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L’evoluzione della disciplina: dalla carenza legislativa all’attuazione delle direttive comunitarie

PARTE I - La disciplina della pubblicità ingannevole

2.2. Il divieto legislativo della pubblicità ingannevole

2.2.1. L’evoluzione della disciplina: dalla carenza legislativa all’attuazione delle direttive comunitarie

Un tempo non esisteva una normativa mirata a reprimere l’inganno pubblicitario in generale: in virtù di alcuni interventi legislativi realizzati a partire dal periodo fascista, essa era stata affidata a previsioni sparse del Codice civile e penale11 e a leggi settoriali d’impronta pubblicistica che, regolando la pubblicità di

9 M.FUSI -P.TESTA, Diritto e pubblicità, cit., p. 58.

10 Ivi, pp. 58, 298.

11 In particolare, gli artt. 513 (Turbata attività dell’industria o del commercio), 515 (Frode nell’esercizio del commercio), 516 (Vendita di sostanze genuine come non genuine), 517 (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci), 640 (Truffa) c.p..

specifici prodotti, vietavano anche quella ingannevole12. Tuttavia, al di fuori di tali settori merceologici, ed esclusa l’ipotesi di reato, l’unico strumento per contrastare la pubblicità ingannevole era quello, di natura privatistica, riconducibile alla concorrenza sleale. In particolare, si faceva leva sull’art. 2598, n. 3 c.c., in base al quale «compie atti di concorrenza sleale chiunque […] si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda». L’applicazione di questa norma, però, non offriva uno spettro di tutela sufficientemente ampio, essendo i relativi rimedi riservati ai soli concorrenti e alle loro associazioni e, quindi, fuori dalla portata dei consumatori13.

Sull’inadeguatezza di questo sistema la dottrina non ha mancato di esprimersi14. Degna di nota è, in particolare, la posizione di un autorevole studioso, il quale, nel 1970, descriveva le norme in materia di comunicazione pubblicitaria come «a tal punto eterogenee, frammentarie ed episodiche da non rappresentare neppure l’embrione di una disciplina giuridica organica e razionale»15. L’irrazionalità di tale sistema aveva così determinato il contestuale insorgere di due esigenze: da un lato, quella di colmare i vuoti legislativi e, dall’altro, quella di coordinare l’esistente “mosaico di norme”. In sostanza, già allora la necessità di un cambiamento d’assetto era più che mai pressante16.

12 Tra le norme settoriali, si ricorda, tra le molte, l’art. 51 R.D.I. del 15 ottobre 1925, n. 2033 in materia di prodotti alimentari, che vietava di offrire in vendita prodotti agricoli «adottando nomi impropri non rispendenti alla natura della merce o tali da sorprendere la buona fede o da indurre in errore gli acquirenti circa la natura della merce stessa».

Tra quelle emanate nel dopoguerra, si vedano art. 10 l. 10 aprile 1954, n. 125, recante “Tutela delle denominazioni di origine e tipiche dei formaggi”; art. 13 l. 30 aprile 1962, n. 283, recante “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”; art. 7 l. 23 febbraio 1968, n. 116, recante “Disciplina della produzione e del commercio degli sciroppi e delle bevande a base di mandorla”.

Tra le più recenti, riveste particolare importanza il d.lgs. 15 marzo 2010, n. 44, recante “Attuazione della direttiva 2007/65/CE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive”, di modifica al d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177, recante “Testo unico dei servizi di media audiovisivi e Radiofonici”.

13 Sul punto si sono espressi E.APA, La pubblicità commerciale, cit., p. 248; P.AUTERI, La disciplina della pubblicità, cit., p. 427; L.PRINCIPATO, La pubblicità commerciale, cit., pp. 209 ss.

14 Cfr. M.FUSI, La comunicazione pubblicitaria, cit., pp. 373 ss.; G.GHIDINI, Introduzione allo studio della pubblicità commerciale, Giuffrè, Milano, 1968, pp. 11 ss; A.VANZETTI, La repressione della pubblicità menzognera, in Riv. dir. civ., 1964, pp. 608 ss.

15 M.FUSI, La comunicazione pubblicitaria, cit., p. 373.

16 Ivi, p. 374.

A tale mancanza aveva parzialmente supplito il sistema autodisciplinare, che già all’epoca del Codice di Lealtà Pubblicitaria aveva codificato il divieto di pubblicità ingannevole17. Ciononostante, permaneva l’esigenza di disciplinare il fenomeno della pubblicità decettiva a livello di normativa statale.

Considerando il numero di interventi legislativi che si sono susseguiti e la complessità dell’impianto normativo che ne è derivato, si ritiene opportuno anteporre all’analisi delle varie misure adottate in materia di pubblicità ingannevole (e non solo) uno schema di quelle di maggior rilievo18 al fine di facilitarne la comprensione.

(i) D.lgs. n. 74/1992

(Attuazione direttiva 84/450/CEE)

Divieto generale di pubblicità ingannevole e, dal 2000, comparativa illecita.

(ii) Artt. 19-27 Codice del consumo

Divieto generale di pubblicità ingannevole e comparativa illecita.

(iii) D.lgs. n. 145/2007 o Decreto sulla pubblicità ingannevole

(Attuazione direttiva 2006/114/CE) Divieto di pubblicità ingannevole e comparativa illecita a tutela degli interessi dei professionisti.

+ D.lgs. n. 146/2007, che ha introdotto i nuovi artt. 18-27 Codice del consumo (Attuazione direttiva 2005/29/CE) Divieto di pratiche commerciali scorrette, articolate in pratiche commerciali ingannevoli e aggressive, a tutela degli interessi dei consumatori.

Fig. 1.

Il primo intervento degno di nota è il d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 (punto (i) Fig. 1), con cui l’Italia ha dato attuazione alla direttiva 84/450/CEE19 finalizzata all’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole. Tale provvedimento, sancendo un divieto generale di pubblicità ingannevole per qualsiasi prodotto o servizio, a prescindere dal mezzo utilizzato, è

17 Ad oggi, il divieto è contenuto nell’art. 2 Codice di Autodisciplina (infra §2.3.).

18 Con lo sfondo bianco, le disposizioni abrogate (d.lgs. n. 74/1992) o non più in vigore (artt. 19-27 cod. cons. prima delle modifiche attuate dai d.lgs. nn. 145 e 146/2007); con lo sfondo grigio, le disposizioni vigenti; tra parentesi, le direttive comunitarie di cui i decreti costituiscono attuazione.

19 Direttiva 84/450/CEE del Consiglio, del 10 settembre 1984, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole.

stato il primo a introdurre nel nostro ordinamento – seppur con qualche anno di ritardo rispetto agli altri Stati membri – una disciplina a tutela non solo dei professionisti, ma anche dei consumatori e della collettività nel suo complesso20. Così facendo, è stata assicurata «la repressione della pubblicità ingannevole, nell’interesse generale e in quello di tutte le categorie di soggetti presenti sul mercato, sul presupposto – accolto dalle premesse della direttiva CEE 84/450 – che la pubblicità ingannevole possa avere effetti distorsivi della concorrenza e dunque pregiudicare sia gli interessi economici dei consumatori, sia quelli dei professionisti»21. Poco tempo dopo, il d.lgs. n. 67/2000 di attuazione della direttiva 97/55/CE22 ha modificato il d.lgs. n. 74/1992, estendendone l’ambito applicativo alla regolamentazione della pubblicità comparativa.

Come già detto (supra §1.4.2.), il d.lgs. n. 74/1992 ha altresì attribuito all’AGCM23 il compito di reprimere, su segnalazione dei soggetti legittimati24, la pubblicità ingannevole e, in seguito alla novella del 2000, la pubblicità comparativa illecita. In particolare, la violazione dei relativi divieti era sanzionata con l’ordine di cessazione della pubblicità esaminata e la proibizione di riprenderla in futuro, cui poteva eventualmente aggiungersi l’ulteriore obbligo di pubblicazione della decisione o di apposita dichiarazione rettificativa. Integrando tale impianto

20 In base all’art. 2, co. 1, lett. b) d.lgs. n. 74/1992, ora abrogato, «per "pubblicità ingannevole", [si intende] qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente».

21 L.C.UBERTAZZI, Commentario breve, cit., p. 2809.

22 Direttiva 97/55/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 6 ottobre 1997, che modifica la direttiva 84/450/CEE relativa alla pubblicità ingannevole al fine di includervi la pubblicità comparativa.

23 L’art. 4 della direttiva 84/450/CEE lasciava gli Stati membri liberi di scegliere se attribuire la competenza a reprimere la pubblicità ingannevole ad organi giurisdizionali ovvero amministrativi.

Dopo un’intensa discussione in sede legislativa, la scelta ricadde sull’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, istituita due anni prima con la l. n. 287/1990. Infatti, come riporta V.

MELI, La repressione della pubblicità ingannevole, cit., p. 104, «il sovraccarico di lavoro e la conseguente cronica lentezza della macchina giudiziaria italiana non garantivano la soddisfazione di quelle esigenze di celerità che deve necessariamente presiedere all’organizzazione di un sistema di controllo della pubblicità». Si noti che, nonostante molti Paesi europei che avevano già implementato la direttiva avessero favorito l’alternativa dell’autorità giudiziaria, l’Italia ha optato per un modello che, più di tutti, si avvicina a quello statunitense, dove la competenza di cui si sta discutendo è affidata alla Federal Trade Commission (FTC).

24 Vale a dire «i concorrenti, i consumatori, le loro associazioni ed organizzazioni, il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, nonché ogni altra pubblica amministrazione che ne abbia interesse in relazione ai propri compiti istituzionali» (art. 7, co. 1 d.lgs. n. 74/1992). Si evidenzia il fatto che all’epoca l’Autorità non poteva agire d’ufficio.

sanzionatorio, la l. 6 aprile 2005, n. 49 (c.d. legge Giulietti)25 ha successivamente conferito all’Autorità il potere di comminare anche una sanzione amministrativa pecuniaria nella misura da 1.000 euro (25.000 euro nel caso di messaggi pubblicitari ingannevoli su prodotti pericolosi o pubblicità diretta a bambini e adolescenti) a 100.000 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione.

Terminata questa fase di “creazione del diritto”, il legislatore ha, in un primo momento, intrapreso un’opera di riorganizzazione della normativa. In particolare, in forza della delega26 per il riassetto delle disposizioni in materia di tutela dei consumatori, nel 2005, il d.lgs. n. 74/1992 è stato trasposto all’interno del Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005), andando ad occupare gli artt. dal 19 al 27 (punto (ii) Fig. 1). In questo caso, il mutamento di sede non ha determinato una modifica sostanziale del contenuto normativo27.

Viceversa, il successivo intervento legislativo, di adeguamento al diritto comunitario, ha provocato un radicale cambiamento nell’assetto normativo nazionale in materia pubblicitaria (punto (iii) Fig. 1).

2.2.2. I decreti legislativi del 2007 e i rispettivi campi di