• Non ci sono risultati.

Secondo il giurista Lawrence Douglas uno dei primi esempi della crisi della rappresentazione che investe lo spazio dell’Olocausto è costituito dai contrasti emersi negli oggetti – tra cui la cosiddetta “testa ridotta di Buchenwald” – convocati e utilizzati come prove durante il Processo di Norimberga. In un saggio pubblicato su «Representation» (la rivista fondata da Stephen Greenblatt) intitolato The

Shrunken Head of Buchenwald: Icons of Atrocity at Nuremberg78, Douglas ripercorre la carriera processuale di questo macabro reperto introdotto nel processo dai rappresentanti americani dell’accusa, per mostrare come il suo utilizzo si sia consumato nell’ambito di una precisa funzione simbolica, anziché esclusivamente probatoria. Esibita per la prima volta il 13 dicembre 1945 e identificata come reperto USA-254 fu così descritta dal corrispondente da Norimberga del «Times» di Londra: «Quando il campo di

77 P. Bertetto, Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo diventato

favola, Milano, Bompiani, 2007, p. 112.

78 Cfr. «Representations 63», Estate, 1998, pp. 29-6, poi B. Zelizer (a cura

di) Visual Culture and Holocaust, Arthlon Press, London, 2001, pp. 275-99; tr. it., Storia della Shoah Vol. III. Riflessioni, luoghi e politiche della memoria, cit., 525-550. Vedi anche L.Douglas, The Memory of Judgment: Making Law and

Buchenwald fu invaso dalle truppe alleate molti non vollero credere ai resoconti del sadismo praticato in quel luogo (…) ma in quell’aula di tribunale era stata mostrata la prova: la testa imbalsamata di un polacco impiccato, la quale, dopo che le ossa del cranio erano state rimosse, era stata ridotta alle dimensioni di un pugno»79.

Com’è noto il Processo di Norimberga costituisce una sfida decisiva per la giurisprudenza internazionale (e per la stessa filosofia del diritto) che trova nella formulazione del concetto di crimine contro l’umanità quella innovazione del linguaggio utilizzata qui per condannare e giudicare gli atti criminosi compiuti dai nazisti. Tuttavia quel che in questo caso ci interessa è evidenziare il modo in cui per la giurisprudenza liberale la “testa ridotta” di Buchenwald potesse essere funzionale a mostrare la natura primitiva e barbarica del crimine nazista, più che la sua dimensione industriale, scientifica e moderna. L’atroce reperto si costituisce infatti come quel simbolo che incarna la natura atavica e primitiva della barbarie nazista e che riveste dunque un ruolo diverso rispetto all’altro campo dell’oggettistica dello sterminio (i barattoli di Zyklon B, la massa di occhiali e scarpe, ecc…) in cui si esprime piuttosto il modello burocratico e metodico del crimine dei nazisti. Anche se l’accusa presentava le prove dello sterminio avvenuto nelle fabbriche della morte, la testa di Buchenwald suggeriva che la differenza tra forme di omicidio convenzionali e reati contro l’umanità non stava nel calcolo numerico delle persone uccise, ma nella perversa connessione con un rigurgito di pratiche primitive nel cuore

79 Cit. in L. Douglas, The Shrunken Head of Buchenwald: Icons of Atrocity at

della colta Europa del XX secolo. Se il concetto di civiltà occidentale impallidiva di fronte alla funzionale modernità della camere a gas, l’uso giuridico della testa serviva insomma a rafforzare per opposizione l’idea di una pratica civile intesa come quella fonte di legalità da cui la civiltà poteva identificare e rimuovere i suoi impulsi barbarici. È in questo senso che la testa ridotta si presenta come la materializzazione di una tesi giuridica (l’assenza di primato della legge) cosi che, come nota Douglas, nei libri che ne danno notizia essa appare priva di alcun ferimento testuale alla sua rilevanza o funzione probatoria. In Tyranny on Trial, ad esempio, possiamo vedere una fotografia di Thomas J. Dodd, assistente del pubblico ministero a Norimberga, che si fa ritrarre nell’atto di contemplare la testa tra le mani, nella ben nota posa con cui Amleto tiene il teschio di Yorick80. Lo sconcerto del diritto di fronte alla camere a gas e alla deportazione di massa venne dunque contrastato, secondo Douglas, con «un’immagine di atrocità familiare alla giurisprudenza liberale, in particolare in relazione alla concezione del diritto inteso quale baluardo della civiltà contro la barbarie»81, e tuttavia anche offerto alla visione del pubblico in un modo che sembra soddisfare più un morboso voyeurismo più che il chiarimento di colpe e responsabilità giuridiche:

Che i trofei di guerra degli Jivaro potessero essere considerati artefatti idonei all’esposizione in un museo di Oxford (le teste sono tuttora in mostra e le cartoline che le riproducono sono in vendita presso il negozio di

80 W. R. Harris, Tyranny on Trial: The Trial of the Major German War

Criminals at the End of the Word War II at Nuremberg, Germany 1945-1946,

Southern Methodist University Press, Dallas, 1954.

81 L. Douglas, The Shrunken Head of Buchenwald: Icons of Atrocity at

souvenir del museo) mentre la testa ridotta di

Buchenwald dovesse essere vista come un oggetto spaventoso e rivoltante, ha una spiegazione piuttosto ovvia: il tribunale di Norimberga non si aspettava certo di scoprire che i cittadini europei del XX secolo riducessero le teste di altri europei loro contemporanei. Quella che poteva essere ritenuta una pratica “naturale” in una popolazione “primitiva” appariva terrificante se messa in atto da un popolo occidentale moderno […] Come è stato sottolineato da studiosi come Tzevan Todorov ed Edwaird Said, il nostro concetto di civiltà può essere spiegato nei termini della distanza che abbiamo messo tra noi e certe pratiche primitive, quali per esempi la riduzione di una testa; una distanza che i musei, come il Pitt Rivers di Oxford salvaguardano (e forse involontariamente decostruiscono, giacché il visitatore consapevole può riflettere sulla sensibilità che aborrisce la pratica di ridurre le teste, ma al contempo ne ammette l’esibizione e dunque la visione)82.

Oggi questo reperto non è più considerato il simbolo della crudeltà dello sterminio nazista, e negli anni successivi a Norimberga ebbe ancora un breve carriera di prova ad effetto in altri processi per crimini di guerra, per poi infine scomparire del tutto, prima che si decidesse o meno di trovargli un posto nelle collezioni dello Smithsonian (si ipotizza, secondo Douglas, che attualmente si trovi nelle mani di un collezionista privato). Ma com’è noto tra gli altri celebri, quanto macabri, reperti mostrati al processo – in questo caso dal rappresentante sovietico dell’accusa, L. N. Smirnov – vi fu un pezzo di sapone presumibilmente prodotto con grasso umano. Nonostante oggi gli storici siano piuttosto concordi sul fatto che quello mostrato da Smirnov fu un comune sapone da bucato, e che in ogni caso non siano mai state trovate prove convincenti sul

fatto che i nazisti ricavassero sapone dal grasso umano, nel ragionamento di Douglas il sapone svolge nel contesto del processo una funzione radicalmente

diversa da quella della testa ridotta di Buchenwald,

poiché esso per così dire scuote la nostra idea di civiltà

dall’interno. Qui l’effetto di terrore è prodotto insomma

dall’atto di esibire non solo la dimensione industriale del crimine, ma precisamente la sua integrazione normalizzante nel prodotto per eccellenza incompatibile con la logica barbarica. «Nel sapone», scrive Douglas, «tutti vediamo una metafora potente della civiltà stessa, un prodotto tangibile della civiltà sulla

contaminazione e l’escremento. La letteratura

psicoanalitica e antropologica sull’argomento è moto vasta, e forse sarà sufficiente qui riportare una famosa affermazione di Freud, secondo il quale, l’idea di

ravvisare nell’uso del sapone un effettivo metro di valutazione della civiltà non ci stupisce»83.

La patologia evocata chiama qui insomma in causa la condizione normale della società, secondo una interpretazione dell’Olocausto che va da Hanna Harendt alla sociologia di Zigmunt Bauman, incentrata vale a dire sul rilievo della dimensione burocratica del nazismo quale esito affatto improbabile della logica della modernità84. Dunque il tramonto di questi due reperti dalle rappresentazioni dell’Olocausto ci ricorda innanzitutto la ovvia storicità di ogni iconografia delle atrocità e degli scopi a cui essa può o deve piegarsi.

83 Id., p. 540. Il riferimento è a S. Freud, Das Unbehagen in der Kultur

(1929); tr. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1971.

84 Z. Bauman, Modernity and the Holocaust, Blackwell, Oxford, 1989; tr .it, Il

Tuttavia le vicende di questi reperti collocati all’incrocio tra materializzazione giuridica, funzione pedagogica e

efficacia spettacolare, annunciano in un certo senso le

controversie e l’impossibilità stessa di figurare in un

solo linguaggio simbolico il particolare orrore delle

atrocità naziste. Il contrasto sorto tra gli oggetti mostrati a Norimberga (il simbolismo della violenza primitiva incarnato dalla testa, il trionfo grottesco della

logica produttiva e dell’efficienza economica

simboleggiata invece dallo Zyklon B o dai binari che portano ai campi, e infine l’integrazione normalizzante del crimine nella macabra quotidianità del sapone) definiscono già la dispersione di uno spazio rappresentativo che può includere e mobilitare l’impulso pedagogico come quello voyeuristico e spettacolare. Come afferma Barbie Zelizer nell’introduzione a Visual

Culture and Holocaust, l’ossessione rappresentativa

dell’Olocausto è infondo la conferma che anche di fronte ad una radicale messa in crisi della nostra civiltà, il primato assegnato alla visione dalla tradizione filosofica ed epistemologica occidentale, inteso come il primo grado di conoscenza, non può essere rimosso. Per questo «i modi in cui l’Olocausto è visualizzato sono divenuti un concreto corollario per la nostra comprensione dei suoi significati»85. Ma proprio per lo stesso motivo i dibattiti sull’Olocausto possono essere studiati e interrogati collocandosi al di là del paradigma

che privilegia l’aspetto fattuale delle sue

rappresentazioni, occupandosi piuttosto dei codici

85 B. Zelizer, Introduction: On Visualizing the Holocaust, in Id (a cura di),

attraverso cui differenti modi di visualizzare e rappresentare i suoi significati storici e culturali sono stai indipendentemente convocati e messi in forma.