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Il divieto autodisciplinare della pubblicità ingannevole Finora si è parlato della disciplina statuale della pubblicità ingannevole, ma,

PARTE I - La disciplina della pubblicità ingannevole

2.3. Il divieto autodisciplinare della pubblicità ingannevole Finora si è parlato della disciplina statuale della pubblicità ingannevole, ma,

come anticipato, questo fenomeno è regolato a livello autodisciplinare fin dall’epoca del Codice di Lealtà Pubblicitaria, la cui prima edizione risale al 1966.

Ad oggi, il divieto di pubblicità ingannevole è contenuto nella prima parte dell’art. 2 del Codice di Autodisciplina, che prevede che «la comunicazione commerciale deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, il prezzo, la gratuità, le condizioni di vendita, la diffusione, l'identità delle persone rappresentate, i premi o riconoscimenti».

A prima vista, sembrerebbe che la norma contempli come destinatari della comunicazione commerciale ingannevole solamente i consumatori propriamente detti. Tuttavia, si ricorda quanto emerso in sede di analisi degli elementi essenziali della nozione di “pubblicità” (supra §1.5.b)), ove era stato specificato che il Giurì adotta un significato ampio del termine “consumatore”, nel quale rientrano altresì

110 Addirittura, l’AGCM ha affermato in diverse occasioni che «il potenziale pregiudizio per i concorrenti è in re ipsa: è indubbio che essi potrebbero risentire dello sviamento della clientela provocato dall’errore in cui dovessero incorrere i destinatari al momento di orientare le proprie scelte, a scapito di eventuali soluzioni alternative». Così AGCM nn. 20490 in Boll. 47/2009, 17232 in Boll. 33/2007, 16786 in Boll. 17/2007.

i rivenditori o intermediari commerciali ai quali sia diretto un certo messaggio.

Peraltro, la legittimazione a richiedere l’intervento del Giurì è riconosciuta a

«chiunque ritenga di subire pregiudizio da attività di comunicazione commerciale contrarie al Codice di Autodisciplina»111, e quindi tanto ai consumatori (di qualsiasi natura), quanto ai concorrenti. Pur in mancanza di dottrina che si esprima sul tema, chi scrive ritiene che anche in ambito autodisciplinare tale pregiudizio non debba necessariamente concretarsi in un danno economico, potendo questo essere anche solo potenziale112.

Da una lettura organica del Codice, è possibile notare che questa norma esprime il principio cardine del sistema autodisciplinare113 e che tale regola generale viene poi specificata dalle norme successive con riferimento a determinati aspetti della comunicazione commerciale o a particolari tipi di prodotti o servizi.

In particolare, sono rilevanti l’art. 6 C.A., che sancisce il c.d. “principio di verità”, in base al quale chiunque si valga di una pubblicità deve poter dimostrare la veridicità delle informazioni ivi contenute pena presunzione di falsità114, e l’art. 7 C.A., che codifica il principio di trasparenza (infra §2.4.).

Alcuni dei criteri utilizzati dal Giurì nella valutazione di decettività del messaggio coincidono con quelli analizzati nei paragrafi precedenti. In particolare, lo stesso art. 2 C.A. menziona le omissioni e le ambiguità come modalità di perpetrazione dell’inganno, esclude le esagerazioni iperboliche dall’ambito di applicazione del divieto ed elenca una serie di informazioni rilevanti sulle quali è particolarmente importante che il consumatore non cada in errore115. Inoltre, la

111 Art. 36 Codice di Autodisciplina.

112 A supporto si veda Giurì n. 12/2016, che afferma che non «rileva che le istanti – come osserva la difesa della resistente – abbiano inteso proteggere la propria posizione sul mercato, circostanza indifferente nell’attuale sede, o non abbiano precisato “in che cosa consista il pregiudizio” da loro asseritamente subito. Se è vero che il pregiudizio economico (come afferma anche l’art 20 del Codice del consumo) è uno dei presupposti per valutare la meritevolezza del messaggio, trattasi tuttavia di un danno potenziale connesso all’idoneità del messaggio ingannevole a influenzare le scelte del consumatore, pregiudicando, di conseguenza, anche i concorrenti». Anche in questo caso, dunque, si tratta di un illecito di pericolo.

113 Ciò è evidenziato da M. FUSI, La comunicazione pubblicitaria, cit., pp. 350 ss. Per la giurisprudenza, si vedano, ex multis, Giurì nn. 110/2004, 104/2002.

114 In particolare, «le regole di verità valgono per ogni tipo di pubblicità, quale che sia il prodotto e quali che ne siano le modalità di commercializzazione» (ex multis, Giurì n. 9/1980). Di questa disposizione si era parlato in tema di inversione dell’onere della prova (supra §1.7.3.b)), essendo l’inserzionista tenuto ad assolvere a tale obbligo su richiesta del Giurì o del Comitato di Controllo.

115 Elenco che, in virtù dell’espressione «specie per quanto riguarda», non deve ritenersi tassativo.

Anche in questo caso, dunque, la disposizione individua un illecito a forma libera.

seconda parte della norma sancisce espressamente che «nel valutare l’ingannevolezza della comunicazione commerciale si assume come parametro il consumatore medio del gruppo di riferimento», mentre l’art. 16 C.A. codifica il principio di variabilità116. A ciò si aggiunga che, così come è stato più volte affermato dall’AGCM, anche il Giurì ritiene «irrilevante l’animus dell’autore della comunicazione commerciale»117.

Tuttavia, vi sono anche dei principi di elaborazione giurisprudenziale che costituiscono una novità rispetto a quanto visto finora. In virtù di uno di questi, ad esempio, «il divieto di ingannevolezza è assoluto e non subisce temperamenti per effetto di rettifiche contenute nell’annuncio, che non escludono l’efficacia decettiva del “primo aggancio”»118. Vige, infatti, il c.d. “principio di autosufficienza informativa”, in forza del quale il messaggio pubblicitario deve soddisfare un certo grado di completezza e non può rimandare la specificazione di eventuali limitazioni essenziali a fonti esterne o a comunicazioni successive119. Detto ciò, tale principio deve essere contemperato con l’altro che prescrive che «il messaggio deve essere valutato nella sua interezza e quindi non isolando affermazioni che, di per sé e avulse dal contesto generale, potrebbero essere inveritiere»120.

Potendo ritenere conclusa la sezione dedicata alla definizione giuridica e autodisciplinare del fenomeno della pubblicità ingannevole in generale, è ora possibile procedere con l’analisi di una delle forme più problematiche che essa può assumere, ossia quella della “pubblicità occulta” o “nascosta”.

116 Contenuto anche nell’art. 22 cod. cons. (supra §2.2.3.a)).

117 Giurì n. 20/2016. Così anche Giurì nn. 80/2001, 108/2000.

118 Giurì n. 12/2016. Si vedano anche Giurì nn. 58/2012, 62/2012, 94/2011, 121/2010. Tra l’altro, il momento del primo aggancio, equivalente al “primo contatto” visto sopra (§2.2.3.b)), è anche quello in cui «l’inserzionista è comunque indebitamente avvantaggiato dalle informazioni ingannevoli trasmesse al consumatore al momento del primo approccio» (Giurì n. 64bis/2015).

119 Così, tra le molte, Giurì nn. 134/1992, 21/1985 9/1982, 46/1981.

120 M.FUSI -P. TESTA, Diritto e pubblicità, cit., p. 64. Sul punto, si vedano Giurì nn. 19/2010, 85/1994, 29/1989, 134/1988, 34/1985, 20/1984. In particolare, devono essere prese in considerazione le note e precisazioni (c.d. “super”) che offrono informazioni integrative. In base a quanto riportato da G.DE CRISTOFARO, Diritto della pubblicità, cit., pp. 62-63, il super, per essere accettabili, devono soddisfare i seguenti requisiti: la grafica deve essere leggibile, il tempo di permanenza sullo schermo deve essere sufficientemente lungo da permetterne la lettura e devono essere evitati il

“sovraffollamento” di informazioni e la concentrazione di scritto e parlato insieme.