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La legittimità dell‟Irap secondo la decisione della Corte

Come noto, il dibattito sulla conformità dell‟Irap ai principi fondamentali del nostro ordinamento ha trovato una soluzione (più o

(309) BATISTONI FERRARA F., L‟Irap è un‟imposta incostituzionale?, op. cit., pag. 95. (310) Cfr. PROCOPIO M., L‟oggetto dell‟Irap, op. cit., pag. 39.

157 meno) definitiva con la famosa sentenza n. 156 del 21 maggio 2001. Essendo state trattate, con la detta sentenza, una pluralità di questioni diverse, il contenuto della pronuncia è ovviamente molto articolato, tuttavia, in considerazione della preminenza, ai fini della trattazione in corso, di alcune questioni rispetto ad altre, saranno analizzati i soli punti fondamentali della sentenza, ovvero quelli che investono l‟individuazione del presupposto impositivo dell‟Irap(311).

La questione sottoposta alla Corte Costituzionale trovava il suo fondamento in alcune ordinanze di rimessione le quali, sulla spinta delle numerose critiche avanzate, come visto, da autorevole dottrina, osservavano come l‟Irap sarebbe costituzionalmente illegittima, da un lato, perché congegnata in modo da non colpire il reddito effettivo, e dall‟altro, perché congegnata in modo da non assicurare che il soggetto passivo avesse una disponibilità di reddito sufficiente per far fronte al prelievo impositivo (seppure operato, quest‟ultimo, a diverso titolo)(312).

A fronte di tali contestazioni, è da considerarsi sicuramente apprezzabile il ragionamento della Consulta che, prima di tutto, ha ribadito a chiare lettere che l'Irap non è un'imposta sul reddito e che,

(311) Si rinvia, invece, all‟ultima parte del primo capitolo per quanto concerne il profilo della soggettività passiva attribuita ai lavoratori autonomi organizzati o meno.

(312) Si legge, infatti e tra l'altro, nell‟ordinanza del 27 ottobre 1999 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che “l'Irap ... potrebbe incidere su contribuenti

che non hanno prodotto alcun reddito imponibile” e che “l'art 4 ... sarebbe a sua volta in contrasto con l'art. 53 della Costituzione, in quanto assume come indice di capacità contributiva non il reddito ma l'attività produttiva in sé, e cioè una mera potenzialità di capacità contributiva”. Più avanti si

afferma che il contrasto col principio di capacità contributiva starebbe in ciò che l'Irap colpisce “non già il risultato finale dell'attività professionale o d'impresa, bensì un valore intermedio

del tutto svincolato dal risultato finale ...”. Talché “il contribuente verrebbe tassato secondo il rimettente non in base alla sua effettiva disponibilità economica ma ad una redditività che potrebbe rivelarsi fittizia”.

158 dunque, non ha alcun senso fondare le censure di incostituzionalità dell'Irap su argomentazioni di tipo “reddituale”(313).

Ed infatti, se presupposto dell‟imposizione è lo svolgimento abituale di un‟attività produttiva autonomamente organizzata e la ricchezza colpita dal tributo è il valore della produzione netta, quello che bisogna chiedersi è se il valore della produzione netta, quale manifestazione di forza economica, possa apprezzarsi come indice di attitudine alla contribuzione: possa cioè ragionevolmente assurgere a misura dell'idoneità del soggetto a far fronte all'obbligazione impositiva, ovvero, alternativamente, sia esso stesso atto a consentire al contribuente di far fronte al prelievo impositivo che vi si correla (secondo l'impostazione tradizionale della dottrina)(314).

Chiedersi se esista o meno reddito per far fronte al prelievo Irap e far dipendere da tale risposta la legittimità costituzionale del tributo non è pertinente visto che l'Irap non è un'imposta sul reddito(315). È dunque

(313) Rileva sul punto la Castaldi che a precisazione - sebbene possa sembrare ovvia - si rivela decisiva per riportare su binari concettualmente corretti la riflessione sviluppatasi attorno a questo controverso tributo. Invero, se si ha cura di leggere l'intero corpo della sentenza, ci si avvede che - sottilmente latente ma profondamente permeante l'impianto argomentativo delle ordinanze di remissione - serpeggia una sorta di “pregiudiziale reddituale”. Cfr. CASTALDI L., Considerazioni a margine della sentenza n.

156 del 2001 della Corte Costituzionale, op. cit., pag. 856.

(314) Cfr. CASTALDI L., Considerazioni a margine della sentenza n. 156 del 2001 della

Corte Costituzionale, op. cit., pag. 856.

(315) Più critico nei confronti della sentenza, BASILAVECCHIA M., Sulla

costituzionalità dell‟Irap, un‟occasione non del tutto perduta, op. cit., pag. 292, secondo il quale,

la Consulta avrebbe operato una semplificazione eccessiva, sdrammatizzando il dato normativo e rinvenendo il dato decisivo nella “economicità” dell‟oggetto della tassazione. Si è così pervenuti, secondo l‟Autore, ad una conclusione elusiva del vero problema che le questioni ponevano, ovvero la problematicità di un tributo che consapevolmente disegna presupposto e base imponibile in modo da sottoporre a tassazione anche organismi in perdita. Pertanto, anziché operare una scelta di campo che ammettesse la rilevanza di fatti indice non direttamente espressivi di ricchezza, la Corte ha apoditticamente affermato, ma non esaustivamente spiegato, che ricchezza tassabile nell‟Irap c‟è, ma si è ben guardata dal definirla a livello teorico; invano quindi si cercherà nella sentenza una più precisa determinazione del valore della produzione, e del perché esso sia legittimamente utilizzabile quale fatto espressivo di capacità contributiva. Nello stesso si è espresso Batistoni Ferrrara, il quale pur condividendo il “salvataggio” dell‟Irap da parte della Corte, afferma non pare soddisfacente una

159 pienamente comprensibile e condivisibile la preoccupazione della Corte Costituzionale nel sottolineare la originalità e autonomia concettuale dell'imposta in discussione (e del suo presupposto) rispetto alle imposte sul reddito. Pertanto, in quest‟ottica vanno lette affermazioni come quella in cui, per esempio, si dice che “l‟imposta colpisce con carattere di realità, un

fatto economico, diverso dal reddito comunque espressivo di capacità di contribuzione”.

Sotto questo profilo, la sentenza consente allora di aggiungere un altro importante tassello al processo di ricostruzione del concetto di capacità contributiva: il rilievo economico del fatto tassabile non deve necessariamente abbinarsi alla sua idoneità a garantire in via diretta le risorse per sopportare il peso tributario: queste, infatti, possono in generale essere reperite attraverso la posizione di forza che il soggetto passivo assume nel mercato, in quanto gestore di un‟attività produttiva che coordina e raccorda diversi fattori economici.

Ulteriore affermazione che sembra degna di nota è quella volta a sciogliere l‟altra critica che veniva mossa all‟Irap, ovvero quella relativa alla circostanza che il prelievo sul valore aggiunto della produzione andasse a colpire una capacità contributiva diversa da quella propria del titolare dell‟attività produttiva (i.e. quella dei percettori della ricchezza

motivazione che vuole giustificarla in maniera eclettica riferendosi, da un lato, alla nozione di valore aggiunto (nel senso di obiettiva creazione di ricchezza nuova), da un altro alla nozione di organizzazione dei mezzi della produzione, da un altro ancora, all'imposizione su redditi prodotti presso il soggetto passivo e colpiti da imposta prima della loro distribuzione ai capitalisti e ai dipendenti e collaboratori che hanno messo il loro lavoro al servizio dell'imprenditore. Si tratta, a ben vedere, di un tentativo non troppo felice di richiamare le elaborazioni di parte minoritaria della dottrina intese a giustificare il tributo in base ad una nozione di capacità contributiva più ampia e forse divergente da quella tradizionale. Non può poi non apparire piuttosto sbrigativo limitarsi ad affermare che la scelta di elevare il valore aggiunto della produzione a presupposto del tributo rientri nella discrezionalità del legislatore, sindacabile solo sul piano della ragionevolezza e non arbitrarietà, con il rischio di svilire i canoni interpretativi che tradizionalmente presidiano il principio di capacità contributiva ed offrendo altresì il fianco a possibili obiezioni fondate sulla normativa comunitaria. Così BATISTONI FERRARA F., Prime impressioni sul salvataggio dell‟Irap, op. cit., pag. 860.

160 prodotta presso l‟impresa). Ebbene, afferma la Corte Costituzionale che l'Irap colpisce, con carattere di realità, un fatto economico diverso dal reddito (in specie, la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva) e che tale fatto economico è da considerarsi espressivo di capacità di contribuzione in capo a colui il quale è organizzatore dell‟attività giacché costui, proprio in forza di tale qualifica, è “autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione (soggettiva) della ricchezza prodotta”. Ciò, tuttavia, non significa affatto che la suddetta ricchezza, nella sua materialità, non possa ridondare successivamente a favore di altre sfere giuridiche soggettive, ma che, quando ciò accadrà, essa avrà perso la qualifica di valore aggiunto prodotto per assumere connotazioni ontologiche necessariamente diverse (di reddito, di entrata patrimoniale, eccetera)(316).

Logicamente coerente con tale premessa è la successiva affermazione della Consulta, secondo cui è “irrilevante ai fini della

valutazione della conformità dell'imposta ai principio di capacità contributiva ... la mancata previsione del diritto di rivalsa da parte del soggetto passivo dell'imposta stessa nei confronti di coloro cui pure il valore aggiunto prodotto è, pro quota, riferibile (e cioè i lavoratori ed i finanziatori)”. In altri termini, la Consulta sembra aver

voluto dire che il valore aggiunto prodotto è manifestazione di una capacità contributiva imputabile al solo organizzatore dell‟attività a prescindere da qualsivoglia meccanismo traslativo dell'imposta si voglia e si possa introdurre nella disciplina Irap. In questo contesto, infatti, qualunque fenomeno di traslazione dell‟onere economico del tributo per il tramite della rivalsa non assume alcun rilievo ai fini del giudizio di

(316) Cfr., CASTALDI L., Considerazioni a margine della sentenza n. 156 del 2001della

161 legittimità costituzionale della norma impositiva in quanto estraneo ad essa e agli effetti giuridici che ne scaturiscono.

La Corte, invece, non si è a sufficienza soffermata sulla possibilità di collegare il principio di capacità contributiva al criterio del beneficio; rimane quindi ancora in ombra il discorso, che in prospettiva potrebbe avere sviluppi interessanti, circa la ammissibilità di prelievi nei quali la capacità contributiva sia costituita non tanto da risorse di cui il soggetto gode, quanto dalla oggettiva causalità tra attività svolte dal soggetto passivo e costi arrecati alla collettività. Tale giustificazione del prelievo - come evidenziano i citati sviluppi degli studi sul concetto di capacità contributiva (cfr. par. 1) - non potrà non essere valorizzata in un immediato futuro, tanto più che nell'Irap potrebbe essere attribuito a tale aspetto un ruolo non secondario nella stessa individuazione del presupposto tassabile.

In conclusione, sembrerebbe che dalla pronuncia in commento possa essere colto, quale unico punto fermo, il ruolo che ancora la Corte ha mostrato di voler assegnare alla misurabilità in termini economici del presupposto e della base imponibile prescelti; quest‟ultimo riferimento rimane oggi, a stare alla sentenza, l‟unico limite che deve porsi al legislatore nell'immaginare forme di prelievo atipiche, unitamente alla consapevolezza della ricaduta della tassazione su soggetti dotati della forza organizzativa necessaria a sostenerla317.

5. La “differente capacità contributiva” di banche e