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Shoot/ Get Treasure/ Repeat (2007): globalizzazione e guerra

Il ciclo di opere brevi ideato da Ravenhill si colloca, insieme a un vasto numero di pièce teatrali, nel genere del teatro politico e di protesta sorto nello scenario mondiale del dopo 11 settembre. Anche l’Europa, dopo aver subito a sua volta attentati in grandi città come Madrid e Londra111, entra

ufficialmente nel clima di terrore che caratterizza il nuovo millennio. Il trauma dell’Occidente si trasforma da subito112 in un’arma micidiale mascherata da un forte sentimento patriottico con le politiche del presidente americano George W. Bush, al quale Tony Blair promette tutto il suo appoggio. La retorica di entrambi è chiara: ‘o con noi o contro di noi’.

111Rispettivamente 11 marzo 2004 e 7 luglio 2005.

112Cfr. USA PATRIOT ACT, ottobre 2001: legge che promulga un incremento dei poteri della polizia e degli

organismi di intelligence (CIA, FBI, NSA) con lo scopo di impedire gli attacchi terroristici sul nascere; quindi, espansione dell’accesso da parte del governo americano a qualsiasi strumento di comunicazioni (cellulari, caselle di posta elettronica etc.) (Spencer 2012: 3).

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Nei periodi immediatamente successivi sia agli attacchi al World Trade Center, che agli attentati di Londra, il mondo dell’arte rimane inizialmente in silenzio; forse nel rispetto del lutto, ma anche a causa, almeno in America, dei provvedimenti legislativi tempestivamente promulgati dopo la caduta delle torri gemelle. Per quanto riguarda il teatro statunitense, secondo quanto riportato da Jenny Spencer, «New York City theatre producers carefully avoided any reference to the events of 9/11 for months after the attacks; it was 2003 before artists began asking the type of questions that needed to be asked but that, until then, seemed absent in the public discourse» (Spencer 2012: 3). Allo stesso modo, dopo il 7 luglio 2005 i palcoscenici di Londra sembrano indugiare in un periodo di auto- censura simile a quello americano; ma già nella fase che precede l’intervento in Iraq, si assiste ad un risveglio del teatro politico anche nel Regno Unito. Negli USA e ancora prima in Gran Bretagna, quindi, le politiche interventiste113 del presidente Bush e del primo ministro Blair, il suo alleato più

fedele, diventano il bersaglio di un’aspra critica (ibid.). Così, circa tre mesi dopo le riserve espresse da Billington nel gennaio 2003, verso il fallimento da parte del teatro inglese a fare i conti con le questioni attuali (ivi, 4), non solo vengono ripristinate le tecniche del passato, come la forma documentaria o verbatim (ivi, 8), ma si propone un rinnovamento del linguaggio per meglio descrivere l’insicurezza che affligge questo nostro mondo contemporaneo.

Nello scenario di protesta contro la guerra al terrorismo si inserisce Shoot/ Get Treasure/ Repeat, «an epic cycle of [seventeen]114 short plays» (Ravenhill 2008: 5) scritto da Mark Ravenhill. Debutta come un ciclo di letture durante il Fringe Festival di Edimburgo nel 2007, per poi andare in scena l’anno seguente nei maggiori teatri di Londra: un progetto ancora più ambizioso rispetto ai precedenti che riunisce dieci registi e circa cinquanta attori dai palchi e dalle compagnie più importanti come il Royal Court, il National Theatre, il Gate; la Out of Joint e la Paines Plough (Ravenhill, Guardian, 26.3.08). Scritte verso la fine del secondo mandato di Bush e dopo il termine dell’incarico di Blair, le opere si rivolgono principalmente a un pubblico angloamericano del quale vengono apertamente criticati quei sentimenti che hanno contribuito a creare lo stato di sicurezza nazionale odierno

113 Spencer spiega che, oltre alla storica «special relationship» instaurata tra i due Paesi, Bush e Blair

condividono anche una sorta di sentimento religioso e un’egual senso di «missione evangelica» dai quali scaturisce una solida alleanza nella guerra al terrorismo. Il Regno Unito, infatti, non solo supporta i raid aerei in Afghanistan ed entra in guerra con l’Iraq senza la mediazione dell’ONU, ma promulga a sua volta un altrettanto controverso corpo di leggi nel 2004 [sic!; il ‘Prevention of Terrorism Act’ viene legiferato nel 2005]. A causa del provvedimento, non solo scoppiano le prime tensioni tra le comunità islamiche e il resto del Paese, ma cresce anche un senso di catastrofe imminente (Spencer 2012: 3).

114 Il progetto di Ravenhill include sedici opere di venti minuti ciascuna. La diciassettesima, Paradise

Regained, è stata commissionata dal Golden Mask Festival di Mosca e rappresentata al Royal Court nel settembre del 2008 (Laera 2009: 3). Le sedici opere originarie sono state realizzate da diverse compagnie teatrali (tra cui Paines Plough e Out of Joint), e messe in scena nelle sale principali della capitale come il National Theatre, il Gate, il Royal Court e il Village Underground a Shoreditch, nonché trasmesse su BBC Radio 3 (ibid.).

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(Spencer 2012: 64). Infatti, come afferma Spencer, il ciclo di Ravenhill ritrae l’ipocrisia e la presunzione delle “persone per bene” («the good people») abbracciando l’idea – condivisa da molti studiosi, tra cui Jean Baudrillard – secondo la quale le grandi potenze occidentali, con a capo gli Stati Uniti d’America, «sono i veri responsabili del terrorismo scatenatosi contro di loro; e non vittime innocenti di un male assoluto incarnato da un nemico straniero, contro cui si sentono chiamati a combattere» (ibid.).

Nella serie Ravenhill tratta un argomento di dimensioni globali di cui offre un’immagine ricostruibile attraverso diciassette frammenti. A questi l’autore assegna titoli che richiamano alcuni classici, moderni e antichi: War and Peace e Crime and Punishment; Women of Troy e The Odyssey; ma anche film recenti come Armageddon e War of the Worlds; oppure un’altra pièce teatrale, come nel caso di The Mikado. L’intenzione originale, come dichiara lui stesso, è quella di soddisfare un duplice bisogno del pubblico contemporaneo: saziarne la curiosità per le grandi storie – «that urge for an epic narrative that draws us to the Oresteia or Paradise Lost [un altro dei titoli compresi nel ciclo] or Shakespeare’s history plays» (Ravenhill 2008: 5) – e presentare al contempo un quadro più ampio attraverso piccoli frammenti da assorbire in modo simile al tipo di informazione cui siamo abituati oggi giorno; «the soundbite, the text scrolling across the screen, the YouTube clip» (Guardian, 26. 3. 08). In questo modo, il significato dell’intera serie è interpretabile in chiave postdrammatica115, sovrapponendo in ordine casuale i vari episodi. Riassumendo il pensiero di Hans- Thies Lehmann, padre teorico del teatro postdrammatico, David Barnett spiega che le modalità di rappresentazione di questa categoria seguono

[…] the paradigm of the dream as a formal means of suspending the thematic flow of time. Dreams are episodic and non-linear: meaning is dispersed throughout their structures, so that, for example, knowledge of a dream’s conclusion may not shed any undue revelatory light on the dream’s possible significance. (Barnett 2008: 15).

La serie di Ravenhill, infatti, oltre a situarsi talvolta in una dimensione quasi onirica in cui non vengono fornite indicazioni spaziali precise, e dove il tempo sembra congelato in uno stato di eterno presente, procede in maniera non lineare e viene costruita secondo «simultaneous and multi- perspectival modes of perception»116 (ibid.). Così, il disegno più ampio proposto dall’autore deve essere assemblato mettendo insieme i frammenti. Inoltre, data la natura ludica del titolo della

115La categoria del teatro postdrammatico è stata introdotta da Hans-Thies Lehmann nell’omonimo studio

Postdramatisches Theater (1999). Per un riassunto del concetto, rimando a Barnett (2008: 14-6).

116 In questo caso, Barnett ha direttamente citato Lehmann: «simultaneous and multi-perspectival modes of

perception replace linear and successive ones. A more superficial and, at the same time, more encompassing sensibility takes the place of the more centralized and deeper one» (Lehmann 1999: 11, cit. in Barnett 2008: 15).

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raccolta117 e la decisione di inscenare per la prima volta gli episodi del ciclo in diverse aree di Londra, l’esperienza di Shoot/ Get Treasure/ Repeat prende la forma di una vera a propria «caccia al tesoro» (cfr. Laera 2009: 3-9).

Ai partecipanti di questa enorme ‘caccia al tesoro’, che nell’aprile del 2008 occupa l’intero centro della capitale118, viene concesso di scegliere l’ordine e il numero di spettacoli a cui assistere. Gli spazi londinesi, infatti, non potendosi permettere la messa in scena dell’intero ciclo (una eventuale maratona di circa sei ore)119, si alternano nella rappresentazione delle opere inscenandone due alla volta. Il National Theatre, ad esempio, ospita al Lyttelton gli allestimenti di Mikado e The Odyssey, e al Cottlesloe quelli di Intolerance e Crime and Punishment; le opere vengono messe in scena nell’insolito orario della colazione domenicale, alle dieci e alle undici di mattina, mentre agli spettatori vengono serviti caffè e breakfast rolls. La possibilità di consumare il tipico pasto mattutino mentre si assiste agli spettacoli crea, secondo l’ennesimo prestito dal teatro brechtiano, un effetto straniante: alcuni microdrammi della serie presentano infatti situazioni familiari – come la colazione o la cena – dove la serenità personale (Intolerance) o coniugale (Fear and Misery) viene sconvolta dall’incombere della guerra; sia realisticamente, quando esplode una bomba oppure viene compiuto un attentato, che interiormente, sotto forma di ansia e paura. Tuttavia, la colazione offerta al pubblico, una metafora che indica il comfort e il senso di sicurezza come caratteri distintivi di una famiglia occidentale, segna solo il principio del processo di identificazione con i soggetti umani presenti sul palco: ben presto, lo spettatore comprende di essere lui stesso l’obiettivo primario della critica sociale di Ravenhill.

L’autore polarizza la realtà del ciclo in due fazioni120: da una parte un mondo di «persone

perbene», che credono negli alti ideali di «libertà e democrazia» giustificandone l’esportazione violenta in base al loro stile di vita sano e fondato su scelte culinarie equosolidali; un’esistenza basata sul consumo di vini pregiati e pasta fatta in casa, nonché sull’impeccabile cura di automobili costose e l’amore iperprotettivo verso i figli (Hughes 2011: 120); dall’altra, un agglomerato di immagini mostruose che appartengono invece ad una realtà altra come il «soldato senza testa», le malattie, gli

117Il titolo richiama la terminologia dei videogiochi (cfr. Guardian, 26. 03. 08; Laera 2009: 4).

118Le opere non vengono inscenate solo sui palcoscenici, ma anche nei bar e nei parchi pubblici (Hughes 2011:

120).

119Comunque sia, il ciclo è stato progettato per essere rappresentato frammentariamente (Laera 2009: 6). 120La polarizzazione attuata da Ravenhill richiama la retorica politica utilizzata tanto da George W. Bush

quanto da Osama Bin Laden nel periodo successivo alla caduta delle torri gemelle e durante la guerra in Iraq. Da una parte, il presidente americano esclamò apertamente «you’re either with us, or with the terrorists» in occasione della prima riunione del Congresso riunitasi il 20 settembre 2001, mentre altri membri sotto la sua presidenza giustificarono la guerra in Oriente nei termini di una crociata: il bene, la democrazia e il libero mercato contro i regimi maligni che finanziavano i terroristi. Dall’altra, il leader di Al Qaida incoraggiò i musulmani in una registrazione con parole simili a quelle di Bush: «[t]hese events have divided the world into two camps. The camp of the faithful and the camp of the infidels» (Spencer 2012: 67-8).

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stupri, la povertà, gli attentati suicidi: la dimensione delle «persone cattive», considerate come «uova marce» da conquistare121. In Shoot/ Get Treasure/ Repeat viene drammatizzata l’invasione, reale o allegorica, della guerra e della paura quotidiani di una società di consumatori fiera e liberale, la cui tolleranza, però, è pronta a svanire qualora venga messo in pericolo lo ‘stato di sicurezza’122. Ravenhill istituisce questo dualismo già con Women of Troy, il microdramma che introduce la serie.

Come in diversi altri frammenti dove è presente un personaggio corale, in Women of Troy l’alternanza delle battute è contrassegnata con un semplice trattino123. In questo caso, un gruppo

anonimo di donne si rivolge direttamente al pubblico additandolo come un potenziale attentatore, «an absolute and evil Other» (Laera 2009: 4), al quale si contrappone «the world of good people» (ibid.) composto dalle troiane. Inizialmente sbigottite, queste chiedono agli spettatori: «why do you bomb us?» (7) 124. Poi, a turno, giustificano il loro sbalordimento così:

- […] Can I talk about me? I’d like to talk about me. Every morning I wake up, I take my fruit and I put it in the blender and I make smoothies for my family. My good family. My good partner and my good child […].

- Me. Every morning I read the paper. I read about the … There is suffering in the world. There is injustice. Food is short. This morning a soldier was killed. His head blown off. I am moved about that. I care. As any good person would. And yet you –

121Malgrado il manicheismo di tale divisione, percepibile anche nell’opposizione tra nomi propri occidentali

(Peter, Alan, Susan eccetera) ed epiteti xenofobi come «the towelheads» (War and Peace), alcuni episodi inscenano situazioni in cui sia i ‘buoni’ che i ‘cattivi’ appartengono (presumibilmente, dati i loro nomi) all’Occidente. Questo è il caso, ad esempio, di Paradise Lost. Il sonno di Liz, uno dei protagonisti, viene occasionalmente disturbato da delle grida provenienti dal piano di sotto del palazzo in cui vive. Volendo indagare, questa incontra Maria, una donna apparentemente vittima di violenze, ma poco incline a parlare. In seguito si scopre che questo personaggio muto è in realtà una terrorista a cui Gary e Brian fanno visita applicando «extraordinary measures» (175): la torturano brutalmente. Inizialmente sconcertata, Liz non obbedisce al consiglio dei due torturatori di andarsene; ma venendo a sapere la vera identità di Maria, torna a dormire senza troppe remore. Ravenhill sembra quindi ritrarre il terrore come un fenomeno generalizzato che si può manifestare ovunque, per il quale anche il vicino di casa può trasformarsi in un nemico pericoloso. 122 Lo ‘stato di sicurezza’ che nel ciclo viene ripetutamente invocato come un’entità astratta, nella storia

occidentale degli ultimi vent’anni possiede invece connotati ben reali. Come riportato da Elisabeth Massana, infatti, «[i]n the last twenty years, the EU, the US and dozens of other countries have built walls in their borders to prevent the movement of people, the number growing from fifteen to almost seventy […]. To top that, securitisation has become one of the most lucrative businesses in the last few years, as the numbers shown by Amnesty International suggest – between 2007 and 2013, the EU has spent €2bn on fences, surveillance systems and land and sea patrols […]. However, intense securitisation does not prevent neither border crossing, nor violence, and it certainly does nothing to prevent the inequality sustaining the border regime» (Massana 2020: 7).

123Espediente già utilizzato in pool (no water), messa in scena per la prima volta il 22 settembre del 2006 al

Drum Theatre di Plymouth; regia e coreografia di Scott Graham e Steven Hoggett; musica della cantautrice britannica Imogen Heap.

124 La battuta riprende l’esclamazione di un americano in tv: «[w]hy bomb us? We’re the good guys»

(Ravenhill, Guardian, 7.08.07); da qui in avanti, le citazioni da Shoot/ Get Treasure/ Repeat sono indicate con numero di pagina tra parentesi tonde.

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- My husband likes to be out early washing the SUV. […] [I]t’s a good car. We live in a good place. It’s a good community. All of our neighbours are good people. Here, behind the gates, we are good people […] –

- I only eat good food. Ethical food. Because I believe that good choices should be made when you’re shopping. All of my choices are good choices. They really are […] –

- I work for the good of our society. Every day I deal with the homeless and the addicted and the

mad and the lost. […] I try to mend their broken wings. […] Do you see […] [h]ow good we all are. How good freedom and democracy truly is. (7-8)

Malgrado la messa in scena dislocata dei frammenti in diversi luoghi di Londra, la composizione della serie segue un ordine preciso125 che richiama la struttura della tragedia greca (Laera 2009: 4). In Shoot/ Get Treasure/ Repeat, infatti, episodi recitati da un coro sono presenti sia all’inizio (Women of Troy), che alla fine (Birth of a Nation) e, intercalati tra i vari microdrammi, dividono la serie in atti (ibid.). Il coro delle troiane, ad esempio, introduce diversi motivi che compariranno a più riprese nell’arco dell’intera narrazione. Tra questi si trovano temi fondamentali come la guerra, l’amore, la morte, la paura, e immagini allegoriche quali il «soldato senza testa» (Fear and Misery, War and Peace) e l’«angelo dalle ali spezzate» (Women of Troy, War of the Worlds). Il coro iniziale, la cui identità sembra unicamente plasmata attraverso la continua identificazione con i beni materiali acquistati, si presenta come un fanatico rappresentante dell’ideologia neoliberale e dei valori, ripetuti quasi ossessivamente, di «libertà e democrazia». Nel frattempo, però, giunge notizia che una bomba ha fatto saltare in aria un reparto ospedaliero, mettendo in allarme le troiane. Dal momento che «the definition of terrorism will shift depending on the proximity to the violence of the person using the term» (Spencer 2012: 71), Ravenhill descrive come la tolleranza e il progressismo della «gente per bene» si trasformano in rancore e odio nelle situazioni di pericolo (ivi, 72). È in questo momento che bene e male, attraverso il linguaggio, si polarizzano. Infatti, se in un primo momento il coro, convinto della sua bontà, non è in grado di immaginare un mondo diverso dal suo, ora risolve la questione identificando questo nemico sconosciuto e invisibile come qualcosa non solo di diverso, ma di opposto a sé: «[m]aybe we are the good people and you are the evil, wicked, terrible – maybe you are the bad people» (15).

In Shoot/ Get Treasure/ Repeat, guerra e paura sono i fili conduttori che uniscono l’intera serie. Filtrano attraverso le relazioni interpersonali e alterano le attività umane più basilari come il mangiare (Intolerance), il dormire (War and Peace) e i rapporti sessuali (Fear and Misery). A queste forze che regolano sia il corpo che il linguaggio dei personaggi, Margherita Laera aggiunge gli effetti della ‘società dello spettacolo’126. Soprattutto il linguaggio, infatti, produce un effetto alienante tramite la

125Ovvero l’ordine in cui sono state scritte, messe in scena a Edimburgo, e in seguito pubblicate nella collezione

della Methuen (Laera 2009: 4).

126 L’espressione è stata utilizzata da Guy Debord nell’omonimo studio La società dello spettacolo (1967).

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ripetizione continua di immagini, slogan, loghi e false promesse rigurgitati dalla televisione ventiquattro ore su ventiquattro, sia nelle pubblicità, come nei discorsi politici. In questo modo, Ravenhill fonde il linguaggio del mercato e la retorica politica con il duplice scopo di parodiare e sottoporre a giudizio le credenze della «buona gente».

La tecnica linguistica adoperata da Ravenhill non produce soltanto una caricatura dell’ideologia neoliberista. In Shoot/ Get Treasure/ Repeat, la parola possiede un ruolo dominante nel plasmare la realtà del terrore. Come ha sottolineato Spencer, il linguaggio della serie, attraverso le assurde ripetizioni di singole parole, frasi, immagini e di idee per esprimere i «valori fondanti», provoca una trasformazione «that empties them of familiar content and reattaches them to something more slippery, strange, disturbing, and dangerous» (Spencer 2012: 70). Nella resa dicotomica di bene e male, noi e loro, la parola perde dunque la sua funzione di collante tra significato e significante e, secondo Spencer, si trasforma a tutti gli effetti in un’arma (ivi, 72). In War and Peace, ad esempio, l’ambientazione iniziale di una bedtime-story127 si converte in un incubo quando il «soldato senza testa» rivela al bambino: «[t]here’s just this war on terror on and on and on and on […]» (61)128. Lo

stesso sembra avvenire in Crime and Punishment, dove un soldato tiene in ostaggio una donna senza un mandante preciso129: l’interrogatorio, segnato da un crescendo di violenza, culmina con la recisione della lingua della detenuta dopo la sua risposta colma d’odio alla richiesta d’amore del soldato («I hate you I hate you I hate you» (94)). Quest’ultimo, da parte sua, punisce in quel modo la donna poiché, commenta Spencer, «freedom democracy freedom democracy freedom democracy freedom democracy» (ibid.) non gli lasciano altra scelta (ivi, 73). Ancora, in The Mikado, Peter fantastica sul farsi saltare in aria in un autobus pieno di bambini dopo aver scoperto la recidiva di un

«the importance of the image, commodity fetishism, and the cultural hegemony of mass media means that “all that was once directly lived has become mere representation”» (Laera 2009: 4). In uno studio più recente del 2005, invece, alcuni membri della Retort, una comunità di intellettuali uniti nella critica contro il capitalismo, ritiene che la ‘società dello spettacolo’ sia frutto del pieno controllo da parte dello Stato sul campo delle immagini; ‘spettacolo’, a loro avviso, è definibile come «a submission of more and more facets of human sociability [...] to the deadly solicitations [...] of the market», dalla quale scaturisce un meccanismo in grado