dell'integrazione, dicevo, quello dello SPRAR e del vitto e dell'alloggio è una piccola parte. Poi dopo ci sono anche appunto la copertura delle spese sanitarie è una cosa importantissima, cioè il permettere alla persona di poter andare dal medico a fare un esame generale e gli esami del sangue che costano 23 euro di ticket, lo puoi fare, altrimenti un altro non lo fa perché non ha i soldi per pagarseli […] Però quando hai la possibilità di fare le cose, le persone le fanno. Soprattutto se riguarda la tua salute personale. Chi è che no lo fa? (ride) Nessuno! A volte in associazione si chiede alle persone "ma ti andrebbe di andare dal dottore per fare una visita" nessuno dice mai di no. Nessuno.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 2, p. 82, CODICE: Creare nuovi bisogni e integrare mancanze]
La creazione di nuovi bisogni da parte degli operatori sembra dunque partire dalla loro consapevolezza che gli utenti manchino di qualcosa: non solo di vitto e alloggio e copertura delle spese sanitarie, a cui rispondono i fondi dei progetti, ma anche di conoscenza e risorse per comprendere il contesto in cui sono inseriti, per coglierne le opportunità, le prassi, culturalmente connotate (“Non è che non lo fanno perché non vogliono, ma perché non lo sanno”). Sempre l’operatore 2 afferma:
Le persone normalmente, quando una persona parla solo in arabo, o solo in somalo, o solo in inglese o solo in francese va dal medico e il medico non lo capisce, c'è poco da fare. Per cui prima ci vuole tutto un lavoro perché ci vuole un lavoro sia sulle persone, perché comunque la lingua non arriva subito perché le persone stesse ci devono investire. E poi un lavoro anche più di sistema perché il fatto che non si parli inglese e francese è più un problema dell'Italiano, non è un problema del Camerunense che parla francese.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 2, p. 85, CODICE: Creare nuovi bisogni e integrare mancanze]
Da questo estratto, sulla lingua nei servizi sanitari, sembra emergere un’interpretazione del proprio ruolo in termini di possibilità di integrare qualcosa che è mancante e quindi un ruolo attivo dell’operatore. Il lavoro di integrazione dell’operatore si muove in tal caso su due fronti: da un lato con gli utenti, nell’incoraggiarli ad integrare ciò che a loro manca (la lingua, ad esempio); dall’altro con la consapevolezza di una mancanza che gli stessi servizi manifestano (“non si parla inglese e francese”). In un sistema di accoglienza che presenta talvolta dei limiti dal punto di vista degli operatori, l’operatore si sente forse ancor più ingaggiato nel rispondere con il suo ruolo ai bisogni dell’utente, andando a colmare le mancanze non solo di quest’ultimo ma anche della rete dei servizi.
99 L’operatore “politico”
Di fronte alle mancanze, da queste interviste sembra emergere la possibilità di rispondervi entro uno spazio di libertà, che è spazio di creatività, di cambiamento, come già accennato e di ricerca continua di soluzioni nella presa in carico degli utenti. In tale spazio di libertà e di creatività, subentra la sfida ad un sistema (N= 4) che presenta carenze e che talvolta fa sentire l’operatore quasi un “politico”,
“paladino dei diritti umani” (N = 1), come affermato dall’operatore 1:
Ecco io tendo molto a dire che è un impegno che ha un senso politico, per non dargliene anche altri. però tendo sempre a far prevalere quello rispetto al coinvolgimento individuale, personale, della persona a persona. E' una motivazione, ma è anche una forma di astrazione, di distacco, non so. Non ci devo mettere un impegno personalizzato, devo metterci un impegno che sia
"politicizzato" mi viene da dire. Poi non so se uso bene questa parola. Però sono qua perché c'è un diritto da tutelare che credo che sia importante in questo mondo, no.
Cioè la vivo così. Perché la motivazione è che mi piace questo lavoro. Ma poi penso che sia anche protettivo, non lo so.
Ricercatrice: per chi?
O: per me. nel senso che dò un significato che mi motiva ma dò anche un significato che non dico che spersonalizza, però che non...cioè in un qualche modo sistema, protegge.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 1, p. 98‐104, CODICE: il paladino dei diritti umani]
L’impegno dell’operatore è un impegno politicizzato, umanitario, di denuncia, ma anche di volontà di cambiamento, di libertà nel creare e trovare soluzioni sempre nuove per migliorare il sistema di accoglienza, monitorando, proponendo, sperimentando, cercando soluzioni sempre nuove.
Quindi in sintesi due strategie di difesa emergono dagli estratti codificati con il tema dell’interpretazione del proprio ruolo lavorativo. La prima è quella in cui l’operatore contempla in modo mimetico o attivo il cambiamento inteso come la possibilità di creare, di cambiare, di ovviare alle mancanze, di avere tra le mani uno spazio di azione che difenda dalla frustrazione di situazioni difficoltose portate dagli utenti e che permetta di pensare ad un futuro in cui apportare miglioramenti nell’ambito delle pratiche. La seconda è quella in cui l’operatore riflette sul Diritto d’Asilo, inteso da un lato come strumento che, attraverso le definizioni giuridiche, permette di difendere l’operatore dai dubbi dei falsi migranti forzati, degli approfittatori;
dall’altro come mezzo che può distaccare l’operatore dall’eccessivo coinvolgimento e riportarlo su un piano di azione più “politicizzato”, quello della difesa dei diritti umani. Né più né meno.
LA RELAZIONE CON GLI UTENTI MIGRANTI FORZATI AGLI OCCHI DELL’OPERATORE La seconda area di contenuti che strutturano la rappresentazione sociale del ruolo dell’operatore, la relazione con l’utente, sembra declinarsi intorno a due dimensioni: da un lato una dimensione inerente ciò che gli operatori affermano di
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fare nello spazio relazionale con gli utenti migranti; dall’altro, una sembrano più riflettere in merito alle caratteristiche che denotano le loro azioni nello spazio relazionale. Il grafico 3.3 mostra le due macro‐categorie con i rispettivi codici.
Grafico 3.3 ‐ Rappresentazione sociale della relazione operatore‐utente: temi e codici che la costituiscono
La relazione PER l’utente
Le azioni emerse che descriverebbero la relazione sono quelle dell’orientare, dello spiegare, del dare informazioni (1 estratto), del dare consigli, del stimolare, responsabilizzare, incoraggiare (4), ma anche del tranquillizzare l’utente (2). Come evidenziato dal seguente estratto dall’intervista con l’operatore 1, il dare informazioni viene considerata innanzitutto un’attività orientativa per l’utente:
In quelle tre ore di apertura pomeridiana dello Sportello Asilo magari ho tre persone che mi chiedono la stessa cosa e io come un rosario (ride) dico la stessa cosa "al momento non ho posti in accoglienza, però la tua richiesta la posso mandare al servizio centrale". C'è questa ripetizione allucinante, con cui cerco di spiegare tutti i passaggi: il perché di questa mancanza, il perché questa persona deve aspettare, perché in Italia ci sono 3.500 posti...in continuazione.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 1, p. 55, CODICE: dare consigli]
Dare consigli, spiegare cioè i passaggi, orientare l’utente a ciò che il sistema di accoglienza offre e soprattutto a come lo offre descrive dunque una parte del lavoro dell’operatore 1. Non solo, l’orientamento e il consiglio assumono in alcuni casi la forma dell’incoraggiamento, dello spronare l’utente, come esplicita l’operatore 7:
quando gli utenti mi chiedono magari mi dicono che l’associazione ha fatto loro delle proposte e che ci sarebbe qualcosa da fare, come un corso per imparare un lavoro e quando c’è un’opportunità io consiglio di andare, di prenderla.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 7, p. 27‐29, CODICE: dare consigli]
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Un ulteriore esempio in merito al compito di stimolare e responsabilizzare gli utenti è tratto dall’intervista con l’operatore 3:
Sicuramente è una dimensione che è presente nella quotidianità e incide sulla relazione, perché a fronte di una relazione che diventa quotidiana, personalmente mi porta a...come dire, ad assumere una posizione che è in relazione ma che anche deve trasmettere questa realtà:
quindi che cerca di rimandare poi anche alla persona, di sottolineare anche quelle che sono poi le responsabilità della persona nel suo percorso e quindi la necessità di misurare le attese e le aspettative rispetto a quello che può ricevere e cercare di sollecitare tutte le energie possibili e consolidare tutti quei percorsi che possono essere utili. Anche il motivare le persone ad un'intensità di impegno in certi percorsi che a volte hanno un po', come dire, di oscillazioni, come il discorso della scuola, dove insomma vedi magari a volte che c'è un interesse relativo.
Quindi è chiaro che porta nella quotidianità ad assumere una posizione che vuole essere anche di stimolo, di responsabilizzazione, di incoraggiamento, di rafforzamento delle motivazioni in percorsi anche complicati dove anche le persone fanno fatica, insomma.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 3, p. 43‐44, CODICE:
stimolare, responsabilizzare e incoraggiare]
L’operatore sembra interrogarsi in questo estratto sul proprio ruolo, ruolo di potere in cui per quanto si riconosce all’utente la sua responsabilità nel percorso che sta compiendo, si riconosce altresì all’operatore la responsabilità di motivarlo ove l’impegno non fosse abbastanza intenso, dove l’interesse nel farsi coinvolgere in attività (come la scuola) potrebbe risultare “relativo” agli occhi dell’operatore. Egli sembra essere metro di misura dell’impegno dell’utente e sostegno per l’utente quando la sua motivazione sembra non combaciare allo standard che l’operatore ha. A tal proposito, l’operatore 6 afferma:
Se ad esempio io arrivo in una casa al mattino e trovo uno a letto mentre dovrebbe essere a scuola, dico "mah?". Sai anche altre volte ho parlato di queste cose con un mio collega e avevamo un po' punti di vista diversi in merito:
lui, per esempio, adesso mi faccio interprete, lui diceva che "tu sei maggiorenne, magari hai 20 o 30 anni, hai la tua vita, tutte le informazioni ti sono state date, scegli tu, nel senso vuoi stare a letto? va bene, pazienza. Io non sono l'assistente sociale." Però secondo me magari a volte manca proprio la consapevolezza, quindi uno sprono in più ci sta. Però non voglio neanche trasformarmi nel prete che dice "tu devi fare...", cioè non è il mio compito, non sta a me. Però ti dicevo, instaurandosi delle dinamiche non dico di amicizia, ma di confidenza, io non mi sento fuori posto nel momento in cui faccio due chiacchere con te e ti consiglio di fare delle cose piuttosto che altre, cioè non mi sembra di uscire dal seminato.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 6, p. 44‐45, CODICE:
stimolare, responsabilizzare e incoraggiare]
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Per quanto l’operatore 6 utilizzi parole quali “spronare” e “consigliare”, egli si chiede se con il suo modo di relazionarsi all’utente in tal caso non rischi di “uscire dal seminato”, trasformandosi in colui che “dice all’utente cosa deve fare”.
L’operatore 6 porta dunque al centro della riflessione una modalità di relazione tra i due attori che è emersa anche in altri estratti e che dalla codifica focalizzata è stata etichettata come il timore di incorrere o di essere visti come portatori di una relazione paternalistica (2 estratti), che lo stesso operatore identifica con l’espressione “rischio di sembrare il genitore”:
Però insomma non sono persone di dieci anni, quindi io non vedo questo rischio di sembrare il genitore. Io lo vedo più come il consiglio di un buon amico. Ti dico quello che penso, non è un obbligo, non è niente. Però conoscendo la realtà qui e del lavoro e delle persone e di tutto quello che ti circonda, ti dò il mio consiglio. "Ti piace, non ti piace, lo raccogli, non ci pensi neanche: è il mio consiglio e basta". Poi magari sbaglio io.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 6, p. 52‐52, CODICE:
relazione paternalistica]
L’operatore 6 sembra dunque consapevole della possibilità che un tipo di relazione d’aiuto che preveda l’incoraggiamento, il rinforzare l’altro, il motivarlo, possa sfociare poi nella relazione paternalistica, nel “sembrare un genitore”, dubbio che invece non sembra comparire dal precedente estratto dell’operatore 3 dell’area sociale. Dello stesso rischio sembra consapevole anche l’operatore 8:
Tutte quelle visioni paternalistiche, no? "Eh, ma lui non sa muoversi" oppure " No, dobbiamo aiutarlo in quello" che in molti progetti senti... No, secondo me, costruiamo insieme qualcosa, perché, che siano sei mesi, che siano un anno, tu ad un certo punto devi poter... ma anche tu devi dire: "Oh, basta", no? Cioè: "Voglio andare". Allora facciamo, cioè mettiamo insieme quegli strumenti, definiamo cosa vogliamo fare, dove vogliamo andare, perché io penso che le persone se ne vogliano andare il prima possibile.
Cioè, io, non so, anche in una situazione di bisogno però... sei sempre... cioè, vieni qua tutte le settimane, devi... è come se hai due genit... cioè, un gruppo di genitori. Non so come spiegarti... ma non perché... che non mi piaccia il mio lavoro, come dire... però è strano, no, l'idea, secondo me che le persone se ne vogliano andare il prima possibile, o meglio, dovrebbe essere così, per me. Ma non perché si sono rotte ma perché dici: "E' la mia vita, allora faccia...", cioè, io sarei molto contenta nel lavorare con la persona per capire quali sono le cose che lui vuole, per andarsene il prima possibile. Ma per andarsene il prima possibile, non per mandarlo via, perché lui è pronto ad andar via. Cioè... poi appunto ti scontri con le possibilità che la persona ha sul territorio però, cioè, il progetto per me è quello. Cioè: ti aiuto ad autonomizzarti il prima possibile.
[ESTRATTO DALL’INTERVISTA ALL’OPERATORE 8, p. 158‐160, CODICE:
relazione paternalistica]