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Il diverso concetto di valore aggiunto alla base delle due diverse

3. Irap e Iva. Premessa

3.2. Il diverso concetto di valore aggiunto alla base delle due diverse

Al di là delle risposte date dalla Corte di Giustizia, nell‟ambito dell‟indagine sulla determinazione del presupposto dell‟Irap, si ritiene opportuno, per giungere ad una soddisfacente risposta in ordine alla problematica della quale Essa è stata investita e al fine di trarre nuovi spunti ricostruttivi, esaminare (sia pur brevemente), da una parte, la struttura delle due imposte, con particolare riferimento alla loro natura giuridica, e dall‟altra, le modalità di determinazione della loro base imponibile.

Il presupposto dell‟Irap – che, lo si è ampiamente visto, risiede nell‟esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni e servizi – risponde al principio economico del beneficio secondo cui l‟imposta è dovuta dai produttori di beni e servizi in relazione ai vantaggi ricevuti dalla regione destinataria del gettito. Il valore della produzione netta è quindi assunto quale grandezza economica più adatta a compensare, mediante l‟imposta, l‟amministrazione pubblica per i servizi non vendibili con cui la stessa amministrazione ha contribuito al processo produttivo. Il tributo locale, sempre in termini economici, è quindi diretto a sostituire quei costi cui dovrebbero farsi carico i soggetti passivi d‟imposta in mancanza dei servizi indivisibili resi (nel caso dell‟Irap) dalla regione(240). Più in dettaglio, l‟elemento materiale del presupposto dell‟imposta è costituito dal “valore della produzione netta” derivante dall‟attività produttiva. Trattandosi di un tributo sulla produzione e non sul reddito, l‟aggettivo

(240) Cfr. PROCOPIO M., L‟asserita incompatibilità dell‟Irap con la normativa

123 “netta” sta a indicare che il valore anzidetto deve essere determinato, per le imprese e i lavoratori autonomi diversi da banche e assicurazioni, sottraendo al valore lordo solo gli ammortamenti, i costi dei beni utilizzati per la produzione e dei servizi forniti nell‟esercizio di attività autonomamente organizzate e gli altri oneri di gestione.

La rilevanza di queste componenti negative deriva non tanto dal fatto di avere natura di veri e propri costi, quanto dal fatto che essi rappresentano il valore dei beni utilizzati nella produzione e, comunque, il frutto di altre attività produttive già assoggettate autonomamente all‟imposta. Se la base imponibile Irap deve essere coerentemente costruita in aderenza alla natura di tale imposta di tributo sul valore della produzione netta e non di tributo sui redditi, il valore di tali beni e frutti deve perciò essere tecnicamente depurato dal loro valore (non trattandosi tecnicamente della deduzione di un costo)(241).

Questa peculiare configurazione dell‟imposta spiega anche perché il costo del personale e gli interessi passivi non vanno scorporati dal valore della produzione, costituendo gli stessi, insieme al profitto, la remunerazione dei fattori della produzione e rappresentando, quindi, proprio i parametri economici astrattamente idonei a misurare detto valore. Questi componenti, infatti, non remunerano un‟attività produttiva autonomamente organizzata, ma soggetti (lavoratori e finanziatori) estranei all‟applicazione dell‟Irap. In altri termini, il valore aggiunto della produzione oggetto dell‟imposta si distribuisce economicamente tra dipendenti e finanziatori che non sono soggetti passivi del tributo, con la conseguenza che i salari corrisposti ai primi e gli interessi corrisposti ai secondi non possono incidere in alcun modo

124 sul prodotto netto dell‟attività autonomamente organizzata soggetta a tassazione e, quindi, nemmeno possono essere scorporati dal valore della produzione(242).

Nell‟Iva, invece, a differenza dell‟Irap, il fatto economico gravato da tassazione e i soggetti incisi sono, rispettivamente, il consumo e i consumatori e non l‟attività produttiva ed il produttore ancorché la legge assuma solo formalmente quale presupposto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi e, quali soggetti passivi, gli imprenditori e gli esercenti arti e professioni. Ciò non solo si verifica sul piano economico o come effetto di un processo di traslazione economica, ma è l‟inevitabile conseguenza dell‟operare del caratteristico meccanismo applicativo del tributo fondato sulla rivalsa e sulla detrazione. In altri termini, l‟impresa e i professionisti appaiono solo come meri strumenti utilizzati per il versamento del tributo nelle differenti fasi di applicazione dell‟imposta e quindi per trasferire il carico del tributo sul consumo(243).

In definitiva, la giustificazione dell‟Iva sta nella tassazione non della produzione ma del consumo; nonostante il carattere di valore aggiunto relativo sia all‟Iva che all‟Irap, si è in presenza di due nozioni di valore aggiunto diametralmente opposte che portano solo uno dei due tributi a connotarsi come prelievo sulla cifra d‟affari nel senso inteso dall‟ordinamento comunitario. Ed infatti, nell‟Iva il valore aggiunto che determina il debito (o il credito) di imposta è quello che risulta al termine

(242) Cfr. FEDELE A., Relazione sull‟Irap, in Riforma tributaria 1998, Analisi dei

decreti legislativi in vigore nel 1998, Atti del Seminario di studi dell‟ordine dei dottori commercialisti di Roma, 1998, pag. 406.

(243) Cfr., in tal senso, FANTOZZI A., Diritto tributario, op. cit., pag. 837. Osserva l‟Autore, in relazione allo schema di base del tributo e alle varie teorie sul presupposto dell‟Iva, che “… il ruolo di imprenditori e lavoratori autonomi è ritenuto meramente strumentale

all‟obiettivo di colpire il consumatore, considerando solo quest‟ultimo come l‟effettivo portatore di capacità contributiva”.

125 del ciclo economico e, più in particolare, nella fase del consumo; nell‟Irap il valore aggiunto è invece determinato nella fase della produzione indipendentemente dalla distribuzione dei beni e servizi prodotti e presenta, conseguentemente, i caratteri di una imposta di tipo reddituale(244).

Sempre con riferimento al presupposto, vi è inoltre da osservare che uno dei tratti distintivi dell‟Irap è da individuare nell‟esercizio non di sole attività economico-commerciali, ma anche di qualunque altra attività purché autonomamente organizzata (e quindi anche se di natura non commerciale)(245).

Con riferimento all‟Iva è invece agevole constatare come il suo presupposto applicativo sia costituito da cessioni di beni e prestazioni di servizi poste in essere da soggetti che svolgono attività commerciali e professionali e non quindi, come avviene nel caso dell‟Irap, dallo svolgimento di ogni attività produttiva organizzata anche da parte di soggetti non imprenditori.

(244) Come rileva LUPI R., in Il fuorviante accostamento tra Iva e Irap, op. cit.., pag. 847, il valore aggiunto è un modo di indicare un insieme di criteri accomunati dal tentativo di evitare duplicazioni di prelievo. L‟Iva si chiama sul valore aggiunto semplicemente perché adotta un metodo che evita duplicazioni di prelievo collegate al numero di operazioni che avvengono “a monte” del consumo finale. L‟Iva, infatti, colpisce il valore aggiunto rispetto alle precedenti applicazioni “a monte” della stessa imposta, con l‟evidente scopo di evitarne discorsive duplicazioni. Un‟imposta che si applica nei passaggi successivi di quelli precedenti darebbe luogo ad ingiustificati effetti di cumulo. In sostanza, nell‟Iva il valore aggiunto è l‟eccedenza rispetto a quanto è già stato colpito a monte dalla stessa imposta.

(245) Basti ricordare in proposito che l‟Irap, sostituendo il contributo al servizio sanitario nazionale, può anch‟essa avere per oggetto attività solo di “erogazione” a titolo gratuito svolte dagli enti non commerciali e dalle pubbliche amministrazioni nei confronti di soggetti ad essi appartenenti; cfr. GALLO F., Imposta

regionale sulle attività produttive (Irap), op. cit., pag. 661. Ne consegue che il presupposto si

realizza nei confronti non solo delle società, imprese ed esercenti arti e professioni, ma anche degli enti non commerciali e delle pubbliche amministrazioni, e cioè di soggetti che, pur essendo “produttori”, non sono enti commerciali in quanto non svolgono attività economiche.

126 La manifestazione della ricchezza tassata nell‟Irap è data dalla combinazione di uomini, capitali, macchine, materiali, conoscenza tecnica, capacità imprenditoriali e manageriali. Nell‟Iva, viceversa, come si è detto, la capacità contributiva che ne giustifica l‟applicazione non è quella dell‟imprenditore o dell‟esercente arte o professione, bensì del soggetto consumatore finale, vale a dire, l‟unico soggetto che nel ciclo impositivo resta definitivamente inciso dal tributo non solo economicamente ma anche giuridicamente grazie al suo particolare meccanismo giuridico di traslazione sul consumo. Si è infatti visto che la manifestazione di capacità contributiva che l‟Iva intende colpire è rappresentata – in aderenza alle direttive e alla giurisprudenza della Corte di giustizia(246) – dal consumo di beni e servizi.

Naturalmente alle stesse conclusioni si giungerebbe anche se si ritenesse che l‟Irap – colpendo il valore aggiunto economico rappresentato dalla sommatoria dei profitti e delle remunerazioni del lavoro e del capitale – sia un tributo che grava sui redditi, rispettivamente, dell‟imprenditore, del lavoratore e del soggetto finanziatore prima della loro percezione. Ed invero, anche a voler considerare valida tale tesi, la capacità contributiva sarebbe manifestata da soggetti che, pur non coincidendo del tutto con il produttore, sono sicuramente diversi dai soggetti consumatori che, come si è visto, esprimono una capacità contributiva nell‟Iva.

Tali essenziali differenze sottolineano (e confermano, secondo quanto rilevato all‟inizio del presente capitolo), quindi, come si sia in

127 presenza di due diverse nozioni di valore aggiunto: di tipo reddito per l‟Irap; di tipo consumo, nel caso dell‟Iva(247).

3.4. L’impossibilità della rivalsa nel sistema dell’Irap e