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This Disgusting Feast of Filth’

Prima di Blasted, Kane era una sconosciuta. Il giorno successivo al debutto dell’opera, invece, segna l’inizio di un mito che sarebbe rimasto impresso nella memoria del teatro inglese (e non solo) per lungo tempo. Questo mito che perdura ancora oggi, a venti anni dalla scomparsa dell’artista, ha le sue origini nello scandalo suscitato durante una sera di gennaio del 1995 al Royal Court. Dopo quello spettacolo, che il critico John Foss ha ribattezzato «Nightmare on Sloane Square» (What’s On, 25.1.95), Sarah Kane e Blasted diventano oggetto di dibattito da parte della stampa nazionale.

Mary Luckhurst spiega che, come testimoniano alcune recensioni, «critics were assortedly overtaken by their own physical reactions» (Luckhurst 2005: 108). La maggior parte di questi si concentra sui contenuti scabrosi (per una lista completa su quanto succede nell’opera si veda, ad esempio, la recensione di Jonathan Miller (Sunday Times, 22.1.95)). Scorrendo i vari articoli, infatti, si può notare un elenco sistematico delle scene di masturbazione, fellatio, minzione, defecazione – «ah, those old familiar faeces!» (Guardian, 20.1.95), osserva con spirito Michael Billington – stupro e cannibalismo. Alcuni commentatori danno libero sfogo alla loro fantasia. Così Paul Taylor: «sitting through Blasted is a little like having your face rammed into an overflowing ashtray, just for starters, and then having your whole head held down in a bucket of offal» (Independent, 20.1.95); «hardened theatre critics looked in danger of parting with their suppers» commenta Charles Spencer, definendo l’opera «[a] nauseating dog’s breakfast» (Daily Telegraph, 20.1.95). In certi casi, le critiche contengono attacchi diretti a Kane denigrandone la giovane età, il talento, l’intelligenza, la salute mentale e la moralità (Luckhurst 2005: 109). Blasted viene vista come un tentativo puerile («abject puerility» è l’espressione usata da Taylor) di impressionare; Spencer, tornato a più riprese a castigare l’opera, la giudica una creazione «devoid of intellectual and artistic merit» (Daily Telegraph,

39 20.1.95); frutto, secondo Foss, di «prurient psycho-fantasies of a profoundly disturbed mind» (What’s

On, 25.1.95).

Questa ondata di ostilità contro Blasted, di cui le voci appena citate costituiscono solo una parte, è guidata soprattutto da due colossi della critica, i nomi e le recensioni dei quali sono parte integrante del mito dell’opera. I nomi di Michael Billington e di Jack Tinker24, infatti, sono emblema della ricezione controversa di Blasted. Graham Saunders sostiene che, dietro alle accuse scandalistiche contro la brutalità dell’opera, si celava l’incapacità della critica di riconoscere il legame esistente tra struttura e contenuti dell’opera: «here was a play making demands that critics chose either to ignore, scornfully dismiss, or react against with mock outrage» (Saunders 2002: 10). Il motivo per cui Blasted viene messa alla gogna dalla critica dipende, come avrebbe dichiarato Kane in seguito, dalla natura esperienziale della sua opera. I suoi oppositori condannano inoltre la mancanza di riferimenti alla realtà esterna: non accettano, cioè, il suo antirealismo. Per questa ragione Billington, deride l’opera chiedendosi «how such a naive tosh managed to scrape past the Court’s normally judicious play- selection committee» (Guardian, 20.1.95), e definendola una «farragine» (ibid.). Ma l’evidente conservatorismo della critica raggiunge la massima espressione nella recensione di Tinker. Mary Luckhurst ha giustamente rilevato come l’assalto furioso di Tinker a Blasted fosse dovuto soprattutto ai pregiudizi personali del critico di tabloid (Luckhurst 2005: 109). Nel suo articolo intitolato “This Disgusting Feast of Filth”, Tinker non solo esprime un totale disgusto verso l’opera di Kane, «which appears to know no bound of decency, yet has no message to convey by way of excuse» (Daily Mail, 19.1.95), ma per primo introduce la tendenza (condivisa successivamente anche da altri, come Spencer)25 a stigmatizzare la salute mentale dell’autrice, affermando: «some will undoubtedly say the money might have been better spent on a course in remedial therapy» (Daily Mail, 19.1.95). Così, salvo rare eccezioni, la critica non accetta che Blasted possa essere giudicata un «esperimento artistico serio, […] e considera [invece] l’opera gratuitamente brutale, nient’altro che un esercizio volto a scioccare» (Luckhurst 2005: 109).

All’angolo opposto del ring, Kane e la sua opera trovano i loro protettori in James Macdonald, il regista che cura il primo allestimento dell’opera, e Stephen Daldry, il direttore artistico del Court. Nel suo articolo per l’Observer, Macdonald difende la scrittura dell’autrice affermando che, durante un confronto sul copione, l’intero comitato ne ha ammirato la qualità: «it had assurance, wit and

24È necessario sottolineare il diverso grado di autorità dei due critici. Nel mito di Blasted, la recensione di

Tinker è l’emblema del conservatorismo generale della critica. Eppure, la condanna di Billington ha maggiore rilevanza dal momento che questi scrive per uno dei quotidiani nazionali più letti nel Regno Unito e poiché, solitamente, il critico del Guardian si era distinto per le sue visioni più progressiste.

25Il commento finale nella recensione di Phaedra’s Love scritta da Spencer recitava: «it’s not a theatre critic

40 economy with language» (Macdonald, Observer, 22.1.95). Sia il regista sia Mel Kenyon (l’agente di Kane) erano consapevoli che la struttura e i contenuti dell’opera avrebbero suscitato reazioni ostili (ibid.; Saunders 2002: 146); tuttavia, non si sarebbero aspettati da parte della critica la condanna unanime anche dello stile. Ad ogni modo, come ha rivendicato Macdonald, se il teatro è il luogo di dibattito per definizione, Kane ha affrontato con audacia le grandi questioni della contemporaneità. Infatti, «[Blasted] talks eloquently and with passion about nationalism, racism, emotional and physical abuse, sexual fantasy and the male urge to self-destruct» (ibid.). Come spiega Luckhurst, le parole di Macdonald inseriscono Kane nella grande tradizione del Royal Court. Inoltre, dal momento che la sua opera discute un tema – quello della violenza – cruciale nella cultura del Regno Unito di quegli anni, la difesa da parte del regista costituisce «il nascere di una retorica che nazionalizza [l’autrice] e si propone di innalzarla a voce esemplare della cultura britannica» (Luckhurst 2005: 111).

Nei giorni immediatamente successivi al caos mediatico, molti scrittori rispondono all’appello lanciato da Daldry e difendono Blasted sulle pagine dei giornali nazionali. Tra i vari interventi, Saunders riporta quello di Caryl Churchill, «[who] found it to be “rather a tender play … able to move into the surreal to show connections between local, domestic violence and the atrocities of war» (Saunders 2002: 25). In una lettera a firma congiunta al Guardian, i drammaturghi Martin Crimp, Paul Godfrey, Meredith Oakes e Gregory Motton prendono posizione contro Billington e la sua predilezione per opere esclusivamente «based on exact social observation» (Billington, Guardian, 20.1.95). Secondo la sua linea di ragionamento, infatti, risulterebbero privi di valore artistico un gran numero di capolavori del passato26. A loro avviso, quello del critico del Guardian è un inopportuno tentativo di imporre i propri gusti limitando la libertà d’espressione dell’artista (Guardian, 23.1.95). Elogiano, inoltre, il coraggio di Kane nel trascendere i confini dell’esperienza personale «and bring the wars that rage[d] at such convenient distance from this island right into its heart» (ibid.). Opponendosi all’idea che quella di Blasted fosse una violenza gratuita, Harold Pinter dichiara che l’autrice «was facing something actual and true and ugly and painful» (Saunders 2002: 25; Sierz 2001a: 97), distinguendo lo stile di Kane da quello dei film di Quentin Tarantino, in cui la violenza, come sottolineato da Steve Waters, «[is] an action interchangeable with any other, generating no moral backwash, simply one sign amongst others» (Waters 2006: 378). Il paragone con il regista americano, epitome cinematografica dell’estetica della violenza negli anni Novanta, viene ripreso anche da Edward Bond. Lo scrittore di Saved mette a confronto la moralità operante in Blasted e quella delle pellicole di Tarantino:

26«What about Beckett, Artaud, Sartre, Heiner Muller, Howard Barker, Genet, almost all Greek tragedy, come

to think of it A Winter’s Tale contains very little “sense of external reality”. An entire, important strand of theatrical writing concerns itself with internal reality, psychological reality» (Greig, Guardian, 24.1.95).

41 She [Sarah Kane] was able to penetrate very deeply what happens inside everybody, and that’s not just a subjective thing it’s how you relate to our external reality. If you let the outside world into yourself that is a chaotic and dramatic process and she was able to touch that process and people don’t like it. There’s a huge difference between Tarantino and Blasted. Both deal with chaos. One says chaos is dangerous for us but we have to go into chaos to find ourselves. The other says chaos is a gimmick, a new device – it’s a trick. Tarantino will make his fortune. Sarah Kane kills herself. (Saunders 2002: 25)

Secondo Bond, quindi, l’opera di Kane è piuttosto un’onesta e profonda esplorazione delle relazioni umane.

In Blasted ogni riferimento alla realtà esterna è stato consciamente omesso. L’analogia con la crisi balcanica, per esempio, risulta automatica (come dimostrano le diverse recensioni) solo perché la guerra in Bosnia si sta svolgendo in concomitanza con la rappresentazione dell’opera. Eppure, nulla all’interno di Blasted richiama in concreto quel conflitto. Al contrario, diversamente dalla prima stesura dell’opera27, il testo finale è privo di riferimenti al conflitto in ex-Jugoslavia: basta pensare all’evasività della didascalia introduttiva, «a very expensive hotel room in Leeds – the kind that is so

expensive it could be anywhere in the world» (1:3; enfasi mia), e all’identità anonima del soldato28. È dunque per questo suo carattere di universalità che, come afferma David Greig, «after the hysteria dies down [Blasted] remains to be read and performed for years to come» (Guardian, 24.1.95).

Le crisi umane di ogni epoca, uno dei temi centrali dell’opera di Kane, motivano quindi la difesa appassionata di Greig e di Bond contro la miopia della critica. Il primo, ad esempio, rivolge un

j’accuse contro la banalità dell’intervento di Billington e contro il Guardian che, nonostante la sua

fama nazionale, attaccando la giovane autrice si abbassa allo stesso livello dei tabloid. L’amico e futuro curatore della raccolta di opere di Kane dichiara Blasted un lavoro straordinario, una straziante quanto sincera storia di abusi «of women by men, […] of the simple by the cynical, […] of civilians by soldiers, […] of soldiers by war» (ibid.). In particolare, Greig riconosce nel confronto tra Ian e il soldato una condanna dei giornalisti che tradiscono la verità: mentre gli orrori della guerra si consumano sotto i loro occhi, molti di loro hanno rivolto lo sguardo altrove, alla ricerca di notizie più vendibili (ibid.). Infatti, come fa notare il compagno di Kane, «nello stesso giorno in cui una ragazza di quindici anni viene violentata e uccisa, sia i quotidiani sia il Guardian si scagliano contro una giovane autrice che altro non ha fatto se non illustrare gli abusi che ha visto avvenire nel mondo in cui vive» (ibid.).

27Questa venne utilizzata per una prima produzione alla Birmingham University, come tesi finale del Master

in Drammaturgia seguito dall’autrice (cfr. paragrafo di Aleks Sierz in De Vos-Saunders 2010: ‘‘Looks like there’s a war on’: Sarah Kane’s Blasted, political theatre and the Muslim Other’, p. 51).

28Nella versione di Birmingham, il nome del soldato, Vladek, era un collegamento esplicito alla realtà della

42 Allo stesso modo Bond esprime in una lettera al giornale tutta la sua ammirazione per l’umanità di Blasted e la padronanza del mezzo teatrale di Kane:

[…] Blasted, I think, comes from […] the centre of our humanity and our ancient need for theatre. That’s what gives it its strange, almost hallucinatory authority. It does not show us the images we will live with if we do not remake our moral vision. We already live those images - in the world where the two hands of the clock are birth and death, the world that is always there but becomes our dehumanised reality only when we do not try to make our daily world more just. The images of Blasted are ancient. They are seen in all great ages of art - in Greek and Jacobean theatre, Noh and Kabuki. The play changes some of the images - but all artists do that to bring the ancient imagery, changed and unchanged, into the focus of their age. The humanity of Blasted moved me. I worry for those too busy or so lost that they cannot see its humanity. And as a playwright, I am moved by the craft and control of such a young writer. (Guardian 28.1.95)

Sia tra gli oppositori che tra i sostenitori di Kane ci si chiede, comunque, quale sarebbe stato il futuro dell’artista. La controversia su Blasted dà vita a un paradosso. Benché nell’arco di tre settimane alla prima produzione abbiano assistito un migliaio di persone – numero decisamente inferiore rispetto alle presenze in una sola replica di The Weir di Conor McPherson (Saunders 2009: 17) - Blasted, come osserva Macdonald, rimane l’opera più discussa degli ultimi anni (Luckhurst 2005: 111). In seguito al clamore iniziale, lo spettro di questa opera accompagna Kane per tutta la sua breve carriera,

tanto da rischiare di oscurare il lavoro successivo. Anche se il talento di Kane viene riconosciuto a livello europeo, soprattutto in Germania, nel Regno Unito, invece, resta oggetto di dubbio.

Quando però la scrittrice si toglie la vita nel febbraio del 1999, la percezione della sua intera produzione subisce una svolta: i suicidi, la depressione, la visione cupa del mondo riscontrabili nelle sue opere in quel momento acquisiscono tutto un altro significato. La tematica del suicidio attraversa tutto il lavoro di Kane, la quale ha affermato «in some ways all my characters are me» (ivi, 118). Commenti come questo vengono interpretati alla lettera e danno vita, secondo l’espressione utilizzata da Luckhurst, a una «narrative of inevitability» (ibid.), come dimostra la lettura retrospettiva di Crave proposta da Vera Gottlieb: non si tratta tanto di una svolta stilistica, quanto di un ritirarsi di Kane nella propria interiorità. Inevitabilmente, 4.48 Psychosis assume soprattutto un valore autobiografico, come fosse la lettera d’addio dell’autrice benché, in realtà, Kane abbia impiegato molto tempo per scriverla (Saunders 2002: 125). Persino Mel Kenyon avrebbe ammesso: «I pretend that [4.48

Psychosis] isn’t a suicide note but it is. It is both a suicide note and something much greater than that»

(Iball 2008: 7). La produzione postuma dell’opera, diretta da Macdonald al Royal Court Theatre Upstairs nel 2000, prende la forma di un saluto finale: al momento della battuta conclusiva «please open the curtains» (245), i tre attori vanno ad aprire le tende delle finestre del teatro lasciando entrare la luce e i rumori delle strade di Londra; in seguito, Taylor avrebbe commentato: «the effect is strangely uplifting, like watching the final release of a turbulent spirit» (Saunders 2002: 116-7).

43 Anche in Europa, dove Kane è osannata come il «nuovo Shakespeare» (Nikcevic 2005: 261), la sua malattia e la sua morte sono non solo ben note, ma vengono anche considerate indivisibili dalla sua visione poetica. Lo testimonia, ad esempio, una produzione di Cleansed presentata da Warlikowski nel 200329, introdotta con queste parole: «Sarah Kane committed suicide at age 28, leaving behind radical and extreme writing of a rare violence, plays that highlight horror and rip our remaining illusions to shreds» (ivi, 261-2). Secondo Nikcevic, in un contesto storico e culturale dove le vite degli autori non sono generalmente considerate rilevanti per la lettura del loro lavoro, il suicidio di Kane viene strumentalizzato ai fini di consolidare il New European Drama (cfr. oltre): «the purely emotive was being used as a shield against negative opinions of her work. Whoever dared to criticize this kind of play was labelled “bourgeois, blasé, cynical and so on […]”» (ivi, 262). La vita privata dell’autrice diviene uno scudo contro le critiche verso la nuova tendenza.

Anche nel Regno Unito, i riconoscimenti negati a Kane in vita le vengono tributati dopo la sua morte. Con il suicidio comincia il processo di canonizzazione e il lavoro precedente viene rivalutato; improvvisamente, si riconoscono la bellezza, la poesia e la verità espresse nelle sue opere (ivi, 260). Presto, Kane è considerata al pari dei maggiori drammaturghi del Royal Court e la sua figura associata a figure iconiche come Sylvia Plath e Buzz Goodboy (Luckhurst 2005: 120); l’autrice diventa l’icona dell’artista romantico suicida, proprio come il suo idolo musicale Ian Curtis (Iball 2008: 8). Insomma, la sua morte, non meno della prima di Blasted, diventa l’altra lente attraverso cui interpretare il suo lavoro, contribuendo ad offuscare ulteriormente la percezione del suo teatro.