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Misure di austerità, diritti sociali e la (necessaria) giurisdizionalizzazione della crisi economica in Europa

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INDICE

Cap. I Oggetto, impostazione e struttura del lavoro 1. Crisi dell’autorità del diritto in Europa e “cultura

della giustificazione”: alcune premesse concettuali 4

2. Un equivoco da eliminare: la “de-giuridicizzazione” della governance economico-finanziaria 11

3. Il coinvolgimento delle corti nella crisi 17

3.1 Il caso Pringle (CGUE C-370/12) non dà sufficienti ragioni per sostenere la marginalizzazione della Corte di Giustizia 20

3.2 La sentenza del Tribunale costituzionale federale tedesco del 12 settembre 2012 sull’ESM e sul Fiscal Compact 22

3.3 La decisione della Corte suprema estone sull’ESM 24

3.4 La sentenza n. 187/2013 del Tribunale costituzionale portoghese 26

3.5 Il rinvio pregiudiziale del Tribunale costituzionale federale tedesco sul programma OMT 27

4. Il metodo intergovernativo come possibile causa del coinvolgimento dei giudici nella crisi? 27

5. Struttura del lavoro 29

6. Delimitazione dell’insieme delle decisioni analizzate 32

Cap. II La prospettiva dei conflitti d’autorità 1. Premessa 41

2. Progettualità comune originaria e conflitti d’autorità 41

3. La questione sociale nella dinamiche di “divergenza” e “convergenza” 45

3.1 La divergenza 45

3.2 La (parziale) convergenza 50

3.2.1 Convergenza del diritto sovranazionale verso il costituzionalismo sociale 50

3.2.2 Convergenza degli ordinamenti nazionali verso i principi economici europei 59

4. Un deficit sociale europeo, nonostante la convergenza reciproca? 63

4.1 Alcuni ambiti del deficit (o squilibrio) in campo sociale: il peso della giurisprudenza della Corte di Giustizia e della direttiva sul distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi 65

4.1.1 La direttiva 96/71/CE 67

4.1.2 La giurisprudenza della Corte di Giustizia sul conflitto tra diritti sociali e libertà economiche 68

5. Sintesi 80

Cap. III L’ “intreccio” della governance economico-finanziaria 1. La commistione dei livelli di governo nella governance economico-finanziaria 82

2. L’equilibrio dei bilanci 83

3. I disavanzi eccessivi 87

4. La correzione di squilibri macroeconomici 91 5. I pilastri della governance economico-finanziaria europea

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Il Fiscal Compact e il Trattato ESM 93

6. “Aree di indeterminazione” nella governance economica e finanziaria: la discrezionalità/politicità degli strumenti di governance e l’incertezza dei confini tra livello nazionale e livello sovranazionale di governo 99

7. Il carattere controverso della legittimazione democratica e le “ricadute” sulla legittimazione delle corti ad occuparsi di questioni economico-finanziarie 101

8. Sintesi 104

Cap. IV I rapporti tra diritto “interno” e diritto “esterno” nella giurisprudenza della crisi 1. Premessa 106

2. Conflitti d’autorità e rinvio pregiudiziale. Il rinvio pregiudiziale del Tribunale costituzionale federale tedesco sul caso OMT 107

3. I rapporti tra diritto “interno” e diritto “esterno” nella giurisprudenza portoghese e italiana 116

3.1 La giurisprudenza portoghese 116

3.1.1 Premessa 116

3.1.2 Tentativi di confronto con la Corte di Giustizia da parte di giudici portoghesi 119

3.1.3 La giurisprudenza del Tribunale costituzionale 120

3.2 La giurisprudenza italiana 126

3.2.1 Premessa 126

3.2.2 La sentenza n. 10/2015 130

3.2.3 Il caso del precariato scolastico (ordinanza n. 207/2013 della Corte costituzionale e sentenza “Mascolo” della Corte di Giustizia del 26 novembre 2014) 131

4. Conclusioni 141

5. Sintesi 143

Cap. V I “deficit” del giudice in relazione ai diritti sociali ed il controllo di proporzionalità 1. Premessa 145

2. Una possibile versione di judicial restraint in relazione ai diritti sociali 150

2.1 Gli argomenti avversi alla “giurisdizionalizzazione dei diritti sociali” 150

2.2 La trasformazione degli argomenti in principi di judicial restraint 153

2.3 Conseguenze della vaghezza delle formule costituzionali sullo scrutinio giudiziale 154

3. Diritti sociali e proporzionalità 157

3.1 Debolezza e forza della proporzionalità 160

3.2 “Malleabilità” del controllo di proporzionalità 162

4. La proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale portoghese e Italiana 164

5. Sintesi 173 Cap. VI Manifestazioni del controllo di proporzionalità

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nella giurisprudenza della crisi italiana e portoghese

1. Premessa 175

2. Equa ripartizione dei sacrifici e proporzionalità 178

3. Controllo di proporzionalità e onere di giustificazione 193

3.1 Due decisioni a confronto 193

3.1.1 Sentenza n. 575 del 2014 del Tribunale costituzionale portoghese 193

3.1.2 Sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale italiana 198

3.2 L’onere di giustificazione che incombe sul legislatore 208

3.3 Alcune precisazioni sulla motivazione/giustificazione della legge 214

4. Sintesi e considerazioni finali 215

Cap. VII Le corti, la crisi e il fattore temporale. La modulazione degli effetti nel tempo delle decisioni di incostituzionalità 1. Aspetti temporali delle decisioni di incostituzionalità 220

2. Le corti nella “tela del ragno”: la modulazione temporale degli effetti delle decisioni come tecnica per “gestire” la policentricità delle questioni 225

3. La sentenza n. 353/2012 del Tribunale costituzionale portoghese 229

4. La sentenza n. 10/2015 della Corte costituzionale italiana 236

5. La sentenza n. 413/2014 del Tribunale costituzionale portoghese 246

6. La sentenza n. 178/2015 della Corte costituzionale italiana 247

7. Sintesi e considerazioni conclusive 252

Cap. VIII Conclusioni 1. Rapporti tra diritto “interno” e diritto “esterno”: tentativi di difesa delle Costituzioni e (possibile) legittimazione delle politiche di austerità 258

2. Il rischio di perdere la natura giurisdizionale 264

3. Il controllo di proporzionalità e il rischio di interferire con la sfera del legislatore 265

4. La modulazione degli effetti nel tempo delle decisioni e il rischio di “disporre” della Costituzione 269

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CAPITOLO I

OGGETTO, IMPOSTAZIONE E STRUTTURA DEL LAVORO

1. Crisi dell’autorità del diritto in Europa e “cultura della giustificazione”: alcune premesse concettuali

Il presente lavoro ha come oggetto di indagine il ruolo svolto dai giudici nell’ambito della crisi economico-finanziaria che si è abbattuta sull’Europa, con particolare riguardo alle decisioni concernenti i diritti sociali1.

Una considerazione di fondo innerva tutto il lavoro e, pertanto, è onesto palesarla sin da subito: l’attuale momento che sta attraversando il diritto europeo, in generale, e quella parte del diritto europeo che disciplina la c.d. “governance economico-finanziaria”, in particolare, richiede un’espansione del ruolo dei giudici. L’ “autorità del diritto” in Europa vive una situazione di crisi. Con questa espressione si intende fare riferimento al fatto che la linea di demarcazione tra diritto nazionale e diritto sovranazionale, spesso, è tutt’altro che chiara. Tale status quo può creare disorientamento, mancanza di punti di riferimento, anche confusione, dal momento che non è sempre certo quali siano i soggetti che detengono l’autorità per prendere decisioni2. L’assenza di chiarezza e di certezze nelle varie attribuzioni d’autorità, che devono necessariamente essere fissate, deriva, da un lato, dal fatto che le sfere di competenza nazionale e sovranazionale si toccano, si lambiscono sempre più spesso e, talvolta, si sovrappongono, dall’altro, dal fatto che i processi decisionali vedono ormai il concorso di una molteplicità di attori tale per cui è molto difficile poter dire a chi si debba imputare una certa                                                                                                                

1 L’indagine si estenderà, talora, pure ad altre decisioni non strettamente incentrate sui

diritti sociali: si pensi alla sent. 10/2015 della Corte costituzionale italiana, sulla c.d. “robin

tax” (evidentemente, però, il tema dell’imposizione fiscale presenta connessioni strette con

quello dei diritti sociali e della distribuzione della ricchezza). Il lavoro non si occupa, invece, della giurisprudenza relativa all’incidenza della crisi sulle autonomie territoriali.

Per uno studio esteso anche a questo aspetto, vedi, per esempio, C. FASONE, Constitutional

Courts Facing the Euro Crisis. Italy, Portugal and Spain in a Comparative Perspective,

EUI Working Paper, MWP 2014/25, 30-40.

2 Per Ruggeri, «forse, il modo più adeguato a racchiudere in una formula sintetica la

situazione odierna è quello di ragionare di una “sovranità condivisa” tra Stati ed organizzazioni sovranazionali (in ispecie, l’Unione), dalle movenze non lineari e

caratterizzata da punti di equilibrio interno continuamente oscillanti» (A. RUGGERI, Crisi

economica e crisi della Costituzione, Relazione conclusiva per l’Italia delle V Giornate

italo-ispano-brasiliane di diritto costituzionale su La Costituzione alla prova della crisi

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decisione. Proprio questo contesto difficile, intricato e complesso rappresenta un terreno “bisognoso” dell’apporto della componente giurisdizionale nei processi decisionali, per le ragioni che si cercherà di individuare.

È stato sostenuto che il diritto costituzionale, a livello globale, starebbe compiendo un passaggio epocale da una “cultura dell’autorità” ad una “cultura della giustificazione”3. Queste due espressioni hanno un significato ben preciso, nella riflessione degli autori che le impiegano: la “cultura dell’autorità” rinviene la legittimità dell’esercizio del potere da parte degli organi di governo (“governo” si intende in senso lato) principalmente nel fatto che questi sono investiti di autorità per esercitarlo. Pertanto, il diritto pubblico dovrebbe mirare essenzialmente a tracciare i confini che delimitano le diverse sfere di autorità, garantendo che le decisioni siano prese proprio dai soggetti autorizzati a farlo4. Nella “cultura della giustificazione”5, la legittimità dell’esercizio del potere non si risolve principalmente nel rispetto delle sfere di autorità. Quest’ultimo è certamente rilevante, ma è solo un punto di partenza per una verifica costituzionale della legittimità, la quale trova il suo baricentro nella ragionevolezza e nella persuasività6. Gli atti di esercizio del potere hanno bisogno, per l’appunto,                                                                                                                

3 M. COHEN-ELIYA – I. PORAT, Proportionality and the Culture of Justification, in The

American Journal of Comparative Law, vol. 59/2011, 463-490.

4 «A culture of authority is based on the authority of government to exercise power. The

legitimacy and legality of governmental action is derived from the fact that the actor is authorized to act. Public law, according to this conception, focuses on delimiting the borders of public action and on ensuring that decisions are made by those authorized to make them» (IVI, 475).

5 “Cultura della giustificazione” è l’espressione utilizzata dagli autori appena citati. Essa

può estendersi a molte manifestazioni del diritto costituzionale, e non solo. Tra queste, rientrano senz’altro i canoni di ragionevolezza e proporzionalità. Come ricorda Morrone, la ragionevolezza, evidentemente, non interessa soltanto il diritto costituzionale. Nel diritto amministrativo essa «si traduce nel “principio di proporzionalità” dell’azione amministrativa», e nel diritto penale «rappresenta il metro per dare sostanza al “principio di determinatezza” della norma penale o per valutare il disvalore intrinseco alla norma penale

come impone il «principio di offensività» (A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza,

Giuffrè, Milano, 2001, 2).

6 Nello spiegare la causa esplicativa dell’emersione della ragionevolezza, Modugno

afferma: «la “ragione” della “ragionevolezza” va rinvenuta anzitutto nella forma di Stato

costituzionale contemporaneo» (F. MODUGNO, La ragionevolezza nella giustizia

costituzionale, Editoriale scientifica, Napoli, 2007, 9), e nella sua componenete valoriale.

Infatti, per attuare i valori costituzionali, contraddistinti da inndeterminatezza e pluralità, è necessario un superamento delle logiche deduttive tipiche del modello giuspositivistico. Il giudizio sulle leggi è volto «a ricercare il fondamento giustificativo della disciplina normativa, per controllarne la corrispondenza non già solo ad un esterno parametro (la

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di argomenti per essere “giustificati”7. Tra “autorità” e “giustificazione” non c’è una netta separazione. Negli ordinamenti esistenti, “autorità” e “giustificazione” sono sempre compresenti e collegati tra di loro in vari modi. Si possono, però, riscontrare delle differenze per quanto riguarda la “misura” in cui questi due “ingredienti” sono presenti; è possibile ravvisare, in effetti, un equilibrio, oppure una prevalenza di uno sull’altro, tale per cui si può concludere che in un dato ordinamento la cultura dell’autorità è maggiormente presente della cultura della giustificazione, o viceversa. Del resto, quando si deve “giustificare” una decisione, l’individuazione del soggetto autorizzato a prenderla non può certo essere irrilevante8. Però, in una cultura dell’autorità la giustificazione delle decisioni è prevalentemente concentrata sulla verifica del rispetto della sfera d’autorità, mentre è lasciato poco spazio per una giustificazione “sostanziale” della decisione. Invece, in una cultura della giustificazione, l’individuazione del soggetto autorizzato a prendere la decisione è soltanto il punto di inizio della “giustificazione” della decisione, in quanto occorre anche che essa venga giustificata dal punto di vista della sua ragionevolezza9. Il presupposto che permette alla cultura dell’autorità di prosperare è che nell’ordinamento sia ben chiaro – o, comunque, che vi siano meccanismi atti a rendere ben chiaro – quali siano le sfere di autorità, e quali siano i confini che le separano. È essenziale che si possa stabilire con ragionevole certezza chi siano i soggetti legittimati a prendere certe decisioni. Se questo presupposto viene meno, ricorrere alla                                                                                                                                                                                                                                                                                           disposizione costituzionale), ma ad una interna istanza di plausibilità o persuasività, ossia

di ragionevolezza, che consenta l’attuazione dei su detti valori» (IVI, 10).

7 «In a culture of justification, on the other hand, the question of authority serves only as a

starting point for the constitutional analysis, and the existence of authorization to act is a necessary but not a sufficient condition for legitimacy and legality. Rather, the crucial component in the legitimacy and legality of governmental action is that it is justified in terms of its “cogency” and its capacity for “persuasion”, that is, in terms of its rationality and reasonableness» (M. COHEN-ELIYA – I. PORAT, Proportionality and the Culture of

Justification cit., 475).

8 «We emphasize from the outset that there is no clear dichotomy between justification and

authority, and that these two concepts are interrelated: when we justify a decision, we often justify it not only in terms of its substantive reasons but also in terms of why we, rather than someone else, are authorized to make it. Justification is therefore not analytically separated from authority» (ibidem).

9 «However, in a culture of authority we provide justifications mainly at the stage of

assigning authority, and once authority is assigned, the authorized body needs little substantive justification for its specific decisions. In a culture of justification, by contrast, even after authority has been assigned, the authorized body needs to provide sufficient substantive reasons for any of its decisions». (IVI, 475-476).

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“cultura della giustificazione” diviene, più che una opzione, una vera e propria necessità. Infatti, se entra in crisi l’autorità del diritto, e sfumano i confini che delimitano i campi di azione dei vari soggetti istituzionali, allora il riferimento all’autorità del soggetto decidente sarà particolarmente insufficiente per giustificare e legittimare le decisioni. La giustificazione dovrà far leva, necessariamente, su altri punti di appoggio: evidentemente, sulla ragionevolezza della decisione stessa (quindi, principalmente del suo contenuto)10. Questo lavoro, volto ad indagare il ruolo dei giudici europei nell’attuale crisi economico-finanziaria, si fonda sulla considerazione secondo la quale l’attuale momento del diritto pubblico europeo vede una crisi dell’autorità del diritto, e che sposare una cultura della giustificazione diventa semplicemente necessario, al di là di diversi punti di vista ideologici o concezioni costituzionalistiche. La crisi dell’autorità del diritto in Europa deriva essenzialmente dal fatto che tra le istanze normative espresse rispettivamente dall’ordinamento dell’Unione e dall’ordinamento degli Stati membri sorgono spesso conflitti, alcuni dei quali minacciano di essere particolarmente laceranti e disgreganti 11 . Tale conflittualità è particolarmente frequente a partire da una certa fase dell’evoluzione del diritto europeo e dei rapporti tra il diritto dell’Unione e i diritti nazionali. Come è stato sostenuto, all’interno di tale evoluzione sembra che si possano individuare due grandi fasi: la “divergenza” e la “convergenza”12. Nella prima fase, il diritto sovranazionale e il diritto nazionale corrono per lo più su binari separati, perseguendo finalità diverse, nell’ambito di campi operativi distinti. Si potrebbe dire che “non si calpestano i piedi”. Pertanto, la prima fase pare una fase di equilibrio, fondato in gran parte sulla                                                                                                                

10 Si condivide l’impostazione secondo la quale il problema che pone la categoria della

legittimità (intesa, stavolta, come non sovrapponibile alla “legalità”) è «il problema della giustificazione del potere […] il potere è legittimo se è conforme ad una qualche istanza di giustizia, e rilevanti a tale scopo appaiono i fini cui lo stesso mira ed i mezzi di cui intende avvalersi. È allora chiaro che il discorso non può che investire i valori che sorreggono ed

animano l’azione delle istituzioni pubbliche» (L. D’ANDREA, Ragionevolezza e

legittimazione del sistema, Giuffrè, Milano, 2005, 317, 318). L’A. appena richiamato

individua così la distinzione tra “legittimità” (intesa in questo senso) e “legittimazione”: «la prima si riferisce ad una condizione del potere e delle sue manifestazioni (e dunque si apprezza in una prospettiva statica), la seconda descrive un processo, un’attività, e perciò si

colloca in una prospettiva dinamica» (IVI, 318).

11 Sul problema dell’autorità del diritto in Europa si concentra l’opera di M. DANI, Il diritto

pubblico europeo nella prospettiva dei conflitti, Cedam, Padova, 2013, in particolare il

capitolo finale.

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separazione materiale delle competenze13. Nella seconda fase, invece, l’equilibrio delle origini si rompe, a causa soprattutto dell’ampliamento progressivo delle competenze della Comunità europea (ora Unione europea), che determina un incremento della “sovrapposizione” tra le competenze sovranazionali e quelle nazionali, e, conseguentemente, un incremento delle occasioni di conflitto con gli ordinamenti costituzionali degli Stati membri14. Dunque, “crisi dell’autorità del diritto in Europa” significa soprattutto che l’operazione con cui viene stabilito quale delle due componenti basilari del diritto europeo (nazionale e sovranazionale) debba “avere voce in capitolo” in un determinato ambito non è affatto pacifica, ma “conflittuale”. L’autorità del diritto in Europa è per lo più oggetto di contesa, di un continuo avvicendamento di rivendicazioni di autorità da parte di ciascuna delle due componenti. Tale fenomeno, evidentemente, produce instabilità e incertezza, ma non è soltanto un fenomeno negativo. Come è stato sostenuto, infatti, i conflitti costituzionali possono avere un ruolo “sistemico”, “positivo”, “fisiologico”15. Nel prosieguo del presente                                                                                                                

13 Tale equilibrio, per Dani, è garantito principalmente da due strumenti. Il primo consiste

in una serie di “soluzioni isituzionali”: si tratta «dei metodi decisionali consensuali utilizzati nella sfera comunitaria, del voto all’unanimità e della proliferazione di comitati, tutte garanzie procedurali che, in virtù dei circuiti di responsabilità politica interni a ciascun ordinamento costituzionale, potevano evitare che il principio del primato del diritto comunitario sul diritto interno si risolvesse in un contrasto insanabile tra le strategie di integrazione comunitaria e gli aspetti più salienti della vita democratica nazionale. Allo stesso risultato hanno contribuito anche le regole informali che presto hanno integrato il metodo comunitario, anche queste chiamate a smussare e ad ammortizzare l’impatto dei

processi politici comunitari su quelli nazionali» (vedi IVI, 148). L’altra garanzia

dell’equilibrio originario consiste nella «separazione materiale tra gli ambiti di competenza comunitaria e quelli di competenza statale […] almeno negli intenti, si è stabilita una netta distinzione tra gli ambiti di pertinenza delle costituzioni democratiche e quelli propri del mercato comune. Di questa intenzione recano traccia evidente le stesse pronunce con cui viene affermato il principio del primato del diritto comunitario sul diritto interno: perché questo sia sostenibile, è indispensabile distinguere i rispettivi ambiti di incidenza, in modo da minimizzare le occasioni di conflitto. L’instaurazione del mercato comune e dello stato sociale devono perciò procedere su binari distinti. Nell’immaginario e, in qualche misura, anche nella pratica applicativa, quest’idea di separazione ha garantito al diritto pubblico

europeo un’evoluzione sostanzialmente tranquilla» (vedi IVI, 148-149).

14 Vedi IVI, 149.

15 Vedi G. MARTINICO, Lo spirito polemico del diritto europeo. Studio sulle ambizioni

costituzionali dell’Unione, Aracne, Roma, 2011, soprattutto 217-227. Utilizzando la chiave

di lettura del “pluralismo agonistico” di Mouffe, l’A. rivaluta «tutti quei meccanismi che tradizionalmente sono stati definiti come puramente oppositivi alle ragioni dell’integrazione, come la dottrina Solange o quella dei controlimiti, che al contrario, come in Italia ha magistralmente sottolineato Panunzio, hanno in qualche modo indotto la Corte di Giustizia a cambiare le proprie posizioni iniziali, dando un contributo importante alla definitiva interiorizzazione del rispetto dei diritti fondamentali fra i principi generali del

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lavoro, si cercherà di dare conto della crisi dell’autorità del diritto in Europa, concentrando l’attenzione soprattutto su due aspetti. Il primo consiste nella delineazione dei conflitti d’autorità con particolare riguardo all’ “Europa sociale”, che costituisce un ambito di grande rilievo ai fini della ricerca. Il secondo consiste nel continuo avvicendamento e nella frequente sovrapposizione tra livelli di governo nell’ambito della

governance economico-finanziaria. Si può già anticipare che, mentre il focus sul primo aspetto mette in luce una situazione in cui le due

componenti del diritto europeo sono indotte a contendersi l’autorità, il focus sul secondo restituisce un’immagine un po’ diversa, in cui si dà quasi per scontato che i due livelli di governo devono, in un certo modo, lavorare insieme, svolgere operazioni e prestazioni, ciascuno sulla base di quelle svolte dall’altro (con una certa preminenza, però, del livello di governo sovranazionale). I due aspetti, però, sono collegabili tra di loro, ai fini di quanto si vuole sostenere in questo lavoro: infatti, da entrambi si ricava una conferma della crisi dell’autorità del diritto. Per quanto riguarda il primo aspetto, la conferma si ha per le ragioni che già sono state esposte16. Per quanto riguarda il secondo aspetto, si ha una conferma perché il fatto stesso che i due livelli di governo debbano continuamente intrecciarsi e interfacciarsi tra di loro rende poco chiara e certa l’attribuzione di certe decisioni ad un livello piuttosto che ad un altro: l’autorità di ciascun livello di governo (con riferimento ad una singola decisione) appare parcellizzata e segmentata17.

Come si diceva poc’anzi, se l’autorità del diritto è in crisi, allora la diffusione di una “cultura della giustificazione” diventa una necessità, per garantire la legittimità delle decisioni. Sposare una cultura della giustificazione comporta, evidentemente, vedere con favore l’espansione del ruolo dei giudici. Sono i giudici, infatti, i soggetti che stabiliscono se una                                                                                                                                                                                                                                                                                           diritto dell’UE, e che hanno anche portato ad una svolta nel rapporto fra rispetto delle identità costituzionali (comuni e non) e primato del diritto europeo» (ivi, 218).

16 Appare un’autorità che costituisce oggetto di contesa e di conflitto, e non un dato

pacifico.

17 Come afferma Ruggeri, la sovranità appare «parcellizzata e distribuita, in forme e misure

continuamente cangianti e secondo equlibri parimenti instabili, tra molteplici sedi

istituzionali, taluna delle quali dalla problematica qualificazione» (A. RUGGERI, Crisi

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determinata decisione, presa da un soggetto istituzionale, sia legittima o meno (quindi “giustificata”). E, aderendo alla cultura della giustificazione, i giudici possono permettersi di svolgere un controllo sulle decisioni alquanto penetrante, che non si accontenta di verificare che la decisione sia stata presa dal soggetto istituzionalmente deputato, ma che è volto a vagliarne la ragionevolezza, su un piano sostanziale e contenutistico. Non si può sottacere che l’espansione del ruolo dei giudici possa rivelare aspetti negativi, a volte preoccupanti18. Come si vedrà nel prosieguo di questo lavoro, l’attività giudiziale ha suscitato notevoli perplessità, in modo peculiare quando essa ha dovuto confrontarsi con tematiche sociali19. Di queste criticità si deve avere sempre più consapevolezza e si deve sempre cercare di scongiurare gli abusi del potere giudiziale. Tuttavia, queste considerazioni non minano la validità dell’analisi di fondo, e cioè che l’enfasi posta sulla giustificazione delle decisioni, e l’espansione dell’attività dei giudici, che di tale enfasi rappresenta un corollario, sono necessarie per far fronte al grande problema del diritto europeo: la crisi della sua autorità. Pertanto, si vuole ribadire che questa impostazione non ha carattere “ideologico”: non si tratta di una presa di posizione aprioristica e predeterminata a favore degli organi giudiziari, nell’ambito della crisi economico-finanziaria. Piuttosto, si ritiene che la giurisdizionalizzazione della crisi sia un processo auspicabile e necessario per compensare alcuni punti deboli strutturali, del quale, però, non si nascondono i rischi e le controindicazioni. A questo punto, ci si deve chiedere, innanzi tutto, se il processo di giurisdizionalizzazione della crisi, ritenuto necessario e auspicabile, sia effettivamente in corso oppure no. Si ritiene che la risposta debba essere affermativa. Bisogna ricordare, altresì, che recentemente si è cercato di affermare il contrario, ovvero che si starebbe assistendo ad una                                                                                                                

18 Come ricorda Ruggeri, per effetto di un sovraccarico di compiti che si addossano sul

giudice, è possibile che si determinino “torsioni gravi” nel loro ruolo (vedi IVI, 5).

19 Vedi infra, in particolare la critica di Azzariti al bilanciamento “libero” della Corte di

Giustizia (G. AZZARITI, Le garanzie del lavoro tra costituzioni nazionali, Carta dei diritti e

Corte di Giustizia dell’Unione europea, Relazione al Convegno “Diritto civile e principi

costituzionali europei e italiani”, Perugia, 25-26 marzo 2011, in C. SALVI (a cura di),

Diritto civile e principi costituzionali europei e italiani, Giappichelli, Torino, 2012, 90-91).

Inoltre, nella riflessione costituzionalistica a livello mondiale, ha una certa diffusione una sorta di diffidenza nei confronti dell’intervento dei giudici su questioni relative all’allocazione delle risorse (come quelle che concernono i diritti sociali). Sul punto, vedi il quarto capitolo.

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marginalizzazione del ruolo delle corti nel processo integrativo20. A dire il vero, la tesi sostenuta nell’opera citata è ancora più forte e sensazionale: le due grandi crisi che si sono abbattute sull’Unione nell’ultimo decennio (ovvero la crisi costituzionale e la crisi economica) avrebbero prodotto come conseguenza la messa in discussione del paradigma dell’integration

through law21. A questo punto, si ritiene opportuno soffermarsi su questa

tesi citata, per due ragioni. La prima è che essa, giudicando in declino l’integrazione attraverso il diritto, afferma pure la marginalizzazione delle corti (cosa che appare come una sorta di corollario della tesi principale). Dal momento che il presente lavoro è incentrato proprio sull’attività giudiziale, e non la considera affatto marginale, pare opportuno confrontarsi non soltanto con la tesi che nega il ruolo significativo delle corti, ma anche con la tesi principale che ne costituisce il fondamento e la premessa. La seconda ragione è che la contestazione della tesi che afferma la crisi dell’integrazione attraverso il diritto consente anche di evitare che si crei confusione con il concetto che si è espresso poc’anzi e che rappresenta una sorta di “punto di partenza” di questo lavoro, ovvero il concetto di “crisi dell’autorità del diritto”. In seguito, sarà possibile tornare al tema principale, ovvero quello della giurisdizionalizzazione della crisi.

2. Un equivoco da eliminare: la “de-giuridicizzazione” della governance economico-finanziaria

Scicluna ricostruisce il percorso dell’ integration through law (e, soprattutto, through judge-made law), mettendo in luce il formidabile ruolo trainante svolto dalla Corte di Giustizia22. Questa ha realizzato una sorta di “impresa”: creare una via alternativa alla legittimazione tramite l’argomento                                                                                                                

20 Tale tesi è stata sostenuta da N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism in crisis,

Routledge, London and New York, 2015.

21 Il riferimento, ovviamente, va all’opera della Integration through Law Scholarship di

Cappelletti, Seccombe e Weiler. Vedi M. CAPPELLETTI – M. SECCOMBE – J.H.H. WEILER (eds.), Integration through Law, Europe and the American federal experience, I tomo, De Gruyter, Berlino e New York, 1985.

22 Afferma l’A.: «Judicially driven constitutionalisation established a coherent, effective

and largely supreme legal framework for the European Union» (N. SCICLUNA, European

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“we the people”, costruendola sul diritto e i diritti23. La Corte di Lussemburgo ha attuato una strategia di legittimazione fortemente sbilanciata sugli output, inclusi i diritti, piuttosto che sugli input democratici. Secondo Scicluna, il processo sarebbe entrato in crisi perché l’espansione imperiosa dell’estensione e della penetrazione del diritto eurounitario avrebbe reso il peso delle decisioni spettanti alle istituzioni dell’UE insostenibile per la base di legittimazione che sorregge l’Unione. Per questo, l’A. dice che bisogna chiedersi «whether constitutionalisation

has been too successful»24: l’Unione è cresciuta, forse troppo, e non riuscirebbe a sopportare il proprio peso. Scicluna ravvisa una conseguenza della crisi dell’Integration through Law nella produzione di processi di politicizzazione accelerata. In effetti, si può constatare che la reazione alla crisi economica è stata caratterizzata dall’emersione di meccanismi e processi decisionali in cui il tasso di politicizzazione è piuttosto elevato. Infatti, è stato segnalato che gli organi a cui è attribuito il potere di attuare la

governance economica e finanziaria25 godono di un notevole tasso di                                                                                                                

23 Cfr. ibidem. «The EU’s legitimacy, in the Court’s conception, was based on its

constitutional legality. It flowed from the idea of Europe as a legal community bound together by common laws, institutions and a post-war commitment to peace, prosperity and human rights». In particolare, la Corte di Giustizia ha dato grande risalto ai diritti

individuali, anche in virtù del principio degli effetti diretti: «accordingly, the absence of a

collective demos became less problematic» (N. SCICLUNA, European Union

Constitutionalism in crisis, cit., 32). Per quanto concerne la funzione interpretativa della

Corte di Giustizia, si rimanda all’opera di G. MARTINICO, L’integrazione silente. La

funzione interpretativa della Corte di Giustizia e il diritto costituzionale europeo, Jovene,

Napoli, 2009. Come ricorda Martinico, la funzione di unificazione e costituzionalizzazione svolta dalla Corte di Lussemburgo non è stata caratterizzata soltanto dalla collaborazione dei giudici nazionali (comuni), ma è stata anche accompagnata, in un primo momento, da un altro fenomeno: «il tentativo delle Corti costituzionali di conservarsi una nicchia di competenza autonoma (di non considerarsi in alcun modo “organi di diritto comunitario”)»

(IVI, 136-137). Tale atteggiamento, assunto dalle corti costituzionali, ha prodotto come

conseguenza «una sorta di “disaffezione” nei loro confronti da parte dei giudici comuni nazionali che vedono, nelle questioni riguardanti (e sempre più numerose) il rapporto fra gli

ordinamenti, nella CGCE il loro “giudice costituzionale”» (IVI, 137). Attualmente, lo

scenario è significativamente cambiato, data la disponibilità mostrata da diversi giudici costituzionali a fare ricorso al rinvio pregiudiziale.

24 N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism in crisis, cit., 32. L’A. effettua

un’analisi vicina a quella di Dani (per la quale si rimanda soprattutto al secondo capitolo) quando individua una linea di frattura molto delicata tra gli strumenti dell’integrazione economica, collocati sul piano del diritto sovranazionale, e i principi in materia sociale e lavoristica delle costituzioni nazionali. La separazione netta di un tempo tra queste due grandi sfere ha ceduto il passo ad una situazione più fluida in cui il diritto sovranazionale mette in discussione le conquiste e le acquisizioni del welfare state; «this, in turn, feeds

perceptions of EU law and EU decision making as an illegitimate imposition» (ibidem).

25 Anche se la governance economica e finanziaria sarà analizzata più in dettaglio nel terzo

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discrezionalità, che permette l’immissione di valutazioni politiche nell’ambito dei vari meccanismi previsti. Come è stato lucidamente segnalato26, questo aspetto è solitamente oscurato dalla presenza, all’interno delle discipline fondamentali della governance, di parametri numerici - imposti agli Stati membri – che veicolano l’immagine di una “gabbia” rigida e stretta. In realtà, sebbene esistano certamente degli elementi di rigidità che innervano le normative appena descritte, tuttavia vi sono altri elementi – che in qualche modo “compensano” i primi – che aprono spazi di flessibilità. Nel prosieguo del lavoro, nel capitolo dedicato all’analisi della

governance economica e finanziaria, ci si soffermerà sugli aspetti di

“indeterminazione” presenti al suo interno. Ritornando all’osservazione di Scicluna, in questo momento si può ricordare, a titolo esemplificativo, che elementi di forte politicizzazione sono presenti nel sistema configurato dal Trattato ESM: si pensi al Memorandum of Understanding27, che è il frutto di una negoziazione tra la Commissione (di concerto con la BCE e il FMI) e lo Stato membro interessato.

Una volta riconosciuto che Scicluna coglie un dato effettivo, quando fa riferimento ad un incremento delle dinamiche di politicizzazione nel processo di integrazione, tuttavia occorre anche affermare che da questo dato non discende la conclusione secondo la quale il regime al quale sono soggetti i meccanismi di funzionamento della governance economica e finanziaria sarebbe sostanzialmente “a-legale” (o “a-giuridico”) 28 . Intendendo per “a-legale” o “a-giuridico” qualcosa che non è contemplato dal diritto, al fine di confutare l’ultima affermazione basta ricordare che i vari aspetti della governance economica e finanziaria (equilibrio dei                                                                                                                                                                                                                                                                                           fondamentali, volti, rispettivamente, ad assicurare bilanci in equilibrio, evitare disavanzi eccessivi ed evitare e correggere squilibri macroeconomici. Vedi D. CHALMERS, The

European Redistributive State and a European Law of Struggle, in European Law Journal, vol. 18, n. 5/09/2012, 677.

26 Per esempio, vedi G.L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012 alla luce della

normativa dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno, Relazione tenuta

nell’ambito del seminario “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Roma, Palazzo della Consulta, 22 novembre 2013, disponibile su www.cortecostituzionale.it, 8).

27 Nel Memorandum vengono stabilite le condizionalità per la concessione

dell’assistenza finanziaria, commisurate alla gravità delle carenze da affrontare e allo strumento di assistenza finanziaria scelto.

28 In particolare, ha parlato di “a-legality” del Fiscal Compact Chalmers: «legal constraints

on the parties barely figure allowing a zone of political discretion that is remarkable unconstrained» (D. CHALMERS, The European Redistributive State, cit., 682).

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bilanci, disavanzi eccessivi, squilibri macroeconomici, forme di assistenza finanziaria) sono comunque disciplinati all’interno di strumenti che – pur potendo essere diversamente qualificati29 - sono indubbiamente giuridici. Pertanto, pur assistendosi ad un innalzamento del tasso di politicità, all’interno del processo di integrazione, non si può condividere la tesi che afferma il declino della funzione integratrice del diritto. Per Scicluna, le due grandi crisi che hanno investito l’Unione europea nell’ultimo decennio (quella costituzionale e quella economica) hanno prodotto un’accelerazione nei processi di politicizzazione, senza un adeguato sviluppo del processo di democratizzazione. L’A. parla di una nuova

governance economica “de-legalised” ma non “re-democratised”30. È opportuno soffermarsi sulla prima delle due qualificazioni: “de-legalizzata”, o “de-giuridicizzata”. Questa espressione non pare appropriata, o comunque non risulta adeguatamente definita. L’A., infatti, considerando gli strumenti adoperati per contrastare la crisi, deduce che la crisi sta plasmando il costituzionalismo dell’Unione, in maniera tale da offuscare il suo carattere sovranazionale, e che sta emergendo un ordine giuridico dell’Unione più flessibile, meno democratico e internazionalizzato, in cui campeggiano, quali principali decision makers, gli esecutivi degli Stati membri31. Tutte queste affermazioni – nel merito delle quali non si entra in questa sede – non giustificano la conclusione per cui la governance sarebbe de-legalizzata. Infatti, la stessa A., quando dice che l’ “ordinamento giuridico” dell’UE starebbe diventando meno democratico ed internazionalizzato 32 , riconosce automaticamente la persistenza di un ordinamento giuridico (“legal order”). È vero che le risposte alla inquietante situazione greca, concordate nel maggio 2010 dai Capi di Stato e di governo dell’area euro, bypassavano il quadro giuridico                                                                                                                

29 In alcuni casi si tratta di fonti del diritto UE. In altri (in particolare, il Fiscal Compact e il

Trattato EMS) si tratta di trattati internazionali che non sono propriamente inseriti nel quadro ordinamentale UE, pur avendo con esso profondi e forti legami.

30 N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit., 123.

31 Ibidem.

32 Si deve ricordare, inoltre, che anche in passato gli Stati membri hanno

utilizzato il diritto internazionale al fine dell’integrazione.

Vedi B. DE WITTE, Using International Law in the Euro Crisis Causes and

Consequences, ARENA Working Paper, 4/2013, disponibile su

http://www.sv.uio.no/arena/english/research/publications/arena-publications/workingpapers/working-papers2013/wp4- 13.pdf, 2.

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dell’Unione; però, occorre ricordare che nella riunione straordinaria Ecofin33, tenutasi il 9 e 10 maggio 2010, sono stati ideati due meccanismi per istituzionalizzare e formalizzare l’impianto dell’assistenza finanziaria: l’EFSM34 e l’EFSF35. Il primo è stato istituito con una fonte tipizzata di diritto UE36, e trova il suo fondamento nell’art. 122, par. 2, TFUE37. Il secondo, atto a coordinare prestiti e garanzie, è stato istituito con un accordo dei rappresentanti degli Stati dell’area euro, non inquadrabile nell’ambito del diritto UE, ma non per questo lo strumento può dirsi non giuridico. Successivamente, gli Stati dell’area euro hanno voluto istituire, con un trattato internazionale, un meccanismo permanente, sulla base di un emendamento ai trattati (in particolare, all’art. 136 TFUE): si tratta dell’ESM38. Scicluna evoca alcune perplessità che sono state sollevate in relazione a questi strumenti, sulla base di quanto previsto agli artt. 125, par. 139 e 122, par. 2 del TFUE. Quest’ultimo è stato già richiamato. In effetti, i meccanismi di stabilità sono stati al centro di polemiche, dal momento che è stata messa in discussione la loro compatibilità con tali previsioni40. Nel                                                                                                                

33 Consiglio degli Affari economici e finanziari.

34 European Financial Stabilisation Mechamism.

35 European Financial Stability Facility.

36 Regolamento del Consiglio n. 407/2010.

37 Il paragrafo recita: «Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente

minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può̀ concedere a determinate condizioni un'assistenza finanziaria dell'Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa».

38 European Stability Mechamism.

39 Esso così recita: «L'Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle

amministrazioni statali, dagli enti regionali, locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di diritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro, fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto economico specifico. Gli Stati membri non sono responsabili né subentrano agli impegni dell'amministrazione statale, degli enti regionali, locali o degli altri enti pubblici, di altri organismi di diritto pubblico o di imprese pubbliche di un altro Stato membro, fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto specifico».

40 L’art. 125, par. 1, TFUE è stato interpretato da taluno come un divieto di assunzione –

anche volontaria - di responsabilità; per altri, invece, significherebbe soltanto che non è possibile obbligare l’Unione e gli Stati membri ad assumere i debiti di altri Stati membri. Per Scicluna, «this reasoning is contrary to the rationale behind Article 125, which was

about using the discipline of financial markets to force member states to live within their means» (N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit., 125). Per quanto

concerne l’art. 122, par. 2, TFUE, si è discusso del significato dell’espressione “circostanze eccezionali che sfuggono al controllo dello Stato membro”: alcuni, dal momento che gli Stati bisognosi di assistenza avevano contribuito a causare le loro avversità con un cattivo governo dell’economia ed una mediocre capacità decisionale, hanno sostenuto che non è

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caso Pringle41, la Corte di Giustizia ha affermato che l’emendamento all’art. 136 TFUE conferma un potere già detenuto dagli Stati; quindi, la ratifica da parte di uno Stato membro del trattato ESM non era condizionata dalla preventiva entrata in vigore dell’emendamento. Scicluna non condivide questa decisione, anche da un punto di vista tecnico (l’interpretazione adottata dalla Corte rende superfluo l’emendamento all’art. 136 TFUE); agli occhi dell’A., poi, questa decisione è criticabile perché avallerebbe il protagonismo del diritto internazionale nella gestione della crisi, con conseguente preponderanza degli esecutivi e aggravamento del deficit democratico42. Pertanto – riassumendo – le critiche sin qui considerate nei confronti delle misure di risposta alla crisi attengono, da un lato, alla legittimità/validità delle stesse ai sensi del diritto primario dell’UE, dall’altro, e in modo più profondo, sono ricondotte ad una riflessione sulla crisi del “costituzionalismo” dell’UE. Tali critiche – nel merito delle quali non si vuole entrare – sono supportate da argomenti seri e meritevoli di attenzione, ma non giustificano l’uso del termine “de-legalisation”. In riferimento al secondo tipo di critiche, si sarebbe potuto adoperare, forse, il termine de-costituzionalizzazione (“de-constitutionalisation”). In relazione al primo, invece, i termini più appropriati sembrerebbero, piuttosto, “invalido”, “illegittimo” (“invalid”, “illegitimate”), ma non “de-legalised”, che evoca una fuoriuscita degli strumenti di gestione della crisi da qualsiasi tipo di regolazione giuridica. In effetti, occorre ricordare che Scicluna precisa l’accezione con cui usa il termine “de-legalisation”: «this is not to

say that the instruments of the new economic governance are not legally codified, but that they lack the formal legitimacy of the constitutional order they bypass and that this lacuna is not made up for by other forms of

                                                                                                                                                                                                                                                                                          possibile affermare che le circostanze fossero al di là del loro controllo; altri, sottolineando la gravità della a situazione greca e le potenzialità di diffusione della crisi, hanno ritenuto che si possa parlare appropriatamente di circostanze eccezionali che sfuggono al controllo dello Stato (N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit., 125-126).

41 Sul quale vedi infra.

42 «In other words, when confronted with a state of exception, the EU appears less like a

sui generis, post-state entity and more like a traditional international organisation, which is dominated by executive actors. In this way, the crisis is reinforcing the first claim of the standard democratic deficit described by Follesdal and Hix [...] – the preponderance of executive powers at the European level» (N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit., 127).

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democratic accountability»43. In questa sede, si è voluto semplicemente contestare l’uso di una terminologia che non pare corrispondente al significato attribuito.

Dunque, la crisi dell’autorità del diritto in Europa, a cui si è fatto riferimento prima, non deve essere confusa con il fenomeno della “de-giuridicizzazione”. La crisi dell’autorità del diritto non deriva da una sorta di “ritirata” del diritto, che abdica alla sua missione di dare ordine e regolamentazione, in favore di meccanismi decisionali essenzialmente lasciati alla politica, ma è il frutto, piuttosto, della convivenza (a volte non pacifica) di due sfere giuridiche distinte, quella nazionale e quella sovranazionale, che spesso si contendono il campo di azione.

È ora possibile ritornare al tema principale. 3. Il coinvolgimento delle corti nella crisi

Come già detto, Scicluna sostiene che nell’ambito dell’ “euro crisis” le corti abbiano subito un processo di marginalizzazione44. Per l’A., «courts – slow,                                                                                                                

43 N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit., 5-6.

44 «[...] the ECJ’s influence as an institgator and driver of European integration has waned.

This trend is partly crisis-induced. The need for quick, effective action privileges executive authority, while more ponderous and cumbersome institutions, such as courts and parliaments, are marginalised» (N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit., 7). Dunque, non soltanto le corti, ma anche i parlamenti sarebbero marginalizzati a causa della crisi. Non è un’opinione solitaria. Ad esempio, per Dawson e de Witte, «in addition to the

absence of a forum for the articulation of the citizens’ voice, and of any mediation between divers policy alternatives on the European level, the austerity drive, in particular through the obligations provided for under the Euroean Semester, also sidelines national parliaments from the budgetary control that constitutes their most traditional and symbolic prerogative» (M. DAWSON –F.DE WITTE, Constitutional Balance in the EU after the Euro

- Crisis, in The Modern Law Review, 2013, 827). Tra le diverse alterazioni del

“constitutional balance” dell’Unione, indotte dalla crisi economica, vi sarebbe, a livello istituzionale, una significativa alterazione concernente il passaggio di poteri verso gli esecutivi nazionali, nonché un notevole rafforzamento del Consiglio europeo (vedi ivi, 830). Inoltre, al passaggio di poteri verso gli esecutivi si accompagnerebbe la simultanea diminuzione di poteri in capo al Parlamento europeo e ai Parlamenti nazionali (vedi ivi, 832). Si tratta di una conclusione che deve essere discussa. Come ha osservato Martinico, per aspirare a cogliere il quadro dei rapporti tra poteri nella sua globalità, occorre considerare altri contributi dottrinali che si sono concentrati sulle trasformazioni in atto a livello nazionale: «the attention at the State-level will offer counter-intuitive arguuments»

(G. MARTINICO, EU Crisis and Constitutional Mutations: A Review Article, in Revista de

Estudios Politicos, 2014, 262). «Going to the impact of the supranational measures on the constitutional structures of Member States, authors like Lupo, Fasone and Griglio have noticed that the role of national Parliaments has not resulted necessarily diminished. This is a “counter-intuitive” conclusion, since one could think that the intergovernmental nature of the last developments in this ambit result in affecting the centrality of national

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process-driven and dependent on legal norms – are not capable of deciding on the exception»45: lentezza, processualità e soggezione al diritto sono i fattori limitanti che ostacolerebbero la decisione sulle situazioni “di eccezione”, quale è la grave crisi economica che attanaglia l’Europa46. L’A. considera, innanzi tutto, il caso della Corte di Giustizia. Dal momento che le esigenze di flessibilità e decisionismo avrebbero reso marginali e indotto a bypassare i meccanismi legislativi dell’Unione, caratterizzati da processi lenti di consultazione e negoziato istituzionale tra Commissione, Consiglio e Parlamento, di conseguenza sarebbe stata aggirata anche la giurisdizione della Corte di Lussemburgo47. Non è un caso che una decisione che viene considerata da Scicluna come emblematica della trasformazione del ruolo della Corte di Giustizia verta su uno strumento estraneo alla produzione legislativa dell’UE (il Trattato ESM). Si tratta della sentenza Pringle48. Con questa decisione il meccanismo di stabilità ha                                                                                                                                                                                                                                                                                          

Parliaments» (IVI, 263). È stato recentemente sottolineato che, dopo una prima fase in cui sono stati senza dubbio prevalenti i circuiti intergovernativi, i parlamenti stanno gradualmente riguadagnando il loro ruolo. Con il six-pack e il two-pack, essi hanno guadagnato nuovi poteri, in termini di esame e supervisione. Comunque, viene ricordata anche l’esistenza di asimmetrie tra parlamenti, dipendenti dalle diversità degli assetti costituzionali degli Stati (Vedi C. FASONE, Taking budgetary powers away from national

parliaments? On parliamentary prerogatives in the Eurozone crisis, EUI Law Working

Paper, 2015,

http://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/36658/LAW_2015_37.pdf?sequence=1).

45 N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit., 134.

46 Scicluna riporta anche l’opinione del Presidente del Tribunale costituzionale federale

Tedesco, espressa alla vigilia della decisione sull’ESM e sul Fiscal Compact, da cui si ricava l’impostazione del processo decisionale tipico di un giudice costituzionale: «Court President Andreas Voßkuhle lamented the pace and frenzy of politics, claiming that

it needed “more moments of deceleration, [...] phases of reflection, in order to contemplate fundamental decisions” (N.SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit., 134). Dal punto di vista di un giudice costituzionale, è importante, innanzi tutto, che la decisione sia meditata e ponderata. Pertanto, una buona decisione richiede momenti di decelerazione e fasi di riflessione.

47 N.SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit., 133. Nel caso Pringle si è posta la questione dell’esistenza della giurisdizione della Corte di Giustizia sull’interpretazione delle previsioni del trattato ESM, di cui non è parte l’UE. La Corte di Giustizia ha aggirato la questione e si è limitata a dire che la domanda effettiva a cui doveva dare risposta era quella sulla compatibilità col diritto UE di un meccanismo di stabilità creato dagli Stati la cui moneta è l’euro. La questione della giurisdizione della Corte sul Trattato ESM rimane

aperta (N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit.,134).

48 La decisione (CGUE, C - 370/2012) nasce da un rinvio pregiudiziale della corte suprema

irlandese, con cui si ponevano tre questioni: 1) alla luce dell’uso della procedura di revisione semplificata e della possibilità della violazione del diritto UE da parte del contenuto dell’emendamento, è valida la decisione del Consiglio europeo 2011/199, con cui era emendato l’art. 136 TFUE per permettere la creazione di un meccanismo di stabilità dell’area euro? 2) è consentito ad uno stato dell’area euro far parte di un accordo internazionale come il Trattato ESM, avuto riguardo al diritto UE? Se la decisione 2011/199 fosse valida, il diritto di uno Stato membro di ratificare il Trattato ESM sarebbe

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ricevuto un endorsement dalla Corte di Giustizia, a distanza di due mesi dall’entrata in funzione del fondo di bailout. La Corte non avrebbe potuto fare altro che avallare il nuovo strumento e l’operazione che ha condotto ad esso. Essa non sarebbe stata nelle condizioni di giocare un ruolo incisivo49. Secondo Scicluna, anche dalla decisione del Tribunale costituzionale federale tedesco50 del settembre 2012 sulla costituzionalità dell’ESM e del

Fiscal Compact si potrebbe ricavare la conclusione di una

accondiscendenza delle corti nei confronti del potere politico e, in particolare, degli esecutivi51. Anche nei casi in cui le corti hanno esercitato la loro autorità in maniera contraria agli “imperativi della crisi”, non sarebbero state chiare – sempre secondo Scicluna – le ripercussioni delle loro decisioni su quelle politiche. In relazione alla decisione del 5 aprile 2013, con cui il Tribunale costituzionale portoghese ha dichiarato incostituzionali diverse misure di austerità – adottate per raggiungere gli obiettivi negoziati con la Troika – incluse nel bilancio per il 2013, L’A. riporta una dichiarazione della Commissione europea, da cui si evince la volontà di non “cambiare rotta”52, e conclude: «Its statement was

remarkable for its willingness to interfere in a domestic matter and for its treatment of the Constituional Court’s verdict as a hindrance that could not be allowed to cause deviation from Portugal’s troika - approved path. The Commission did not criticise the Court’s verdict so much as it disregarded it, essentially reaffirming the primacy of emergency measures over law»53. Sulle conclusioni cui giunge Scicluna è opportuno effettuare alcune                                                                                                                                                                                                                                                                                           soggetto alla preventiva entrata in vigore dell’emendamento all’art. 136 TFUE? Le risposte della Corte alle tre questioni sono state, rispettivamente: sì, sì e no.

49 «The Pringle decision suggests not that the ECJ has abdicated its privileged status, but

that it has been deposed» (N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit., 134).

50 Tra l’altro, nella parte ricostruttiva del suo lavoro, l’A. considera solo il Tribunale

costituzionale federale tedesco.

51 «At any rate, the Court’s eventual delivery of another “yes, but...” verdict continued the

pattern of law’s deference to politics and courts’ deference to executive sovereign authority in matters of crisis resolution» (N. SCICLUNA, European Union Constitutionalism, cit.,

135).

52 «Any departure from the programme’s objectives, or their re-negotiation, would in fact

neutralise the efforts already made and achieved by the Portuguese citizens, namely the growing investor confidence in Portugal, and prolong the difficulties from the adjustment...The Commission reiterates that a strong consensus around the programme will contribute to its successful implementation. In this respect, it is essential that Portugal’s key political institutions are united in their support» (Commissione europea, 7

aprile 2013).

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