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Sulla questione dell’identità in Blasted: il post-umano

Prima ancora di chiedersi quale posto l’uomo occupi nell’universo (Saunders 2004: 77), il teatro di Kane mette in discussione il significato stesso di essere umano. Le opere dell’autrice ritraggono infatti il disorientamento ontologico dell’uomo e l’ardua lotta per conservare la propria integrità: «the struggle of the self to remain intact», riassume Greig, «move[s] from civil war, into the family, into the couple, into the individual and finally into the theatre of psychosis: the mind itself» (Greig 2001: xvi).

Sono passati molti anni dalla prima di Blasted e dalla morte dell’autrice. Nel 200867, dichiara Louise LePage, questi due eventi non sono più indispensabili per interpretare il suo lavoro (LePage 2008: 401). Piuttosto, le opere di Kane vengono studiate secondo diverse chiavi di lettura che variano (per citarne solo alcune) dall’analisi della forma teatrale a quella del contesto culturale e politico; dalle interpretazioni femministe68 a quelle più generali sull’identità; dalla psicanalisi al marxismo69. La critica è attenta soprattutto a uno degli aspetti più radicali del teatro di Kane: la decostruzione di bipolarismi come realtà/messa in scena, soggetto/oggetto, mente/corpo, uomo/donna e la predilezione per realtà che sfuggono una facile identificazione.

L’indagine dell’autrice, secondo LePage, scaturisce come risposta a un mondo in rapido cambiamento dove le linee di confine sono sempre più sfocate e il concetto di identità in continua trasformazione. Nell’arco della sua ricerca, Kane propone un nuovo modello umano che rispecchia l’indeterminatezza del mondo in cui vive. Nelle sue opere, spiega LePage, il concetto contemporaneo di identità è definito «as a kind of insecure post-human hybrid: a ghost, or a memory, differently and multiply sexed bodies, fundamentally realised in words (written or voiced) » (ivi, 402; corsivo nel testo).

67In un resoconto della conferenza ‘Sarah Kane Reassessments’ tenutasi all’Università di Cambridge nel

febbraio del 2008 (LePage 2008: 401-3).

68Cfr. Elaine Aston, ‘Reviewing the fabric of Blasted’ in Sarah Kane in Context, cap. 1, par.2: ‘Act two: a

fabric of feminism and hope’, pp. 20-6.

69Ad esempio, l’applicazione del concetto marxista di reificazione sul soggetto nel tardo capitalismo; cfr.

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Diversamente da LePage, Julie Waddington, ritiene che il soggetto centrale esaminato dall’autrice sia l’essere umano tout court. L’umanesimo di Kane riconosce l’essere umano al di là di categorie prestabilite come genere, razza, classe sociale o sessualità, divenute di recente parametro interpretativo delle opere d’arte. Il suo teatro, in conclusione, esplora l’esistenza umana in senso universale (Waddington 2010: 142).

Con il termine post-umano, Waddington si riferisce invece a una crisi inerente all’umanesimo inaugurato dal pensiero di René Descartes70. È la scissione tra mente e corpo alla base della teoria cartesiana uno dei temi fondanti delle opere di Kane, ma in Blasted, secondo alcuni critici71, la supremazia della coscienza viene meno. Ancora una volta, è la metamorfosi di Ian che mette in discussione il modello di soggettività cartesiano. Waddington spiega perché:

Ian is presented at the outset of the play as the main protagonist who, as evidenced by his manipulation of both dialogue and action, is master of the situation he finds himself in and of those he finds himself with. His gradual loss of control represents a challenge to the idea of the “I”-centred subject as the locus of meaning. The increasing fragmentation from scene three onwards emphasises the split between consciousness and physical being by foregrounding the human body and bodily practices to such an extent that the hierarchical ordering of consciousness and being is theatrically overturned. Instead of the action being motivated by Ian’s consciousness, it is Ian’s body that begins to direct proceedings. The stage directions towards the end of the final scene gradually take precedence over dialogue and centre increasingly on bodily functions […]. (ivi, 143)

Secondo la studiosa, quindi, la condizione di Ian si traduce in un rovesciamento gerarchico tra coscienza e corporeità: la prima perde del tutto consistenza e lascia spazio alla nuda vita, come la definisce Agamben. Tuttavia, questa descrizione non combacia con quella fornita da LePage: la centralità del ruolo del corpo rispetto alle funzioni cognitive non equivale affatto al carattere ibrido, talvolta astratto, del modello post-umano proposto da quest’ultima.

Anche Iball, sulla stessa linea di Waddington, ritiene che sia il corpo di Ian a guidare la sua volontà. Se, però, la riflessione di Waddington si concentra sulla climax degenerativa che si riscontra nella seconda metà dell’opera fino al parossismo nella sequenza finale, secondo Iball, invece, la natura corporea del personaggio è un elemento predominante già nell’incipit. Appena mette piede nella stanza d’albergo, Ian si rivela padrone della situazione, «[the] “man-in-the-world” with every

70Filosofia inaugurata dal pensiero di René Descartes e dalla sua deduzione cogito ergo sum secondo la quale

mente e corpo sono divisi. Gli oppositori della teoria cartesiana hanno sottolineato che la riflessione di Descartes implica una gerarchia tra i concetti di cogito (‘il pensare’) e sum (‘l’essere’) nella quale il corpo è subordinato alla mente. Secondo i critici di Cartesio, in questo modo la mente non è solo estranea dal corpo, ma anche rispetto agli altri soggetti e al mondo che abita. Dal momento che il concetto moderno di soggettività si basa sul pensiero di Descartes, spiega Waddington, la nostra società è fondata sulla scissione che governa tale principio (Waddington 2010: 143).

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right to avail of [the room] facilities […] [and] for his appetites to be satisfied» (Iball 2005: 325). Soddisfa infatti senza remora alcuna le proprie necessità, come testimoniano le didascalie che descrivono i suoi primi movimenti72. L’analisi di Iball dimostra quindi la preminenza delle caratteristiche animalesche di Ian la cui condizione, non a caso, è comparata dalla studiosa a quella di Lear: «thou art the thing itself: unaccommodated man is no more but such a poor, bare, fork’d animal as thou art» (ivi, 323). D’accordo con Waddington, infine, Iball individua l’apice del controllo del corpo sulla mente del personaggio nella scena in cui questi rimane solo, prigioniero tra le macerie della camera d’albergo, dopo che Cate se n’è andata in cerca di cibo: incarcerato tanto nell’involucro della sua stessa carne, quanto nella sua sofferenza.

Tuttavia, la figura di Ian potrebbe essere ancora più complessa. È davvero questa l’umanità vista da Kane nella sua prima opera, e cioè l’essere degradati allo stato animale, come descritto da Iball o da Waddington (e non solo73)? È davvero, secondo quanto detto invece da Karoline Gritzner un sé

che non è più «a direct agent of, or vessel for, meaning […] irrevocably diminished [by] the conditions of postmodernity or late capitalism» (Gritzner 2008: 330; 336)? Se l’uomo perdesse le facoltà del pensare e del sentire, allora l’umanità non sarebbe poi tanto diversa da quella descritta da Edward Bond con l’espressione ‘Società Postuma’74:

I am now a dead person writing to a dead reader (yourself). This is because we have ceased to create our humanness … So we are like a bird swooping through the air – it appears to be flying but in fact is dead, and would soon become obvious. We are like people who are brain dead … The brain dead are kept alive by machines. It is, then, as if our species were kept alive by our vast technology. We might continue in some way but we would not be human and so not conscious of being dead. (Saunders 2003: 103)

In realtà, benché Blasted costituisca l’iniziale processo di riduzione dell’individuo a un’entità ibrida o a una mera creazione del linguaggio, processo che si sviluppa definitivamente nelle ultime due opere dell’autrice, i personaggi dell’opera si ostinano a scavare tra le macerie del mondo pur di incontrare la vita75. E lo fanno, secondo LePage, consapevolmente; assolutamente padroni della loro volontà.

72Innazitutto, la battuta iniziale; in seguito: «Ian comes in, throws a small pile of newspapers on the bed, goes

straight to the mini-bar and pours himself a large gin»; dopo aver bevuto il liquore: «I stink»; poi: « [he] goes into the bathroom and we hear him run the water» (3); e ancora: «coughing terribly in the bathroom» (4).

73Anche Urban descrive Ian come un animale (cfr. Urban 2001: 46).

74La riflessione dello scrittore si applica principalmente alle due ultime opere di Kane: se, almeno fino a

Cleansed, l’unione tra mente e corpo si risolve (benché solo nel momento estremo della morte dei personaggi o, comunque, nell’annullamento del loro Io), ciò non sembra avvenire in Crave (lo confermerebbe, in questo caso, il ritornello pronunciato da C: «I feel nothing, nothing. I feel nothing») né in 4.48 Psychosis, dove la voce si dice disposta a rinunciare alle proprie facoltà intellettive pur di «[to] be a bit more fucking capable of living» (221). L’espressione Posthumous Society (preferibile, secondo lo scrittore, a Postmodern Society) è stata coniata da lui (Saunders 2003: 103).

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Nell’analisi sul naturalismo dei protagonisti di Blasted, la studiosa dimostra che Ian e Cate non sono affatto personaggi come, ad esempio, Hedda Gabler nell’opera eponima di Henrik Ibsen76 né, tanto meno, sono degli automi. Piuttosto, LePage si serve del termine conglomerato utilizzato da August Strindberg per descrivere una tipologia di personaggio al contempo «product and agent – […] a structure of selfhood that […] offers a solution to the free will problem and enables people to be both determined and self-determining» (LePage 2014: 257; corsivo nel testo). A suo avviso, infatti, la nozione concepita dal drammaturgo svedese segnerebbe un superamento dell’idea naturalistica di personaggio. Questa è costruita sulla visione di un mondo regolato esclusivamente secondo le leggi della natura e gli individui che si muovono al suo interno devono sottostare alle stesse norme. In termini teatrali, quindi, le azioni del personaggio nell’opera naturalistica sono predeterminate dall’ambiente che lo circonda, e il suo destino stabilito a priori dalle didascalie introduttive77. Come

osservato da LePage, invece, le identità fluide di Ian e Cate eludono i dettami di questo modello:

[…] by the end of the play, these characters have changed their attitudes and behaviours and are performing quite different sorts of identities and roles. Ian opens the play as an offensive bully and ends it meekly thanking Cate for her kindness; and having played the abuser role with Cate in the first part of the play, he is forced into the role of unwilling victim when he is raped by the Soldier, who now takes on Ian’s earlier role as abuser. Cate, meanwhile, who was the unwilling and nervous victim of Ian’s sexual advances and then rape during the first two scenes of the play, has, by the end, assertively cast herself as victim in order to obtain food from the soldiers while concurrently taking on the roles of brave and resilient survivor and generous benefactor to the reduced Ian. (ivi, 255)

Ecco, dunque, che l’introduzione descrittiva dei personaggi in Blasted richiama solo apparentemente il naturalismo di Ibsen: non possedendo alcun valore prescrittivo rispetto alle loro sorti, le didascalie dell’incipit divengono una parodia delle convenzioni naturalistiche (ivi, 254).

Nell’opera di Kane rimane da sciogliere, infine, un ultimo nodo relativo al processo di trasformazione riconducibile alla perdita di umanità di Cate e, soprattutto, di Ian. Se, infatti, nel caso della giovane ragazza questa conserva la propria compassione verso l’altro, come testimonia il suo prendersi cura della neonata e, in ultima istanza, della persona che ha abusato di lei, la litania di Ian, invece, e la sua supposta riduzione allo stato animale o di soggetto post-umano sono all’origine delle diverse interpretazioni analizzate in questo paragrafo.

Gli studi di Waddington e di Iball fondano la loro riflessione principalmente sulla degenerazione di Ian nel momento finale dell’opera: ogni barlume di civiltà, cultura e di coscienza è soppresso nella

76L’esempio riportato non è casuale: l’opera di Ibsen è una delle influenze principali su Blasted, soprattutto

per quanto riguarda l’uso delle didascalie nella presentazione dei personaggi. Si veda Saunders (2009: 43-4) e Saunders 2002: 43).

77Si veda, ad esempio, la costruzione del personaggio di Hedda nell’opera di Ibsen attraverso le didascalie

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scena dove il personaggio si masturba, tenta bizzarramente di strangolarsi, defeca, ride istericamente, ha gli incubi, abbraccia il cadavere del soldato, riesuma la neonata per cibarsene e, da ultimo, occupa il suo posto nella tomba. Basta questo, dunque, per farne un animale, inteso come «an essentially organic life form, materially consisting of biological processes and drives and with a deficient capacity for self-determination» (ivi, 263)? La risposta di LePage è ‘no’, e le sue motivazioni risiedono proprio nelle didascalie che descrivono le azioni di Ian. Nella sequenza finale, ogni movimento fisico del personaggio centrale di Blasted è accompagnato da un gesto profondamente condizionato dalla coscienza. Dopo aver defecato sul pavimento della stanza d’albergo, infatti, Ian tenta di pulire con il giornale; la sua risata isterica, invece, costituisce un potenziale indizio di ironica percezione riguardo il degrado del suo stato – una caratteristica, nota LePage, difficilmente riscontrabile in un animale; ancora, la volontà di Ian di suicidarsi strangolandosi con le sue stesse mani – un atto al contempo disperato e ironico, ma anche fortemente diretto dalla sua coscienza; infine, la sequenza in cui Ian si ciba della neonata è seguita da un gesto alquanto umano: il giornalista ripone i resti del cadavere nelle coperte in cui era stato avvolto da Cate per adagiarli di nuovo nella tomba – un’azione che, secondo LePage, implica sentimenti come colpa ed empatia, nonché una traccia di comportamento umano culturalmente connotato (ivi, 262).

Nel caso di Blasted, quindi, la categoria critica del post-umano non è applicabile. Tuttavia, tale inapplicabilità illumina con ancora più forza l’umanità dell’opera di Kane: è l’ennesima, inconfutabile prova che testimonia la sensibilità di una scrittrice di teatro che, quando Blasted debutta al Royal Court, aveva solo ventitré anni. Malgrado la prematura scomparsa e l’altrettanto precoce processo di canonizzazione subito dalle sue opere, Kane non solo dimostra, con la sua prima opera, di potersi sedere a fianco dei grandi maestri del teatro, ma dà prova di un grande coraggio nella trasformazione continua della propria tecnica. L’analisi in chiave post-umana, benché non abbia dato i risultati sperati (ma forse è meglio così) costituisce un ulteriore passo in avanti nella rivalutazione del lavoro dell’autrice: è l’ultima tappa di un percorso per sfuggire alla cattiveria, al conservatorismo e alla miopia che hanno accolto il debutto della sua prima opera.

Tuttavia, malgrado le diverse interpretazioni della critica, lo spettro della morte di Sarah Kane aleggia sempre quando ci si avvicina al suo teatro. Sarebbe un errore grave leggere i testi o assistere alle opere dell’autrice come copia della sua storia personale. Questo giudizio è confermato da due suoi amici, nonché compagni d’arte. David Greig, ad esempio, conclude così l’introduzione ai Complete Plays di Sarah Kane: «[t]o read these plays for what they tell us about their author is, to my mind, a pointlessly forensic act. The work’s true completion comes when the plays are read for what they tell us about ourselves» (Greig 2001: xviii). In un articolo sul Guardian, invece, Mark Ravenhill commemora l’autrice rivolgendo al lettore e allo spettatore che verranno questo messaggio:

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[t]here's a danger that we see all of Kane’s work as one long preparation for suicide […]. Rather, I think we should look at the plays as the work of a writer of great anger, of sardonic humour, who saw the cruelties of the world but also the human capacity for love.

When a friend commits suicide, you're always going to feel angry with them. Any personal anger that I felt towards Sarah has long since gone, but I still feel a flash of anger that she could leave a fine body of work that can be appropriated as suicide art. Her work is far better than that. […] Kane told me she wrote Cleansed when she was in love. [None of her] play[s] was written by a person who knew she would commit suicide. Myth, biography and gossip crowd around the work of any artist, clouding our view, but maybe no one more so at the moment than Sarah Kane. We don't know her. We never knew her. Let's look at her work. (Guardian, 12.10.05)

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CAPITOLO 3

LA PARABOLA ARTISTICA DI MARK RAVENHILL: ALCUNE