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3. La questione sociale nella dinamiche di “divergenza” e

3.1 La divergenza

Anche (e soprattutto) i temi sociali possono essere letti alla luce delle dinamiche di divergenza e convergenza che attraversano i rapporti tra costituzioni nazionali e diritto sovranazionale. Il problema dell’immissione di contenuti sociali all’interno del corpus normativo dell’ordinamento sovranazionale si pose sin dai negoziati per la stipula del Trattato di Roma.                                                                                                                

137 Ovviamente, la letteratura sull’arcipelago di problematiche che si riunisce attorno alla

formula “Europa sociale” è sterminata. In questa sede, comunque, a titolo esemplificativo,

si possono ricordare i seguenti lavori: N.BRUUN,K.LÖRCHER,I.SCHÖMANN,The Lisbon

Treaty and social Europe, Hart Publishing, Oxford, 2012; U. CARABELLI, Europa dei

mercati e conflitto sociale, Cacucci Editore, Bari, 2009; D.CHALMERS,The European

Redistributive State and a European Law of Struggle, in European Law Journal, vol. 18, n.

5, Settembre 2012; S. GIUBBONI,Diritti e solidarietà in Europa. I modelli sociali nazionali

nello spazio giuridico europeo, Il Mulino, Bologna, 2012; F. W. SCHARPF, The European

Social Model: Coping with the Challenges of Diversity, in Journal of Common Market Studies, 2002, 40; D. SCHIEK, Economic and Social Integration. The Challenge for EU

Constitutional Law, Edward Elgar Publishing, Cheltenham-Northampton, 2012; D. SCHIEK,

European Economic and Social Constitutionalism after the Treaty of Lisbon, Cambridge

University Press, Cambridge, 2011; S. SCIARRA, L’Europa e il lavoro. Solidarietà e

conflitto in tempi di crisi, Laterza, Roma-Bari, 2013; A. SOMEK,The Social Question in a

Transnational Context, LEQS paper 39/2011, disponibile su

http://www2.lse.ac.uk/europeanInstitute/LEQS/LEQSPaper39.pdf; W. STREECK,

Competitive Solidarity: Rethinking the “European Social Model”, Max-Planck-Institut für

Gesellschaftsforschung Working Paper 99/8, disponibile su

http://www.mpifg.de/pu/workpap/wp99-8/wp99-8.html.

138 Vedi D. NATALI, Le fondamenta normative del welfare state: lo stato dell’arte e nuove

Infatti, mentre il primo ministro francese, il socialista Guy Mollet, voleva che la nuova Comunità si assumesse il compito di armonizzare le politiche sociali nazionali, considerato come vera e propria precondizione dell’integrazione dei mercati, la visione opposta, riconducibile soprattutto alla Germania, secondo la quale l’armonizzazione sarebbe derivata spontaneamente, nel medio periodo, come conseguenza sicura del processo integrativo, era già stata recepita nel rapporto redatto dalla commissione di esperti dell’OIL presieduta da Bertil Ohlin e poi nel rapporto Spaak. Fu quest’ultima visione a imporsi139. In generale, nell’immediato secondo dopoguerra, era abbastanza diffusa l’idea che la questione sociale dovesse trovare una risposta all’interno degli Stati140. In effetti, le costituzioni democratiche avevano ‹‹rivelato la propria originalità, mettendo in luce una dimensione del giuridico, quella della legittimazione e della mediazione dei conflitti, fino ad allora rimasta prevalentemente in ombra››141. Con l’incorporazione del conflitto e il perseguimento della giustizia sociale, si raggiungeva ‹‹una mutata concezione del diritto grazie a cui gli stati nazionali sembravano riuscire nell’impresa di riconciliare giustizia sociale, democrazia e stato di diritto142››. Sostanzialmente diversa era la strategia                                                                                                                

139 Vedi S. GIUBBONI, Diritti e solidarietà in Europa, cit., 31-32.

140 Cfr. M. DANI, Il diritto pubblico europeo, cit., 113. Tra le ragioni addotte dall’A. a

fondamento di questo orientamento, vi è la facilità con cui, all’interno dei confini nazionali, si possono riscontrare legami di solidarietà e senso di reciprocità, molto utili per l’adozione di politiche redistributive.

141 IVI, 117.

142 IVI, 118. L’A. non omette neanche le criticità, le ombre di questo risultato storico: ‹‹chi

prima e chi dopo, tutti gli stati europei si sarebbero accorti che un regime esclusivamente orientato alle ragioni della giustizia sociale rischia di pregiudicare quelle connesse all’efficienza economica. Di questo si sarebbe divenuti consapevoli non solo nel raffronto e, non di rado, nel conflitto con le politiche che in parallelo venivano elaborate in sede comunitaria, ma anche al momento della valutazione dei risultati non sempre soddisfacenti a cui pervenivano le politiche economiche nazionali. Altre criticità si potevano osservare in merito all’effettiva capacità delle istituzioni democratiche di rappresentare tutti gli interessi esistenti nel corpo sociale. Il costituzionalismo democratico, come si è visto, rivendicava a sé il merito di aver ampliato la base sociale e politica ereditata dal costituzionalismo liberale. Malgrado ciò, le strutture da esso poste in essere potevano prestare il fianco a critiche nella misura in cui permettevano l’instaurazione di “cartelli di produttori” ed una crescita sproporzionata dell’apparato burocratico. Di questo soffrivano in particolare una pluralità di interessi diffusi, senza che le costituzioni democratiche riuscissero a mantenere anche rispetto ad essi la loro promessa di inclusione e partecipazione. L’insufficiente tutela della concorrenza si traduceva spesso nella compressione della libertà di scelta dei consumatori. La mancanza di una regolamentazione adeguata e, talvolta, l’inerzia delle classi imprenditoriali e delle rappresentanze sindacali consentivano uno sviluppo dell’apparato industriale troppo spesso insensibile alle ragioni dell’ambiente e della salute pubblica. L’espansione del welfare state e, in taluni casi, la scarsa responsabilità fiscale dei governi portava l’indebitamento degli stati a livelli che inevitabilmente avrebbero finito per

distributiva della Comunità economica europea e del mercato comune, con cui, almeno fino all’Atto Unico Europeo, l’ordinamento comunitario sostanzialmente si immedesimava143. Le istituzioni sovranazionali dovevano impegnarsi sul fronte della costruzione di un mercato all’insegna dell’efficienza allocativa, cosa che richiedeva essenzialmente risposte a dei problemi tecnici, mentre dovevano rimanere impregiudicate le politiche economiche e sociali degli stati membri: ‹‹ne sarebbe risultato un ordinamento dalla configurazione asimmetrica, dove allo sviluppo delle politiche per la promozione della concorrenza non sarebbe corrisposto un analogo impegno sul fronte sociale››144. Tuttavia, la scelta di non connotare in senso sociale il diritto sovranazionale non deve essere intesa come una rozza dimenticanza, o come una scarsa sensibilità dei padri del progetto europeo: sarebbe un fraintendimento145. L’ordinamento sovranazionale non inglobava nel suo raggio d’azione e di competenza le politiche sociali in virtù del presupposto che queste appartenevano (e dovevano appartenere) alla sfera di sovranità degli Stati membri e ai processi politici democratici nazionali. Del resto, tutti gli Stati membri fondatori della Comunità europea erano muniti delle caratteristiche dello stato sociale, e, pertanto, garantivano una certa attenzione sul piano dei temi sociali146. Del resto, la cosiddetta                                                                                                                                                                                                                                                                                           pregiudicare le prospettive di sviluppo e benessere delle generazioni future. Infine, le politiche industriali e la legislazione economica e sociale andavano frequentemente ad ostacolare l’accesso di attori economici stranieri ai mercati nazionali. Quelle indicate sono questioni trascurate o, più probabilmente, ritenute di secondaria importanza dagli autori delle costituzioni nazionali. Ad essi premeva anzitutto perseguire un’idea di giustizia sociale che si sviluppava verticalmente in direzione della redistribuzione e della mobilità sociale. Con il passare del tempo, però, l’importanza di queste altre questioni sarebbe cresciuta esponenzialmente, innescando la discussione sulla cultura del mercato, la tenuta

del welfare state e le prospettive del costituzionalismo democratico›› (IVI, 118-119).

143 Vedi IVI, 119.

144 Vedi IVI, 120. Com’è noto, ha parlato di “frigidità sociale” dei padri fondatori del

progetto europeo G. F. Mancini. Vedi G. F. MANCINI, Principi fondamentali di diritto del

lavoro nell’ordinamento della comunità europea, in AA.VV., Il lavoro nell’ordinamento comunitario e l’ordinamento italiano, Atti del Convegno di Parma, 30-31 ottobre 1985,

,Cedam, Padova, 1988, 26.

145 Come ricorda Giubboni, le questioni sociali furono ben presenti nei negoziati che

precedettero la stesura e la ratifica dei Trattati istitutivi della CECA e della CEE (vedi S. GIUBBONI, Diritti e solidarietà in Europa, cit., 36).

146 ‹‹In quest’ottica, potrebbe ben dirsi che nell’originario assetto dei Trattati le competenze

comunitarie sono limitate alla costruzione del mercato comune e non si estendono alla sfera delle politiche sociali, se non eccezionalmente e nella misura in cui un intervento in questo campo appaia necessario per la realizzazione degli obiettivi d’integrazione economica,

proprio perché gli Stati membri riservano a se stessi quest’area di azione così vitale

all’interno dei processi politici nazionali. Tutti gli Stati membri fondatori della Comunità europea accolgono, infatti, nei loro ordinamenti, il modello dello Stato sociale; ed in

“età dell’oro” del welfare state nell’Europa occidentale dimostra che la fiducia nella capacità degli Stati membri di realizzare il progetto di redistribuzione inscritto all’interno dei rispettivi patti costituzionali era stata ben riposta147. Pertanto, in origine vi era una perfetta “divisione del lavoro”, che si potrebbe descrivere con lo slogan: al comunitario l’economico, al nazionale il sociale148. È stato autorevolmente affermato che l’assetto “binario” appena delineato trova un modello teorico di riferimento nella scuola ordoliberale tedesca149. La Comunità aveva una legittimazione                                                                                                                                                                                                                                                                                           particolare l’Italia – differenziandosi in ciò dalla scelta che sarebbe rimasta prevalente anche in seguito nell’Europa comunitaria – accoglie nella propria Carta fondamentale un modello specificamente connotato da un’estesa e dettagliata previsione di diritti sociali, ai quali – in modo compiuto dalla metà degli anni Sessanta – la stessa Corte costituzionale riconobbe natura e rilievo di diritti in senso proprio fondamentali al pari di quelli civili e

politici›› (IVI, 36-37).

147 Come ricorda Luciani, «i primi trent’anni del dopoguerra, i Trenta Gloriosi di cui

parlava nel 1979 Jean Fourastié, sono quelli in cui l’Italia, assieme agli altri Paesi dell’Europa occidentale, ha raggiunto obiettivi impensabili: incremento del potere di acquisto dei salari; miglioramento delle condizioni di vita; riduzione delle diseguaglianze sociali e della disoccupazione; ampliamento della base produttiva. Certo, non ogni problema, allora, era stato risolto, né sfuggivano alle analisi più attente i primi segnali della crisi economica e culturale che avrebbe percorso la fine del secolo: la scarsità (relativa) a livello mondiale delle materie prime (e in particolare dell’energia meccanica); i folli abusi del credito e i giochi della finanza; lo sviluppo economico di un numero non trascurabile di paesi del terzo mondo”. “Ciononostante, in verità, quei trent’anni sono gloriosi. Hanno risolto problemi tragici e millenari – sebbene siano ben lontani dall’aver risolto tutti i problemi tragici e millenari dell’umanità; sebbene ne abbiano addirittura fatti sorgere di nuovi, che non si ponevano in un mondo in cui gli uomini erano poveri e impotenti”» (M. LUCIANI, L’equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di

costituzionalità, Relazione al Convegno “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la

riforma costituzionale del 2012”, Corte costituzionale, 22 novembre 2013, disponibile su www.cortecostituzionale.it, 10-11).

148 Sembra molto calzante l’espressione di Scharpf: ‹‹political decoupling of economic

integration and social-protection issues›› (vedi F. W. SCHARPF, The European Social

Model, cit.,, 646). Pare abbastanza condivisa l’idea che non vi fosse una contrapposizione

originaria tra il mercato interno e le politiche sociali nazionali, ma piuttosto una rapporto di

collaborazione e complementarità. In questo senso, vedi anche D. NATALI, Le fondamenta

normative del welfare state, cit., 89-90: «negli anni Cinquanta, quando il processo

d’integrazione europea fu lanciato, l’obiettivo del mercato interno non fu definito in contrapposizione rispetto alle politiche sociali nazionali. Al contrario, i padri fondatori delle Comunità europee avevano pensato ad una fruttuosa collaborazione tra l’apertura e l’integrazione progressiva dell’economia, e lo spazio chiuso della solidarietà nazionale. Il patto tra dimensione economica e sociale era ben rappresentato dalle parole di Gilpin […]: “Keynes at home, Smith abroad». L’integrazione europea aveva il principale obiettivo di favorire la crescita economica dei paesi membri, attraverso la piena realizzazione delle quattro libertà fondamentali (libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali) e il compimento del mercato interno. La crescita economica così favorita avrebbe garantito un “dividendo” da distribuire attraverso le politiche sociali ben ancorate a livello nazionale. Questa interazione virtuosa ha in effetti prodotto i suoi risultati fino agli anni Settanta del secolo scorso (in concomitanza dell’età dell’oro del welfare keynesiano)».

149 Lo ricorda anche C. JOERGES, Sozialstaatlichkeit in Europe? A Conflict-of-Laws

Approach to the law of the EU and the Proceduralisation of Constitutionalisation, in German Law Journal, 2009, 10 (4), 340: «The ordo-liberal school reconstructed the legal essence of the European project as an “economic constitution”, which was not in need of

indipendente da quella delle istituzioni democratiche degli Stati costituzionali e tale legittimazione era fondata sulla garanzia delle libertà economiche e sulla protezione della concorrenza da parte delle istituzioni sovranazionali. L’Europa appariva come sistema duale, con una costituzione economica apolitica, e con una politica sociale devoluta al dominio dei legislatori nazionali150. Una manifestazione concreta della struttura dei rapporti tra ordinamento sovranazionale e diritto nazionale è rappresentata dalla normativa comunitaria di coordinamento dei regimi legali nazionali di sicurezza sociale (il primo atto normativo è il regolamento n. 3/1958): il coordinamento, infatti, ‹‹consentiva di preservare pressoché intatto il monopolio regolativo statale in un settore strategico di rilegittimazione materiale dello Stato nazionale, quale quello coperto dal diritto della sicurezza sociale, garantendo, allo stesso tempo, l’apertura dei sistemi nazionali alle istanze provenienti dal processo di integrazione economica››151.

                                                                                                                                                                                                                                                                                         

democratic legitimacy. […] The ordo-liberal European polity consists of a twofold structure: at the supranational level, it is committed to economic rationales and a system of undistorted competition, while, at national level, re-distributive (social) policies may be pursued and developed further».

150 ‹‹L’idea – che poteva in effetti dirsi largamente accolta nei Trattati – era quella di un

sistema strutturato su due distinti canali: a livello sopranazionale, la giuridificazione necessariamente uniforme e assistita dalla forza vincolante della higher law comunitaria dei dettami della razionalità economica attorno ai principi della libertà di circolazione dei fattori produttivi e della concorrenza non distorta; a livello nazionale, il radicamento – libero negli svolgimenti e negli sviluppi democraticamente decisi dai corpi elettorali degli Stati membri – delle politiche sociali redistributive, inevitabilmente diverse in quanto rivolte a soddisfare preferenze, tradizioni, costellazioni di interessi tanto diverse quanto

sono diversi i “mondi” del welfare state in Europa›› (vedi S. GIUBBONI, Diritti e solidarietà

in Europa, cit., 39). Vedi anche C. JOERGES, Sozialstaatlichkeit in Europe?, cit., 340: «The

freedoms guaranteed in the EEC Treaty, the opening up of national economies and anti- discrimination rules, and the commitment to a system of undistorted competition were interpreted as a quasi-Schmittian “decision” that supported an economic constitution, and which also conformed with the ordo-liberal conceptions of the framework conditions for a market economic system. The fact that Europe had started out on its integrationist path as a mere economic community lent plausibility to ordoliberal arguments – and even required them: in the ordo-liberal account, the Community acquired a legitimacy of its own by interpreting its pertinent provisions as prescribing a competition at the supranational level. This legitimacy was independent of the State’s democratic constitutional institutions. By the same token, it imposed limits upon the Community: thus, discretionary economic policies seemed illegitimate and unlawful».

151 S. GIUBBONI, Diritti e solidarietà in Europa, cit., 40. Continua l’A.: ‹‹la Comunità era

sostanzialmente priva di competenze significative in materia di politica sociale, e negli angusti limiti in cui il TCEE le conferiva poteri d’azione (artt. 117 ss.), questi rispondevano indubbiamente ad una concezione della stessa quale “mera compensazione degli effetti socialmente indesiderabili dell’integrazione economica”. Ma quest’assenza di competenze, ovvero la loro chiara curvatura mercantile, non tradiva un’assenza di preoccupazioni sociali nei “padri fondatori” della CEE; al contrario, essa era funzionale alla salvaguardia della