Capitolo 5: LA CASA E IL MONDO
5.2 La domus bengalese
La casa e la famiglia bengalese così come descritte nell'etnografia ricordano per molti aspetti la domus degli immigrati italiani raccontata da Orsi. Al pari di quella italiana, anche la domus bengalese trova infatti il suo fondamento nei valori della famiglia, della casa, del rispetto per i
genitori, dell'ospitalità.
La famiglia è risultata essere, in primo luogo, quella nucleare costituita da coniugi e figli, le prime persone a cui si guarda, quelle con e per cui si vive il presente e si progetta il futuro. Avendo scelto di vivere la migrazione tutti insieme – e si è visto come non per tutti sia così109 – i miei
interlocutori si preoccupano di come ottenere il massimo dall'esperienza italiana: mariti e mogli cercano migliori opportunità lavorative, nonostante la crisi economica in corso, e sono intenzionati ad assicurare anche ai figli le migliori prospettive possibili: così, Antonio e Nadia scelgono l'Inghilterra per cercare un presente più confortevole e garantire un avvenire migliore ai figli; Vittorio e Rachele negoziano assieme a Tommaso e Tania il loro stare in Italia, gli investimenti da fare in termini di lavoro ed educazione dei figli, le prospettive possibili all'estero, Canada in primis; Enrico ed Elena pensano a come poter vivere al meglio in Italia, valutando la possibilità di aumentare il reddito familiare con un'attività lavorativa per la moglie o eventualmente iniziando un'attività in proprio a Venezia; Irene e Mario si muovono soprattutto in funzione della figlia e del suo essere radicata in Italia; Daniela e il marito tengono stretti i vantaggi economici e di status che derivano dal loro lavoro, che assicura, almeno per ora, una vita tranquilla. Non si deve scordare che i miei interlocutori non hanno bisogno di occuparsi delle rispettive famiglie d'origine, le quali sono autosufficienti da un punto di vista economico. Poter progettare e pensare alla propria famiglia nucleare è possibile anche e, forse, soprattutto per questo.
Se la domus si costruisce innanzitutto attorno al ristretto nucleo familiare, non è però limitata e chiusa in se stessa. L'ospitalità è un modo per includere gli outsider, per intraprendere la conoscenza reciproca e coltivare le relazioni, soprattutto all'interno della collettività bengalese di Mestre. E i valori della domus sono condivisi con gli ospiti, prima di tutto attraverso il cibo e la convivialità. Le feste a cui si invitano amici e conoscenti rappresentano il momento in cui la
109 Si è accennato al fatto che non tutti i bengalesi scelgono di ricongiungere la famiglia in Italia. C'è poi chi affronta la
crisi economica attuale rinunciando all'unità familiare e rimanda in patria moglie e figli, oppure decide per un ritorno definitivo in Bangladesh (cfr. infra cap.4 nota n. 108, Boscolo Fiore 2011 e Della Puppa 2012:315-318). Le famiglie da me conosciute hanno invece scelto di continuare a stare unite in bidesh, nonostante le maggiori difficoltà e incertezze economiche, almeno per ora.
famiglia dispiega la sua ospitalità al massimo grado. Naturalmente, quando un rapporto si interrompe, anche la casa si chiude ed esclude dalla sua moralità le persone indesiderate. Così è successo quando si sono incrinate le relazioni tra Daniela e Rachele o tra Irene ed Elena.
Anche gli spazi pubblici sono contesti in cui si riconoscono i valori della domus: negli incontri tra donne al parco cittadino o ai corsi di italiano si condividono il rispetto per la famiglia e per la casa, si crea intimità, occasioni di supporto, e controllo, reciproco. Lo stesso avviene nei luoghi di lavoro o per le strade tra uomini. Nel corso dell'esposizione etnografica si è accennato ad alcuni episodi che parlano del controllo sociale e del ruolo giocato in questo senso dalla collettività dei connazionali. Come per gli italiani ad Harlem, anche i miei interlocutori si preoccupano della propria reputazione (Irene non vuole far sapere di essere alla ricerca di lavoro; Vittorio si preoccupa di come la moglie esce vestita per strada). Questo controllo è allo stesso tempo poco gradito, se non criticato. Con Orsi (2002:92, traduzione mia) si può commentare che proprio “tutto questo [assicura] che gli standard e i valori della domus [siano] mantenuti anche nelle strade”.
Negli spazi pubblici si realizza inoltre non solo il confronto con i connazionali, ma anche quello con “gli italiani”. Da qui la possibilità di espandere ancor di più la domus, di presentare la sua moralità e di includere altri spazi in una familiarità che permette di sentirsi a casa.
La domus bengalese non si esaurisce però nella sfera domestica e in quegli spazi pubblici “italiani” dove riesce a costruire familiarità. Essa espande il suo spazio di esperienza verso la famiglia estesa che si trova lontano, in altri continenti e paesi. La famiglia allargata è essa stessa uno dei valori centrali attorno ai quali si costruisce il senso delle cose. La domus bengalese è dunque fondamentalmente transnazionale e i suoi valori sono confrontati e sostenuti nella più ampia rete della famiglia allargata. Da qui quell'attenzione e quel guardare sempre anche altrove, che Vertovec (2004) chiama, come si è visto, bifocalità.
Di seguito intendo analizzare proprio questa particolare dimensione percettiva che caratterizza l'esperienza dei miei interlocutori partendo dal binomio desh/bidesh così come proposto
da Gardner (1993) e discusso nel capitolo 3. Si cercherà di delineare i significati attribuiti ai diversi contesti e si vedrà fino a che punto le dinamiche individuate dalla studiosa, e l'idea stessa di bifocalità ivi implicita, siano ancora valide e in che modo, invece, possano essere attualizzate. Si proporrà così di superare la dicotomia tra un “qui” e un “là”, per aprire a una prospettiva più complessa in cui località di residenza e luogo di origine sono connessi e interagiscono all'interno di una rete più ampia che coinvolge anche altre parti del mondo.